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Chi siamo noi, in realtà?! Chi educa chi?!

ITALIA. PAESE IMPAZZITO: BULLISMO ... GENERALE E DI STATO. Una questione antropologica e "teologico-politica"!!! Collodi (e Calvino ce lo ha ben detto e ripetuto!!!) aveva già gettato l’allarme: "la bulimia esistenziale nel Paese dei Balocchi" (Michele Serra) trasforma in "asino" (oggi, in "toro" -"bull") e non è dei "Pinocchio", ma degli adulti ... e di "Geppetto" e "Maria", che non sanno ancora "come nascono i bambini"(Freud) ... e "come si diventa ciò che si è" (Nietzsche)!!!

"C’era una volta. - Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori. - No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno"!!!
domenica 19 novembre 2006 di Federico La Sala
[...] Ognuno di noi sperimenta su se stesso, e più ancora sui figli, se ne ha, l’enorme difficoltà di introdurre, in questo meccanismo rotto, un calmiere, un contrappeso etico. Se l’aggressività dei minori ci spaventa più di quanto è fisiologico, questo dipende, io credo, dal fatto che la paura si manifesta per causa loro, ma non è paura di loro: è la paura - profondissima - di avere perduto in gran parte gli strumenti per affrontarla. E’ la paura di avere reso inarticolato il linguaggio (...)

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> ITALIA. PAESE IMPAZZITO: BULLISMO ... GENERALE E DI STATO. Una questione antropologica e "teologico-politica"!!! ---- L’ITALIA? HA DICHIARATO GUERRA AI GIOVANI (di Tobia Zevi).

sabato 8 dicembre 2007

L’Italia? Ha dichiarato guerra ai giovani

di Tobia Zevi *

Inquinamento acustico. È questa la sensazione che proviamo quando si sente ragionare di «giovani». Tutti ne descrivono la condizione in termini più o meno pessimistici, propongono paragoni con altre generazioni e mostrano di cercare soluzioni che li possano favorire. Soprattutto tutti ne parlano. Il merito principale di Contro i giovani (Mondadori, pp. 158, euro 15) è quello di scegliere termini chiari, preferendo la descrizione al giudizio, e di elencare una serie ragionevole di misure da prendere. Gli autori, Tito Boeri e Vincenzo Galasso, sono professori alla Bocconi (il primo è indicato tra i consiglieri più vicini a Veltroni), e si collocano con forza nel recente dibattito sul riformismo. L’assunto di partenza è sferzante: «I genitori italiani sono molto generosi con i figli propri e molto egoisti con i figli degli altri». Ed ecco spiegato, in parte, perché i ragazzi di oggi non protestano col vigore che ci si aspetterebbe: considerano molto generosa la propria famiglia d’origine, che li accudisce a lungo, che acquista loro la casa con la liquidazione paterna, che concede confort senza pretendere il rispetto di tante regole.

Il libro prende spunto dalle storie di cinque italiani della classe media prese a caso negli ultimi 50 anni. Si passa dalla Ricostruzione ai giorni nostri, evidenziando le relazioni tra scelte professionali, sentimentali e familiari fino a quelle politiche. E si delineano alcuni sviluppi. Maria, nata nel 1938, racconta il sogno del «posto fisso»: con il suo primo stipendio da insegnante, 120 mila lire, in cinque mesi si comprò una 500, godendo di grande prestigio sociale per il suo impiego nella scuola. Gina, classe 1949, racconta l’inarrestabile ascesa del debito pubblico italiano dal 40% della sua infanzia al 124% del 1994, attraverso la vicenda di un caro amico che diventa progressivamente più povero. Fino a Carlo, 25 anni, dj in una radio locale, che terrorizza sua madre con la prospettiva di un Dico.

Perché le aspettative della «classe media» sono assai meno rosee di ieri? La nostra economia è molto esposta alla concorrenza globale: fonda la sua ricchezza su settori non high-tech, produce meno delle altre nazioni industrializzate ed è imperniata su imprese più piccole, meno portate ad investire su ricerca e formazione. Boeri e Galasso spiegano che, per mettersi al passo, occorre che lavorino tutti e meglio. Ma la forza-lavoro italiana è assai impoverita dall’età pensionabile bassa, dall’alta disoccupazione giovanile e dallo scarso impiego di donne nelle aziende. E bisogna intervenire anche sulla qualità: in particolare su scuola e università

La scuola non è basata sul merito, né per i docenti né per gli studenti. Significativamente, rilevano i due autori, i genitori sono più interessati alla promozione del figlio che alla sua formazione. Si incrina così l’asse scuola-famiglia sul quale si snoda il percorso didattico. Nel VI Rapporto giovani dell’Istituto Iard a cura di Carlo Buzzi, Alessandro Cavalli e Antonio de Lillo (Il Mulino, pp. 400, euro 29), un’indagine molto ricca sulla condizione giovanile italiana, si registra la percezione della scuola nelle nuove generazioni: i docenti rimangono un punto di riferimento, ma ad esserne meno convinti sono le fasce estreme di studenti, quella dei più bravi e quella dei più carenti. La scuola non è dunque democratica, e utile per il Paese, proprio perché non gratifica i più preparati ma chi trae già gli strumenti in famiglia.

