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Chi siamo noi, in realtà?! Chi educa chi?!

ITALIA. PAESE IMPAZZITO: BULLISMO ... GENERALE E DI STATO. Una questione antropologica e "teologico-politica"!!! Collodi (e Calvino ce lo ha ben detto e ripetuto!!!) aveva già gettato l’allarme: "la bulimia esistenziale nel Paese dei Balocchi" (Michele Serra) trasforma in "asino" (oggi, in "toro" -"bull") e non è dei "Pinocchio", ma degli adulti ... e di "Geppetto" e "Maria", che non sanno ancora "come nascono i bambini"(Freud) ... e "come si diventa ciò che si è" (Nietzsche)!!!

"C’era una volta. - Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori. - No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno"!!!
domenica 19 novembre 2006 di Federico La Sala
[...] Ognuno di noi sperimenta su se stesso, e più ancora sui figli, se ne ha, l’enorme difficoltà di introdurre, in questo meccanismo rotto, un calmiere, un contrappeso etico. Se l’aggressività dei minori ci spaventa più di quanto è fisiologico, questo dipende, io credo, dal fatto che la paura si manifesta per causa loro, ma non è paura di loro: è la paura - profondissima - di avere perduto in gran parte gli strumenti per affrontarla. E’ la paura di avere reso inarticolato il linguaggio (...)

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> PAESE IMPAZZITO: "BULL"-ISMO ... GENERALE E DI STATO. Una questione antropologica e "teologico-politica"!!!

sabato 20 gennaio 2007

Dal Sud il segnale di un’emergenza educativa

Se dietro il bullismo piccoli mafiosi crescono

di Domenico Delle Foglie (Avvenire, 20.01.2007)

Baciamo le mani. Quante volte ci è capitato di intercettare la fatidica espressione nei romanzi di Leonardo Sciascia e di Andrea Camilleri, o nei film di Francesco Rosi. E sempre un moto dell’anima ci portava a rifiutare non solo l’immagine, ma anche l’evocazione di un retroterra culturale fatto di antichi atti di vassallaggio. Difficile scindere quel gesto e quell’espressione dalle arcaiche leggi non scritte del mondo contadino meridionale, dalle violente sottomissioni ai latifondisti, dai soprusi e dalle violenze che le plebi del Sud hanno dovuto sopportare sino alla metà del secolo scorso. Per non parlare dell’altro livello, quello dell’obbedienza silenziosa e remissiva alle disposizioni del «padrino», che il più delle volte era anche il latifondista e l’uomo di rispetto del paese. Quello a cui chiedere favori, elemosinare le semenze per poter far fruttare i campi e al quale pagare il debito in natura. E guai a non essere puntuale.

Ecco perché non riusciamo a derubricare come un qualunque atto di bullismo quello perpetrato da un ragazzo in una scuola media di Bari. Lui, il violento, pretendeva che un compagno di classe gli rendesse omaggio baciandogli le mani. E all’ennesimo rifiuto, ha pensato bene di colpire il compagno tanto da spedirlo in ospedale per una settimana. Sembra di vederli: da una parte l’arrogante che intima «baciami le mani». E l’altro che dopo il secco «no» viene aggredito e malmenato nell’indifferenza dei compagni di classe. Il tutto durante il cambio dell’ora di lezione, approfittando dell’assenza dei professori.

Dalle indagini è emerso che l’undicenne violento «voleva comandare e pretendeva il rispetto dai compagni di classe». Ma che razza di rispetto potrà mai essere quello conquistato con la violenza? A quali codici diseducativi quel ragazzo ha attinto la propria condotta? E le domande a questo punto potrebbero moltiplicarsi fino a coinvolgere i genitori, i coetanei e le strutture educative. Su e giù per la scala sociale.

Di sicuro, il fattaccio di Bari dovrebbe indurre a ripensare le nostre categorie di giudizio, a partire da quella di bullismo. Ma al tempo stesso dovremmo riflettere sulla persistenza di modelli socio-culturali che spingono all’indietro le lancette della nostra vita civile. Sembra quasi che in alcune aree del nostro malandato Paese il modello mafioso-camorristico non voglia proprio mollare la presa. E che anzi voglia appropriarsi subdolamente dei luoghi del vivere civile, scuola compresa. Ricostruendo così nelle aree marginali e degradate il mito dei «piccoli mafiosi crescono».

Infine la vittima: quel ragazzo lasciato solo a difendersi dinanzi al violento è la metafora più efficace di chi trova il coraggio di ribellarsi al sopruso, ma non riceve la concreta solidarietà che merita nel contrastarlo. E chi ha vissuto situazioni simili sa bene che non c’è nulla di peggio della solitudine. Se dunque è assolutamente legittimo parlare di emergenza educativa, non c’è altra strada percorribile che quella della costruzione di una rete sociale in cui i ragazzi del Sud non si debbano sentire mai soli. Un terreno, questo, sul quale il mondo cattolico ha ancora risorse educative da spendere. Perché se proprio ci sono mani da baciare, possono essere solo quelle della propria ragazza, moglie o madre. Mai quelle del mafioso di turno.


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