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Per la dignità e la libertà di tutti gli esseri umani ...

UBUNTU: "Le persone diventano persone grazie ad altre persone". NELSON MANDELA, UN COMBATTENTE SUL RING DELLA STORIA. Il ritratto attraverso le immagini.

sabato 28 giugno 2008 di Federico La Sala
[...] "Nel giudicare i nostri progressi individuali ci concentriamo su fattori esterni, come la posizione sociale, la popolarità, l’autorità, la ricchezza, il livello culturale. Ma i fattori interni possono essere più decisivi: onestà, sincerità, semplicità, purezza, generosità, disponibilità ad aiutare gli altri. Qualità interne alla ricchezza di un’anima".
Così scriveva Nelson Mandela alla moglie Winnie, in una delle tante lettere dal carcere durante i 27 anni di prigionia. (...)

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> UBUNTU: "Le persone diventano persone grazie ad altre persone". --- Una transizione pacifica portò al Paese democrazia e libertà: una forte lezione d’umanità per il pianeta (di Dominique Lapierre).

lunedì 20 ottobre 2008

IL GRANDE SCRITTORE FRANCESE RACCONTA IL DOPO-APARTHEID

Lapierre Il nuovo Sudafrica di Mandela e Tutu

Verità in cambio di riconciliazione. Una transizione pacifica portò al Paese democrazia e libertà: una forte lezione d’umanità per il pianeta

di Dominique Lapierre (Avvenire, 19.10.2008) *

Amandla Ngawethu! «Il potere al popolo!». La celebre espressione non era più un appello alla speranza. Era una realtà. Con il 62,65% dei voti l’Anc, il partito di Nelson Mandela, aveva ottenuto 252 seggi sui 400 della prima assemblea democratica della nazione arcobaleno. Con il 24,4%, Frederik de Klerk e il suo partito della dominazione bianca se ne erano aggiudicati solo 82. Il 2 maggio 1994, 4 giorni dopo la proclamazione dei risultati, l’ultimo presidente dell’era dell’apartheid si presentò davanti ai microfoni della radio e alle telecamere per riconoscere la sconfitta e congratularsi con il suo successore. Con voce ferma e vibrante, ma anche emozionata, De Klerk espresse la soddisfazione di collaborare con Mandela nel primo governo di unità nazionale del nuovo Sudafrica. Ma voleva anche mettere in guardia il leader nero.

«Dopo il lungo cammino che ha percorso, oggi si trova in cima a una montagna - dichiarò -. Non potrà fermarsi per contemplare il paesaggio perché, al di là di quella montagna, ce n’è un’altra, e dietro, un’altra ancora. Il suo viaggio non sarà mai finito». Con lo sguardo magnetico che fin dal primo incontro aveva sedotto Mandela, il leader bianco fissò le telecamere puntate su di lui. Sapeva che 5 milioni di compatrioti e un numero incalcolabile di neri seguivano con il fiato sospeso e la gola stretta quel prodigioso appuntamento con la storia. «Le parole di Frederik de Klerk erano talmente belle che mi sono dovuto dare dei pizzicotti per poterci credere» confiderà l’arcivescovo Desmond Tutu.

Cinque giorni dopo, il 10 maggio, Nelson Mandela ricevette la consacrazione suprema. La cerimonia si svolse nel magnifico anfiteatro degli Union Building di Pretoria, che per 5 anni aveva ospitato le grandi cerimonie della supremazia bianca. Lo accompagnava Zenani, la figlia maggiore. Il suo discorso fece aleggiare sulla platea una straordinaria ondata di emozione. «Oggi, con la nostra presenza, tutti noi... tributiamo onore e speranza alla libertà appena nata - dichiarò l’ex ergastolano di Robben Island -. Dall’esperienza di straordinarie sofferenze umane, che troppo a lungo si sono protratte, deve nascere una società di cui tutta l’umanità sarà fiera... Mai, mai e poi mai dovrà accadere che questa splendida terra conosca di nuovo l’oppressione dell’uomo sull’uomo!... Che la libertà possa regnare in eterno! Dio benedica l’Africa!». Dio benedica l’Africa! Nessuna invocazione poteva risuonare più opportunamente in quel luminoso autunno australe.