Ma se Sparta piange, Atene non ride... A parte la cronica carenza di fondi, anche il funzionamento degli atenei non consente di promuovere gli istituti e i docenti che si segnalano per ricerca, pubblicazioni e brevetti. Vige una logica di anzianità, che finisce, di nuovo, per penalizzare quei ragazzi che non possono permettersi soggiorni all’estero, corsi di specializzazione ed Erasmus. Un dibattito su questo tema si è acceso recentemente anche in Francia, dove le proteste studentesche prendono di mira le riforme di Sarkozy. Ma i laureati italiani vedono anche poco remunerato il loro «pezzo di carta». Secondo i dati dell’istituto Iard, i giovani non considerano il titolo utile nella ricerca dell’impiego, benché funzionale nello svolgimento del lavoro. E anche la tanto evocata «fuga dei cervelli», rilevano Boeri e Galasso, si riassume con un dato: la media di laureati tra quanti partono è doppia rispetto al resto della popolazione italiana.

Tutti questi nodi vengono al pettine al momento del primo impiego. Nel Dopoguerra il salario di ingresso era più alto di quello medio, mentre oggi i nuovi assunti guadagnano in media il 35% in meno dei lavoratori più anziani. La famosa flessibilità ha portato ad una precarietà generalizzata sia dei lavoratori, che faticano ad arrivare a fine mese, a pagarsi i contributi previdenziali e a formare una famiglia, sia delle imprese, che non ottengono garanzie per investire nella formazione degli impiegati più «giovani». La colpa è anche di alcuni ritardi culturali: dall’istituzione della legge, solo otto padri su cento (8!) usufruiscono del congedo di paternità, preferendo il lavoro ai pannolini e restando insensibili al fulgido esempio del Ministro inglese David Miliband, in famiglia per addirittura quindici giorni. Allo stesso modo, non si impenna la domanda di asili-nido a causa della sanzione sociale, ancora molto forte, nei confronti delle mamme che non si occupano personalmente del figlio; in Italia sono le donne a lavorare maggiormente (in media un’ora in più al giorno) ma ad essere pagate di meno.

I due economisti propongono una serie di soluzioni a queste problematiche: adozione di un contratto unico a tempo indeterminato con tre diversi scatti a tutela crescente (prova, inserimento e stabilità), simile per certi versi ad un’altra idea del presidente francese; istituzione di un reddito minimo garantito (solo a chi ne ha davvero bisogno), per ridurre la povertà tra chi non lavora; misure per favorire il reinserimento delle giovani mamme, prevedendo anche un congedo di paternità interamente retribuito; liberalizzazione delle professioni con pubblicità comparativa, preventivi con tariffe a forfait e nessun numero chiuso fissato per legge (con conseguente abolizione degli ordini); completamento della riforma delle pensioni con il definitivo passaggio al sistema contributivo, abolendo le pensioni di reversibilità per i nuovi lavoratori (che sarebbero comunque coperti dal salario minimo garantito). Sono, queste, strade percorribili: hanno il pregio di affrontare problemi endemici in maniera radicale e scevra da pregiudizi, dopo un’ analisi della società italiana, condotta per tutto il volume, a tratti impietosa ma certamente assai lucida.

Ma la vera sfida per tutti, forse, è abbandonare due vizi nazionali molto comuni nell’affrontare questo tema: disfattismo e paternalismo. Contro i giovani evita di indugiare sulle pecche evidenti della nostra classe politica («sport nazionale») preferendo piuttosto leggere le storture della società nel suo complesso. Allo stesso modo il Rapporto giovani fornisce un quadro privo di banalizzazioni e con qualche sorpresa: emerge che i giovani sono al 90% felici della loro vita, che sono disposti alla flessibilità all’inizio della propria carriera (come sostiene anche il Ministro Melandri nella sua prefazione) purché non diventi cronica, che puntano soprattutto ad un lavoro autonomo e che sono sempre più simili ai loro genitori. Per questa ragione aspirano meno alla propria autonomia, seppure il fenomeno della permanenza prolungata nella famiglia d’origine mostra i primi segni di regressione. Mostrano una maggiore tolleranza nei confronti dei fenomeni di devianza sessuale ed economica, si riavvicinano ai valori religiosi e recuperano forme di impegno sociale e, più raramente, politico. Forse incapaci di grandi entusiasmi, ma neanche generazione-Garlasco, i ragazzi non corrispondono all’immagine che gli adulti hanno di loro, in cui «prevalgono sicuramente i tratti negativi sui tratti positivi».

* l’Unità, Pubblicato il: 07.12.07, Modificato il: 07.12.07 alle ore 9.11


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