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Per il Logos - e il dialogo, quello vero ... oltre la vecchia "cattolica" alleanza costantiniana ("Giocasta" - "Edipo"))

UN NUOVO UMANESIMO?! Pensare l’ "edipo completo"(Freud), a partire dall’ "infanticidio"!!! La lezione di Melanie Klein rimeditata da Julia Kristeva, in un commento di Manuela Fraire - a c. di pfls

Per andare oltre la vecchia "cattolica" alleanza Madre-Figlio (e portare avanti il programma illuministico kantiano: diventare maggiorenni), è necessario (sia per l’uomo sia per la donna) non solo il "parricidio" ma anche il "matricidio".
mercoledì 8 novembre 2006 di Federico La Sala
Amare al cospetto della madre
«Génie féminin». Dopo Colette e Arendt, «Melanie Klein. La madre, la follia» di Julia Kristeva. Relazione d’oggetto. Il matricidio immaginario nella lettura di Kristeva del pensiero kleiniano
di Manuela Fraire (il manifesto, 29.10.2006)
Julia Kristeva, nel libro tratto da una serie di lezioni tenute all’Università Parigi VII (Melanie Klein. La madre, la follia, Donzelli, pp. 291, E 23,50) traccia un profilo inedito della grande psicoanalista centrato sulla (...)

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> UN NUOVO UMANESIMO?! ---- Melanie Klein [oggi]: attualità di un pensiero inattuale (di Diomira Petrelli - "KnotGarden")

martedì 30 maggio 2023

      • CONTINUAZIONE DEL POST PRECEDENTE E FINE.

Melanie Klein: attualità di un pensiero inattuale

di Diomira Petrelli *

[...]

Il Sé frammentato e i processi di integrazione

Negli scritti della metà degli anni ’40 M. Klein descrive l’esistenza di fantasie in cui l’Io - o più tardi il Sé - sembra privo di interezza, come se alcune sue parti o funzioni venissero a mancare. I pazienti di cui parla vivono stati di frammentazione, confusione e perdita della capacità di provare emozioni, condizione che viene da loro stessi percepita come una mutilazione, una concreta perdita di parti di sé che restano estraniate, seppellite in oggetti esterni e perciò non più disponibili, irraggiungibili, affette dallo stesso senso di solitudine che prova il soggetto.
-  M. Klein interpreta queste fantasie come frutto di difese molto primitive, rispetto ad angosce avvertite come intollerabili, che operano sia immaginando di espellere oggetti cattivi e cattive parti del Sé, sia aggredendo la psiche stessa del soggetto e le parti di essa più consapevoli dell’esperienza emotiva e per questo responsabili dell’angoscia. La contropartita emotiva di queste difese è “un indebolimento eccessivo dell’Io, la sensazione che non vi sia nulla a sostenerlo, e il senso di solitudine” (Klein, 1946, 422), in quanto l’automutilazione conduce sì ad un allontanamento e alla dispersione dell’esperienza emotiva, ma anche a penose sensazioni di confusione e frammentazione, ad angosce per la propria integrità e per la distruzione della capacità di provare emozioni.[5]

Nel saggio Sul senso di solitudine M. Klein collega il senso di dispersione e di perdita prodotto dalla sensazione di non potersi più ricongiungere con le “parti perdute” ad una menomazione, quasi un danno, del senso di appartenenza: le “parti perdute” hanno subito un processo di scissione e “vengono proiettate in altre persone, contribuendo così al sentimento di non godere del pieno possesso del proprio sé, cioè di non appartenere completamente a sé stessi, né, quindi, a nessun altro.” (Klein, 1959, 144). Queste mutilazioni del senso di sé (“le parti perdute”) si traducono in un’impossibilità per il soggetto di sperimentare l’appartenenza all’altro, sia esso un singolo o un gruppo. Il senso di solitudine e di mancanza inficia l’appartenenza e la capacità di affidarsi.

La ricerca di M. Klein sui processi di scissione contiene osservazioni importanti ed innovative. Accanto ai processi di scissione “normali” e necessari per lo sviluppo ella ne individua altri che conducono alla frammentazione del Sé che ne risulta gravemente danneggiato, in forza e coesione.

Di grande rilievo clinico è l’osservazione della stretta interrelazione esistente tra l’Io e l’oggetto anche a proposito della scissione: l’Io, infatti, non può scindere l’oggetto senza scindersi a sua volta di conseguenza. In questo senso la scissione-frammentazione, nata come difesa dall’angoscia, rappresenta anche una forza mortifera che produce disintegrazione, non solo dell’oggetto ma anche dell’Io. Di fatto la scissione rigida ed estrema dell’oggetto, la negazione completa dell’esistenza dell’oggetto cattivo, implica che vengano denegate e scisse, cioè distrutte, anche le parti dell’Io che sono in rapporto con questo oggetto.

