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"Pietà per il mondo, venga il nuovo sapere"(M. Serres, Distacco, 1986)!!!

LA STATUA DELLA LIBERTÀ DEGLI U.S.A. - CON LA SPADA SGUAINATA: "GUAI AI VINTI"!!! LA LEZIONE DI FRANZ KAFKA, IL MAESTRO DELLA LEGGE: RIPENSARE L’AMERICA. E il sogno del "nuovo mondo"!!!

"IN GOD WE TRUST": TUTTO A CARO-PREZZO ("DEUS CARITAS EST")!!! IL DERAGLIAMENTO DELLA DEMOCRAZIA E BUSH CHE FA LA "BELLA STATUINA".
martedì 12 giugno 2007 di Federico La Sala
[...] Sull’orlo dell’abisso, non ci resta che venir fuori dallo stato (cartesiano-hegeliano) di sonnambulismo: seguire il filo del corpo (l’ombelico!), riacchiappare il senso della vita, e riattivare la memoria delle origini. Con Kant, con Feuerbach, con Marx, con Nietzsche, con Freud, con Rosenzweig, con Buber, e con Kafka ... si tratta di capire il significato della “spada” impugnata dalla “Statua della Libertà” [...]
"Potrei, per me, pensare un altro Abramo" (F. (...)

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> A "Israele"! RIPENSARE L’ "AMERICA", e il sogno del "nuovo mondo". La lezione di FRANZ KAFKA ---- Max Brod lasciò Praga nel ’39 poco prima dell’invasione nazista e portò con sé le carte in Palestina.Una storia degna di un suo romanzo (di Siegmund Ginzberg).

venerdì 18 luglio 2008

Brod lasciò Praga nel ’39 poco prima dell’invasione nazista e portò con sé le carte in Palestina

Una storia degna di un suo romanzo

di Siegmund Ginzberg (la Repubblica, 18.07.2008)

C’è chi parla e racconta, fin troppo. E chi non parla, si tiene stretti ricordi e documenti, resistendo ad ogni sollecitazione. Conosco bene il tipo. La signora Ilse Esther Hoffe, che si è fatta beffe, fino alla sua scomparsa, della caccia mondiale all’archivio di Franz Kafka, mi ricorda mia zia Perla. Entrambe erano vissute nella Praga di Kafka. Quasi coetanee, si sarebbero potute anche conoscere. Entrambe ebree, si sono sempre rifiutate di raccontare, specialmente di quegli anni. Ilse è morta che aveva 101 anni. Senza che nessuno fosse riuscita a scucirle la bocca su quali autografi di Kafka le avesse passato Max Brod, di cui era stata segretaria e intima.

Zia Perla se n’è andata che ne aveva 104, senza mai raccontarmi, malgrado le mie insistenze, della Praga degli anni Venti, di come da entraineuse in un caffè era diventata la moglie di uno degli uomini più ricchi e famosi della Cecoslovacchia di quei tempi. «Sai, non ricordo...», il refrain di zia Perla. Un giorno, quando aveva da tempo superato la novantina, le avevo chiesto, a bruciapelo: «Ma le altre ragazze del caffè, che fine hanno fatto?» «Ah, allora sai tutto...», si era lasciata andare, ma solo per un istante. Non ho mai capito il perché di tanta insistenza sui segreti di famiglia. Perla di chi poteva avere paura? Di mia cugina, che ha passato la settantina, ha cioè pressappoco l’età delle figlie di Esther Hoffe, e che un anno dopo la morte di mia zia mi ha chiesto: «Ma mia mamma era ebrea?». Certa gente semplicemente non parla, nemmeno sotto tortura. O se parla e scrive magari si pente, come Kafka, che aveva chiesto all’amico Brod di bruciare tutti i suoi manoscritti, il quale fortunatamente disobbedì e tradì le sue ultime volontà. Max Brod lasciando Praga nel 1939, giusto poco prima dell’invasione nazista, se li portò in un paio di valigie in Palestina, allora sotto mandato britannico. Per imbarcarsi verso la Palestina potrebbe aver preso lo stesso treno da Praga che, negli stessi giorni, prese mio padre richiamato alle armi nell’esercito turco, ma questa è un’altra storia.

