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Per la nostra libertà e la nostra dignità

PER LA NOSTRA ITALIA, PER NAPOLI !!! Castellammare di Stabia ha lanciato una bella iniziativa, per gli studenti delle Superiori: leggere "Gomorra" di Saviano. "La Voce di Fiore" plaude e rilancia l’idea a tutti i Comuni e agli studenti di tutte le Regioni. E invita a leggere, con "Gomorra", anche il testo della canzone "CIENT’ANNE" di Mario Merola e Gigi D’Alessio, e la nostra "carta d’identità" - il testo della "sana e robusta" COSTITUZIONE scritta dai nostri "Padri" e dalle nostre "Madri"!!!

"Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani" (don Lorenzo Milani)
mercoledì 29 novembre 2006 di Federico La Sala
Napoli, Amato scopre l’evasione dall’obbligo scolastico
E intanto Castellammare di Stabia acquista 2.100 copie del libro Gomorra di Saviano da donare agli istituti di scuola superiore della città, dove saranno attivati laboratori didattici sul testo
di Antonella Palermo (Liberazione, 15.11.2006)
Napoli, nostro servizio - La Calabria come Napoli. Un patto per la Calabria sicura come il Patto per Napoli Sicura. E’ l’idea che si esporta fuori regione. Ma come va all’ombra del Vesuvio a dieci (...)

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> PER LA NOSTRA ITALIA !!! Castellammare di Stabia ha lanciato una bella iniziativa, per gli studenti delle Superiori: leggere "Gomorra" di Saviano. "La Voce di Fiore" plaude e rilancia l’idea a tutti i Comuni e agli studenti di tutte le Regioni. E invita a leggere, insieme a "Gomorra", anche il testo della canzone "CIENT’ANNE" di Mario Merola e Gigi D’Alessio, e la nostra "carta d’identità" - la "sana e robusta" COSTITUZIONE scritta dai nostri "Padri" e dalle nostre "Madri"!!! .

sabato 18 novembre 2006

APPELLO ALLA COMUNITÀ CIVILE

CONTRO LE MAFIE UN PATTO EDUCATIVO

di Giuseppe Savagnone (Avvenire, 18.11.2006)

Gli Stati Generali dell’Antimafia, convocati a Roma, ripropongono il problema scottante della piaga della criminalità organizzata nel nostro Paese. Per la prima volta, forse, si riuniscono intorno a un unico tavolo tutti i principali protagonisti della lotta contro le mafie - il plurale ormai è d’obbligo -, dai rappresentanti delle istituzioni a quelli della società civile e del mondo della cultura e dell’informazione, per confrontarsi e per inaugurare uno stile di sempre maggiore cooperazione.

La novità è forse in questo coinvolgimento plenario di tutte le componenti della realtà italiana. Non è solo lo Stato a muoversi, con il suo apparato e i suoi organi preposti alla pubblica sicurezza e all’amministrazione della giustizia: è la comunità civile, in tutte le sue variegate espressioni, che prende un solenne impegno e mette le proprie energie al servizio di questa battaglia. Del resto, lo aveva detto qualche giorno fa il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: senza il contributo della società civile, la criminalità organizzata non sarà mai sconfitta. In questa logica si ponevano già da tempo anche le denunzie del capo della Direzione nazionale antimafia, Piero Grasso, quando indicava nelle collusioni e nei silenzi di tanti che mafiosi, propriamente parlando, non sono, la forza della mafia. C’è una cultura dietro l’organizzazione militare di Cosa nostra o della Camorra; c’è una mentalità, un universo relazionale distorto, e finché non verranno rimosse queste cause remote, i successi delle forze dell’ordine e le condanne della magistratura avranno sicuramente un peso, ma non saranno decisivi. Gli ultimi eventi - in particolare quelli verificatisi in Campania - confermano questa diagnosi. Siamo davanti a un tessuto sociale che dev’essere profondamente trasformato. A Napoli, come a Palermo, lo Stato non riesce a controllare adeguatamente il territorio perché non può contare sull’appoggio incondizionato degli abitanti, che spesso lo sentono estrane o ed ostile. Il bene comune, nei quartieri popolari di queste città, è una formula incomprensibile o solo un concetto astratto, retorico, come lo sono i principi e le regole della legalità.

Per sconfiggere questa barriera invisibile, contro cui si infrangono i discorsi ufficiali, le denunzie morali, le prese di posizione istituzionali, è necessario un lavoro lungo, lento, capillare, volto ad educare più che a reprimere, a far capire, più che a promettere o minacciare, ad aprire prospettive nuove più che a dissertare su misure straordinarie. Nel nostro Paese sono sempre sopravvissute alcune sacche di incultura, almeno dal punto di vista della maturità civile e politica. Non ci pare di poter dire che nel corso degli anni si siano progressivamente ridotte. Al contrario, lo stesso scenario della vita pubblica, in troppe occasioni, ha incrementato gli scetticismi se non favorito talune violazioni delle più elementari regole della convivenza. Si è avuta l’impressione, a volte, che avesse ragione Sciascia, quando diceva che la Sicilia stava diventando la metafora dell’Italia intera e che lo stile mafioso era stato con successo esportato, al punto da essere ormai diffuso su tutto il territorio nazionale.

Per battere le mafie bisogna educare la gente, e per educare la gente bisogna essere convincenti. In famiglia, a scuola, in parrocchia, dev’essere possibile accompagnare le parole con l’indicazione di esempi efficaci; bisogna poter additare uomini e donne rappresentanti di una classe dirigente che non si ripiega su se stessa e sui propri interessi, lasciando il popolo al proprio destino, ma condivide davvero i problemi di tutti. Solo così il bene comune cesserà di essere un’elegante astrazione, buona per abbellire i discorsi di circostanza, e diventerà un valore condiviso anche dalla gente comune. E la criminalità organizzata quel giorno avrà davvero perduto la sua triste battaglia.


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