Ciò porta M. Klein ad interpretare la difesa schizoide come un movimento attivo che rivolge le pulsioni distruttive all’interno, cioè contro l’Io stesso, dando luogo alla fantasia di annichilimento di una parte della propria personalità. In questo senso la scissione dell’Io (o del Sé) è sempre inevitabilmente anche una distruzione immaginaria di parti del Sé. Vale a dire che la scissione frammentante, meccanismo di difesa dell’Io contro la pulsione di morte, si rivela essa stessa permeata dalla pulsione di morte e sfocia in un sentimento affine alla morte, la disintegrazione, la confusione e il caos.

L’avere così profondamente compreso i processi di scissione e alcuni loro esiti disastrosi (disintegrazione, frammentazione e confusione) rende ragione della grande importanza data da M. Klein ai processi di integrazione, sia nella teoria che nella tecnica.

In particolare di grande rilievo clinico è la sua comprensione di come la frammentazione, derivante da processi disgreganti di scissione, conduca a stati di confusione estrema (“essere a pezzi e confusi”) la cui profonda dolorosità caratterizza, ad esempio, la condizione degli stati schizofrenici.

In questo senso diventa centrale sia nel suo modello di funzionamento mentale che nel suo modo di intendere il processo psicoanalitico il concetto di integrazione.

Negli scritti compresi nelle Lezioni sulla tecnica (sia nei seminari tenuti nel 1936 che nelle lezioni del 1958) M. Klein ribadisce a più riprese l’importanza e la necessità di tenere insieme, cioè di integrare, sia nella teoria che - soprattutto - nella tecnica, aspetti diversi ed opposti e di vederne la complessa articolazione: amore e odio, transfert positivo e negativo, ma anche transfert e storia, mondo esterno e mondo interno, esperienze reali e fantasie, schemi generali e situazioni particolari.
-  Penso che questo sforzo abbia caratterizzato tutta la sua opera. Si coglie nelle brevi illustrazioni cliniche che quello che più la interessa è rintracciare le connessioni, i collegamenti, l’aspetto dinamico del funzionamento mentale, a partire dalla necessità di tenere presenti anche gli aspetti distruttivi e l’odio, fino alla considerazione dell’importanza di rimandare al paziente sempre anche la sua capacità di amare. Questo “stabilire legami [...] è uno degli aspetti più importanti dell’interpretazione e della tecnica” (Klein, 2017, 105). L’interpretazione è un modo di mettere insieme i dati, di stabilire connessioni che possono generare un significato. Il suo intento veramente terapeutico è mettere insieme i pezzi, stabilire i collegamenti - tra emozioni diverse così come tra presente e passato - e farli vivere al paziente nell’attualità del transfert. Ciò - sottolinea - può essere avvertito dal paziente come un’esperienza concreta, qualcosa che accade concretamente dentro di lui, gli “fa sentire che l’interno del proprio corpo è stato trattato adeguatamente da un oggetto buono e soccorrevole” (ivi, p. 100).

Le parole che ricorrono di più nelle Lezioni sono legame, correlazione, articolazione ed indicano la sua attenzione per il mobile punto di unione tra aspetti differenti. Non l’amore e/o l’odio ma il rapporto tra l’amore e l’odio, cioè la correlazione, la fluttuazione: “Credo che la difficoltà di rendere piena giustizia sia al transfert positivo sia a quello negativo non sorga dalla sopravvalutazione dell’uno o dell’altro, ma da un’insufficiente comprensione della connessione profonda esistente tra sentimenti positivi e negativi” (ivi, 42).

Tutto ciò implica una visione dinamica del funzionamento mentale, non nel senso di rapporti quantitativi tra forze diverse, ma di un continuo movimento, una fluttuazione e trasformazione tra stati della mente differenti. Il modello genetico è di fatto abbandonato in favore di un modello oscillatorio, continuamente reversibile. I termini opposti non vanno verso una sintesi ma permangono distinti, in tensione, esprimendo diverse polarità, sempre potenzialmente presenti. Il suo sforzo conoscitivo ed interpretativo è quello di tenere insieme tutti questi aspetti che si presentano sparsi e frammentati, spezzettati. La preoccupa recuperare “il filo inconscio” (ivi, 132), il collegamento tra vari “pezzi” del materiale, in una stessa seduta ma anche tra più sedute, espressione ed esteriorizzazione di aspetti scissi e frammentati della mente del paziente e delle sue oscillazioni tra stati mentali differenti.

Proprio la sua capacità di essere così a contatto con un funzionamento mentale fluido, inarrestabile, scoordinato, eppure rigido e violento, come quello che caratterizza i pazienti più gravi, le fa sentire come un pericolo incombente quello della confusione che deriva da un eccesso di frammentazione.

L’integrazione non nasce quindi da un’attitudine intellettuale o intellettualistica ma da uno sforzo di contenimento e di creazione di legami, alla ricerca di un senso della sofferenza, che fa sentire l’altro concretamente “tenuto insieme”, contenuto nella mente.