No, non c’entra l’Alzheimer. Non è che Perla ed Esther non ricordassero. Mi piacerebbe essere rimbambito quanto erano furbe, vispe e lucide loro da centenarie. Esther era già ultrasettantenne quando nel 1974 l’arrestarono all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, diretta in Svizzera con parte dell’archivio Kafka avuto in consegna da Brod. Brod, morto nel 1968, l’aveva nominata suo esecutore testamentario, esattamente come l’amico Kafka aveva fatto mezzo secolo prima con lui. Ma era Esther a custodire gelosamente tutto il materiale da prima ancora della morte di Brod. L’editore tedesco Klaus Wagenbach è uno dei pochi che possano sostenere di aver preso, negli anni Cinquanta, almeno fugacemente visione di parte di quel materiale, che, secondo la sua testimonianza, oltre ad alcuni disegni e manoscritti autografi di Kafka, comprenderebbe il carteggio di Brod. «Brod mi lasciò visionare il materiale, ma di nascosto da Esther, che non voleva fosse maneggiato o portato via da nessuno», ha raccontato alla Frankfurter Allgemeine. «Esther era ossessionata dall’idea che qualcuno se ne appropriasse, o le venissero rubati», racconta un amico di famiglia dei Brod. C’è chi sostiene che li abbia messi in banca, e quindi non li tenesse affatto nel suo appartamento pieno di gatti e cani. Non c’è dubbio che la vecchia Esther fosse pienamente cosciente del loro valore. Ma si deve pure vivere. Nel 1987 era stata battuta all’asta a New York, per oltre mezzo milione di dollari, una collezione di 327 lettere di Kafka alla "fidanzata" Felice Bauer, l’ispiratrice del personaggio di fraulein Burstener nel Processo (lei, pur non ricambiandolo molto, aveva conservato le lettere di lui, lui aveva distrutto le lettere di lei). L’anno successivo il manoscritto originale del Processo fu venduto al prezzo allora record di quasi 2 milioni di dollari da Sotheby’s. Per conto della signora Esther Hoffe. Aveva pare promesso a un editore tedesco, per una cifra notevole, se non dello stesso ordine di grandezza, anche i diari di Max Brod. Ma a tutt’oggi non si sa che fine abbia fatto la transazione.

Il termine "kafkiano" fu usato per la prima volta in inglese, sulla rivista NewYorker, nel 1947, per indicare un intrico di vicoli ciechi. Da allora è entrato nei vocabolari di tutte le lingue, compresa la nostra, con un significato anche più ricco, che comprende ogni forma di angustia dell’individuo nei confronti degli altri e del potere in generale. Devo fare una confessione: Kafka mi attira e, al tempo stesso, mi spaventa, perché ogni volta che lo ripiglio in mano sono travolto più dall’angoscia che dal piacere, insomma mi viene una voglia irresistibile di buttarmi dalla finestra. Il fascino del kafkiano non è nella sua stranezza, è nella sua ovvietà quotidiana. Come nella vicenda dei manoscritti, come dire, galleggianti. Tutti viviamo nella realtà e negli incubi di ogni giorno storie kafkiane. Non tutti sappiamo raccontarle impietosamente, spietatamente, come faceva Franz Kafka.


Diventa un caso la storia della donna di Tel Aviv che custodirebbe manoscritti dell’autore del "Processo" Franz Kafka. Il mistero delle carte perdute(la Repubblica, 18.07.2008)

-  Hava Hoffe ha ereditato l’archivio, tramite la madre, da Max Brod, amico dello scrittore.
-  Ma nessuno ha visto il materiale. Che in parte è stato anche venduto
-  Nel 1973 Esther Hoff fu fermata in aeroporto mentre stava partendo per l’estero con le valigie piene di preziosi materiali
-  La legge israeliana impedisce di esportare materiali importanti per la storia del popolo ebraico. E anche su questo è polemica

TEL AVIV. L’ultimo mistero nella tragica storia della vita di Franz Kafka è nascosto in una casetta nel centro di Tel Aviv. Viene custodito come un tesoro da cui ricavare benessere da Hava Hoffe, la donna di 74 anni che ieri per la prima volta il fotografo del quotidiano Haaretz è riuscito a ritrarre dopo un appostamento degno delle vicende dello spionaggio israeliano. Da qualche settimana la storia ha iniziato a interessare chi in Israele, in Germania, a Praga ha seguito la vicenda del più interessante scrittore in tedesco del Novecento. Articoli, manoscritti, disegni, lettere di Kafka sono in quell’appartamento.

Hava Hoffe li ha ereditati dalla madre Esther, che è morta l’anno scorso e che a sua volta li aveva ricevuti dall’uomo col quale aveva lavorato come segretaria. L’uomo era Max Brod, un grande amico di Kafka, anzi il suo più grande amico; giornalista, scrittore, musicista, Brod fu anche medico di Kafka, provò per esempio ad indirizzarlo al sanatorio di Kierling, vicino Vienna, nel tentativo di fermare la tubercolosi che inarrestabile uccise Kafka a 41 anni, nel 1924. Kafka aveva lasciato a Brod tutto il suo archivio, le lettere, soprattutto le opere incompiute, con il compito di bruciare tutto.

Brod non poteva rispettare quell’impegno, e anzi la pubblicazione delle opere non terminate di Kafka contribuì a completare proprio il disegno di «incompiutezza» dello scrittore praghese. Nel 1939, incalzato dal nazismo, Brod, anche lui ebreo, decide di spostarsi a Tel Aviv, in quella che era la Palestina del mandato britannico. Lì lavorò all’archivio, e quando morì nel 1969 passò tutto ad Esther Hoffe. In cambio di milioni di dollari, Esther riuscì a vendere negli anni alcuni dei manoscritti, riuscendo addirittura in un’occasione a organizzare un’asta in Svizzera. Nel 1973 il direttore degli archivi di Stato israeliani fece fermare dalla polizia la Hoffe all’aeroporto di Tel Aviv mentre stava partendo per l’estero con le valigie piene di carte.

