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Per l’Italia di Gioacchino da Fiore e di Dante !!!

MATEMATICA E ANTROPOLOGIA, ALTRO CHE MISTERO. GALILEO GALILEI E’ GALILEO GALILEI ... E LA TRASCENDENZA CRISTIANA NON E’ LA TRASCENDENZA "DELL’ENTE ...CATTOLICO-ROMANO", DEL VATICANO!!! Cerchiamo di "non dare i numeri": il "Logos" non è un "Logo", e la "Charitas" non è la "caritas"!!!

domenica 31 dicembre 2006 di Federico La Sala
HAI VINTO, O GALILEO! L’elogio "laicista" di Piergiorgio Odifreddi diventa per Michele Smargiassi (seguendo De Santillana) un "Hai vinto, Vaticano"!!!
Aristotele fu un uomo, vedde con gli occhi, ascoltò con gli orecchi, discorse col cervello. Io sono un uomo, veggo con gli occhi, e assai più che non vedde lui: quanto al discorrere, credo che discorresse intorno a più cose di me; ma se più o meglio di me, intorno a quelle che abbiamo discorso ambedue, lo mostreranno le nostre ragioni, e non (...)

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> MATEMATICA E ANTROPOLOGIA ---- Antropologia e matematica. Dai modelli della complessità la nuova interpretazione del linguaggio.

giovedì 16 febbraio 2012

Antropologia e matematica

Alla Fondazione Isi e all’Università La Sapienza le ricerche sull’origine della comunicazione

Così imparammo a dire rosso

Dai modelli della complessità la nuova interpretazione del linguaggio

di Gabriele Beccaria (La Stampa TuttoScienze 15.02.2012)

-  Vittorio Loreto Fisico RUOLO: E’ PROFESSORE DI FISICA ALL’UNIVERSITÀ LA SAPIENZA DI ROMA E COORDINATORE DEL GRUPPO DI «INFORMATION DYNAMICS» ALLA FONDAZIONE ISI DI TORINO

Se le parole si inceppano, meglio saltare sui numeri. Per esempio quando si indagano le acrobazie dei linguaggi, come sbocciano e si trasformano, come si impongono e si estinguono. E infatti nella nicchia ecologica dei linguisti si stanno intrufolando i fisici ed i matematici, trascinando con sé la potenza di calcolo delle formule e i verdetti spiazzanti degli algoritmi. E non solo. Insinuano punti di vista inattesi e a volte provocatori, incrinando la sacralità di quella che consideriamo la nostra dote più sofisticata, e allo stesso tempo plasmano modelli inediti per rispondere a un interrogativo antichissimo: perché parliamo e così tanto?

Professor Vittorio Loreto, lei è fisico all’Università La Sapienza di Roma e coordinatore del gruppo di «Information Dynamics» alla Fondazione ISI di Torino ed è proprio uno di questi «alieni»: incrocia strumenti teorici e computazionali (come i giochi linguistici) con test sul Web. Che cosa pretendono di svelare i suoi numeri?

«Partiamo dal metodo: il mio team costruisce dei modelli sintetici al calcolatore, che riproducono le interazioni tra coppie di individui e le replicano in serie per studiarne gli effetti su larga scala. Si tratta di simulazioni numeriche, con cui si esplorano alcune ipotesi cognitive sui modi in cui comunichiamo».

Lei si è interessato, tra l’altro, a come si possano inventare i nomi dei colori.

«In particolare all’universalità della categorizzazione dei colori. Si è osservato che in alcune popolazioni pre-industrializzate i nomi dei colori primari si limitano a due e indicano il chiaro e lo scuro. Quando emerge un terzo vocabolo, questo è quasi invariabilmente il rosso, seguito - di nuovo in una successione pressoché costante dal verde e dal giallo e in una fase ulteriore da blu, marrone e poi violetto, rosa, arancio e grigio. Finora nessuno aveva dato una spiegazione convincente di questo ordine».

Qual è l’interpretazione?

«Siamo partiti da un punto fondamentale, anteriore al linguaggio stesso e di tipo fisiologico: ciò che ci accomuna è il potere risolutivo dell’occhio, vale a dire la capacità di discriminare i colori sulla base delle loro frequenze. Per alcune, come il blu o l’arancio, siamo più sensibili, mentre nei confronti di altre, come il rosso, abbiamo prestazioni inferiori. La conseguenza è significativa».

Può spiegarla?

«Se si ha una bassa capacità di discriminazione per le tonalità del rosso, è probabile che le persone si accorderanno rapidamente su che cosa sia. Quando invece cresce l’accuratezza della visione di altre tonalità, tipo il blu o l’arancio, l’accordo su ciò che sono e non sono richiede molto più tempo, perché si moltiplicano i distinguo. Queste differenze sono importanti, perché permettono di stabilire delle ipotesi con cui quantificare i tempi evolutivi richiesti per far emergere un sistema condiviso con il quale nominare i colori. Sono risultati nuovi, numerici, appunto, con i quali cominciamo a osservare il linguaggio a partire da principi di comunicazione».

Si riferiscono ai «giochi linguistici», in cui riproducete la transizione da una fase di frammentazione della comunicazione a un’altra di consenso generalizzato?

«Partiamo da simulazioni della comunicazione tra due persone e le allarghiamo a intere popolazioni, analizzando modi e tempi. L’approccio vale per le categorie dei colori, ma anche per altre realtà a cui ci stiamo dedicando: l’emergere delle strutture sintattiche, per esempio, oltre che dei significati e dei simboli».

E così ai linguisti «tradizionali» servite un’ingombrante sorpresa, cioè una nuova disciplina, la «linguistica in silico»: non vi accontentate di teorie, ma tentate esperimenti su larga scala.

«La chiamiamo “in silico” per le caratteristiche dei test: vengono condotti con i calcolatori sia su popolazioni artificiali sia in modi ancora più sofisticati. Alla Fondazione ISI e all’Università Sapienza studiamo come utilizzare il Web, esaltandone le caratteristiche di laboratorio ideale. Se finora le scienze sociali dovevano accontentarsi di campioni limitati, ora i social networks garantiscono una base enorme di utenti e permettono di riprodurre realisticamente i protocolli d’interazione tra individui, e non solo in ambito linguistico».

Può fare un esempio?

«“Mechanical Turk”: è una piattaforma Web che riproduce un mercato del lavoro virtuale, in cui gli utenti svolgono una serie di compiti - dalla categorizzazione di immagini alla trascrizione di registrazioni - e vengono retribuiti da specifici “datori di lavoro”. E’ l’esempio di una tendenza generale in cui il Web sta diventando un’infrastruttura per una “computazione sociale”, poiché consente di coordinare le capacità cognitive di computer umani, realizzando così esperimenti di massa nell’ambito delle scienze sociali. Si tratta di uno scenario agli albori, ma ricco di promesse e applicazioni: all’ISI e alla Sapienza lavoriamo a un progetto europeo sulle dinamiche di opinione. Vogliamo capire come si formano e si trasformano, dall’inquinamento ai cambiamenti climatici».

Ritorniamo al linguaggio: una volta filtrato dai numeri, che cosa appare?

«Un sistema complesso. Dall’interazione ripetuta di tanti elementi semplici vengono alla superficie esiti non prevedibili. Il linguaggio significa cambiamenti continui: ecco perché abbiamo appena iniziato a scalfirne i misteri».


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