Dopo essere stato «sommerso dal senso della Storia» durante la sua investitura, il primo presidente nero fu costretto a tornare sulla terra per scoprire le realtà che si dissimulavano sotto quelle montagne evocate da Frederik De Klerk. La prima, e sicuramente la più allarmante, era la terrificante criminalità che minacciava la sicurezza di tutti i cittadini, sia bianchi sia neri. Nel primo anno di democrazia, omicidi, aggressioni a mano armata, stupri e furti con scasso erano quasi raddoppiati.

Dalle frontiere dello Zimbabwe alle rive del Capo si commetteva un omicidio ogni mezz’ora, uno stupro ogni tre minuti, un furto con scasso ogni due minuti. Sotto la seconda montagna si nascondeva il devastante tasso di disoccupazione che riguardava il 40% della popolazione attiva nera. A buon diritto Mandela aveva invitato i suoi a «essere pazienti».

Mancavano tre milioni di alloggi, ventimila scuole, tremila ospedali, 300 mila chilometri di linee elettriche e quasi altrettanti di condutture dell’acqua potabile. La sfida più difficile non era tuttavia di ordine economico, bensì di ordine morale. «Dobbiamo essere uniti ai fini di una riconciliazione nazionale» aveva affermato Mandela la sera del voto. Lui stesso ne dava l’esempio con una grandezza d’animo che suscitava l’ammirazione dei suoi concittadini e dell’opinione pubblica mondiale.

Alla cerimonia della sua investitura aveva invitato i due rappresentanti della giustizia dell’apartheid che l’avevano condannato a vivere in prigione per il resto dei suoi giorni. Ma per quanto nobili e generosi, quei gesti non potevano distogliere dalla volontà di vendetta tante vittime dell’oppressione razziale. Si rivolse a uno dei più emblematici sopravvissuti al terrore bianco.

Invece di un tribunale che avrebbe giudicato i colpevoli, come era accaduto per i criminali nazisti al processo di Norimberga, l’arcivescovo Desmond Tutu propose di istituire una commissione che avrebbe offerto il perdono della nazione a tutti coloro che avessero accettato di rivelare i crimini commessi in nome dell’apartheid. Una sfida rivoluzionaria che Nelson Mandela accettò con entusiasmo. «Verità e Riconciliazione»: sarà questo il suo nome. Verità in cambio di riconciliazione. Così il Sudafrica compì il miracolo di uscire dall’apartheid senza il bagno di sangue annunciato da tutti i profeti di sventura. Una transizione pacifica ed esemplare portò il Paese della repressione e dell’ingiustizia alla democrazia, alla libertà e all’uguaglianza. Fu un’impresa senza precedenti nella storia dei conflitti fra gli uomini. E un’eccezionale lezione di umanità offerta all’intero pianeta. L’ex prigioniero della cella 466/64 del penitenziario di Robben Island era ormai al timone per realizzare un secondo miracolo e mantenere così la promessa di edificare una nazione arcobaleno, capace di «far nascere un mondo nuovo».

*

IL LIBRO

Verso la libertà

Dopo la Parigi della guerra, dopo la nascita di Israele, dopo l’indipendenza dell’India, continua il viaggio di Dominique Lapierre tra le grandi epopee di liberazione dei popoli del mondo. Questa volta tocca al Sudafrica; e Un arcobaleno nella notte (Il Saggiatore, pp. 346, euro 17,50), da cui traiamo stralci dell’epilogo, riesce a rintracciare persino nelle tenebre più oscure del regime segregazionista quelle «luci del mondo» che per lo scrittore francese sono costituite dagli uomini e dalle donne che lavorano per gli altri.


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