Oggi Yehoshua Freundlich è il nuovo capo dell’Archivio ebraico: «La nostra legge impone che tutto quanto riguardi la storia del popolo ebraico possa essere ispezionato e fotocopiato dallo Stato prima di lasciare Israele. Per questo abbiamo scritto per anni alla signora Hoffe, e adesso abbiamo scritto alla figlia Hava e anche a sua sorella Ruth». Il problema è che da quando la notizia dell’esistenza dell’archivio Kafka è stata ricordata da Haaretz all’inizio di luglio, i giornalisti, gli studiosi e anche le università di mezzo mondo sono corsi in Israele. Il più titolato è forse l’Archivio letterario tedesco di Marbach, la maggiore organizzazione privata tedesca di questo tipo. «Ho letto che anche loro volevano impossessarsi della carte di Kafka», dice Freundlich, «ma ho scritto anche a loro per ricordare che la legge israeliana impedisce di rimuovere liberamente materiali che siano di importanza per la storia e la cultura del popolo ebraico».

Ieri Haaretz ricordava che anche la Biblioteca nazionale di Gerusalemme per anni ha provato a gettare uno sguardo su quelle carte: «Dal 1982 abbiamo iniziato una corrispondenza con la signora Hoffe, la speranza era quella di avere le carte conservate da Brod. Niente da fare, lei come minimo era una donna impossibile».

Adesso però un nuovo tema sembra affacciarsi attorno a questo archivio: Kafka scriveva in tedesco, sognava di vivere a Berlino: cosa c’entra con Israele, dice apertamente Shimon Sandbank, il professore che ha tradotto i suoi libri in ebraico «Israele, l’ebraismo non sono talmente decisivi in Kafka da poterci far dire che la sua eredità debba rimanere ed essere preservata qui da noi in Israele, da dover costringere gli studiosi che lavorano a Marbach a fare un viaggio a Tel Aviv solo per vedere parte del lavoro di Kafka». Per ora comunque, le sorelle Hoffe hanno tutte le intenzioni di tener ben chiuso quell’archivio.


-  Gli incubi e i fantasmi che assediavano lo scrittore
-  Quelle opere da mandare al rogo (la Repubblica, 18.07.2008)

In una casa nel centro di Tel Aviv è custodito l’ultimo mistero della vita di Franz Kafka. Viene custodito da Hava Hoffe, la donna di 74 anni che per la prima volta il fotografo del quotidiano Haaretz è riuscito a ritrarre dopo lunghi appostamenti. Articoli, manoscritti, disegni, lettere di Kafka sono in quell’appartamento. Hava Hoffe li ha ereditati dalla madre Esther, che a sua volta li aveva ricevuti dall’uomo col quale aveva lavorato come segretaria. L’uomo era Max Brod, giornalista, scrittore musicista, e grande amico di Kafka.

Già a metà ottobre Kafka scriveva a Brod che «i fantasmi notturni» l’avevano scovato. Quando componeva lettere o libri, gli spettri notturni, le potenze malvagie, che aveva evocato per amore della letteratura, dominavano con un piacere intollerabile la sua esistenza. Dunque, anche lì, a Berlino, era stato sconfitto.

Come combattere contro i fantasmi? Abbiamo un solo indizio. Kafka pensò a una specie di rogo rituale, dove ardere tutto quello che aveva scritto sotto il dominio degli spettri notturni: quasi tutta la sua opera. Se avesse bruciato tutto avrebbe riacquistato quella che chiamava la sua libertà diventando un altro scrittore. Si accontentò di meno. Un giorno, quando era malato, fece bruciare a Dora alcuni manoscritti, tra cui alcuni racconti e un lavoro teatrale: non sappiamo assolutamente di cosa si tratti.

Intanto parlava continuamente a Dora dell’arte nuova libera dai fantasmi, che dopo di allora avrebbe cominciato a scrivere. Ma noi non conosciamo nessun «nuovo Kafka»: il grande racconto La tana è, per esempio, un capolavoro suggerito dai fantasmi.

Tranne diversi racconti giovanili e degli ultimi mesi di vita, e alcuni importanti epistolari, Max Brod pubblicò le opere complete di Kafka. La sua edizione è buona, anche se non perfetta: la recente edizione critica non ha portato innovazioni sostanziali. La notizia data dal giornale israeliano Haaretz, sui manoscritti di Kafka che forse possederebbe la signora Hava Hoffe, solleva molti dubbi ai quali non so come rispondere. Cosa ha la signora Hoffe? Quale materiale kafkiano, ereditato dalla madre e da Max Brod? Non si capisce per quale ragione Brod, così meticoloso, non avrebbe pubblicato tutti i testi narrativi di Kafka che aveva in mano. Esiste, forse, una possibilità. Potrebbe trattarsi di epistolari, che egli non giudicava ancora adatti, per una ragione qualsiasi, alla pubblicazione.


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