Il pensiero espresso da M. Klein negli ultimi scritti e specialmente nel saggio incompiuto Sul senso di solitudine ha un carattere particolare, non ben definito e, in qualche modo, sfuggente, ma proprio per questo ha una grande capacità di suscitare interrogativi, di porre domande, di stimolare a pensare.

La riflessione sull’incolmabilità del senso di solitudine è forse il suo aspetto più toccante e profondo, che apre al pensiero e al suo continuo interrogarsi sulla condizione umana, per cui più cerchiamo di vincere il senso di mancanza, più incontriamo il senso del nostro limite e il limite del nostro conoscere. Il paradosso è che proprio dall’accettazione di questi limiti il senso di solitudine, forse, appare acquetato.

Bibliografia

Derrida J. (1995). Mal d’archive une impression freudienne. Paris, Edition Galilée. Trad. it. Napoli, Filema Edizioni, 1996.

Green A. (1985). Trop c’est trop, in Mélanie Klein Aujourd’hui. Lyon, Césura Lyon Edition.

Isaacs S. (1948). Natura e funzione della fantasia. Trad. it. in: (a cura di D. Petrelli) Fantasia inconscia. Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, 2007.

Klein M. (1930). L’importanza della formazione dei simboli nello sviluppo dell’Io. Trad. it in: M. Klein Scritti 1921-1958. Torino, Boringhieri, 1978.

Klein M. (1946). Note su alcuni meccanismi schizoidi. Trad. it in: M Klein Scritti 1921-1958. Torino, Boringhieri, 1978.

Klein M. (1953). La tecnica psicoanalitica del gioco: sua storia e suo significato. In: Nuove vie della psicoanalisi. Trad. it. Milano, Il Saggiatore, 1966.

Klein M. (1958). Sullo sviluppo dell’attività psichica. Trad. it in: M Klein Scritti 1921-1958. Torino, Boringhieri, 1978.

Klein M. (1959). Sul senso di solitudine. Trad. it. in: Il nostro mondo adulto ed altri saggi. Firenze, Martinelli, 1972.

Klein M. (1960). A Note on Depression in the Schizophrenic. In M. Klein, Envy and Gratitude and Other Works 1946-1963, 1984. Trad. it. in Richard e Piggle, 1/96, 3-8.

Klein M. (2017). Lezioni sulla tecnica. Trad. it., Milano, Cortina, 2020.

Spillius E., O’Shaughnessy E. (2012). Il concetto di identificazione proiettiva. Trad. it. Roma, Astrolabio, 2014.

Steiner R. (2007). Nota storico-critica. In: (a cura di D. Petrelli) Fantasia inconscia, Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, 2007.

— 

[1] M. Klein non ha mai mancato di ribadire “il lungo e duraturo influsso” dell’analisi infantile sul suo lavoro; scriveva infatti nel 1953: “Il mio lavoro, sia con i bambini che con gli adulti, e i miei contributi alla teoria psicoanalitica nel complesso, derivano, in definitiva dalla tecnica del gioco sviluppata con bambini piccoli” (Klein, 1953, 29).

[2] “Queste sensazioni (e immagini) sono una esperienza corporea, all’inizio scarsamente in grado di essere collegata ad un oggetto esterno e spaziale. Esse danno alla fantasia una concreta qualità corporea, una condizione me (me-ness) sperimentata nel corpo. A questo livello le immagini sono scarsamente, se non affatto, distinguibili dalle sensazioni reali e dalle percezioni esterne” (Isaacs, 1948, 41).

[3]“Sentimenti di depressione e di colpa, che hanno la loro più ampia espressione nella fase in cui si presenta la posizione depressiva, sono già operativi (secondo le mie più recenti convinzioni) nella fase schizo-paranoide” (Klein, 1960, 6).

[4] Riferendosi alla scoperta di Freud della polarità e dell’impasto delle pulsioni di vita e di morte, operanti fin dalla nascita scrive infatti: “Io ho potuto riconoscere l’operare di queste forze primordiali in conflitto tra loro osservando nei processi psichici dei bambini in tenera età la costante presenza della lotta tra la spinta irrefrenabile a distruggersi e quella a proteggersi, tra l’impulso ad aggredire gli oggetti e quello a salvaguardarli. Ciò mi ha consentito di comprendere più a fondo l’essenziale importanza clinica della concezione di Freud delle pulsioni di vita e di morte” (Klein, 1958, 540).

[5]“Nei pazienti schizoidi l’assenza di angoscia è solo apparente. I meccanismi schizoidi implicano infatti la dispersione delle emozioni, e quindi anche dell’angoscia, ma pur disperse esse sussistono sempre nei pazienti. [...] allorché le emozioni erano assenti, le relazioni erano vaghe e incerte, e parti della personalità erano sentite come perdute, tutto pareva morto. Ora questo è appunto l’equivalente di un’angoscia gravissima. Essa è tenuta latente dalla dispersione ed è provata continuamente” (Klein, 1946, 431).

Diomira Petrelli, Napoli
-  Centro Napoletano di Psicoanalisi

* Fonte: Centro Veneto di Psicoanalisi


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