LETTERATURA
Il Libano di Gibran, ieri come oggi
di Fulvio Panzeri (Avvenire, 25.11.2006)
C’ è un nuovo e ritrovato interesse per l’opera di Gibran, un autore che non ha mai smesso di affascinare il pubblico e le generazioni grazie ai temi forti della sua spiritualità e soprattutto per la necessità di non porre fratture tra le due dimensioni, quella dell’Oriente, la cultura in cui è cresciuto e quella dell’Occidente a cui non ha mai guardato, con sospetto, anzi, ha cercato di trovare punti di accordo tra le due realtà conoscitive.
È molto utile quindi riscoprire Gibran nella sua interezza, non solo come l’autore di un libro cult, come Il profeta, sentito con grande intensità da generazioni sempre diverse, ma anche come uomo di pensiero, nella sua integralità di scrittore. Infatti è uno scrittore che "disorienta", come sottolinea Alexander Najjar, nella recente bella biografia (pagine 224, euro 18,00) tradotta da Il leone Verde. Come interpretare anche dal punto di vista letterario, un libro come Il profeta? Non è un romanzo, non è un saggio e nemmeno un’opera poetica. È letteratura allo stato puro che colloquia con i temi della spiritualità. È il tentativo di svelare all’uomo la sua «nuda realtà», quella che può raggiungere la persona spirituale, «colei che - sottolinea sempre Gibran - avendo fatto esperienza di tutte le cose terrene, le rifiuta».
Così Gibran, come sottolinea il biografo, resta assente dalla maggior parte dei dizionari e dei testi occidentali dedicati alla letteratura. Forse perché è impossibile classificarlo anche come autore: «scrittore arabo che scrive in inglese, nato in Libano, ma residente negli Stati Uniti, a cavallo tra Oriente e Occidente». Uno che conosce bene i due mondi e sa quali sono i rischi della cultura occidentale e sa come evitarli, ma chiede anche alla cultura araba il bisogno di un’innovazione. In Italia i tempi sembrano maturi per fare i conti "critici" definitivamente con Gibran: l’Universale Economica di Feltrinelli nella collana dei classici traduce un’antologia di Gibran, Scritti dell’ispirazione, materiali diversi, dalle poesie agli aforismi, ai racconti sapienziali, come la favola di una viola, il messaggio rivoluzionario di un eretico, l’insegnamento trasmesso dal Discepolo al Maestro, un libro che dimostra come l’autore possa toccare il cuore di lettori sempre così diversi. È la forza della sua spiritualità che nasce da un bisogno continuo di spoliazione, di verità, di sentire autentico.
C’è anche un forte amore verso il Libano, il suo paese, quello vero, quello autentico, «scritto da Dio» e sacro nella sua dimensione di terra dei cedri. In questo frangente, quando il Libano torna a far parlare di sé, in cui l’ingerenza siriana è ancora fortissima, come dimostra la cronaca di questi giorni, Gibran riesce a dare ancora risposte, a farci capire sia attraverso l’antologia, sia attraverso la biografia, aspetti che è necessario conoscere di questo lembo di terra. Rileggere nella biografia il suo celebre articolo del 1920, in cui dichiara il suo amore per il Libano e per i suoi figli e biasima i politici che l’hanno tradito, vuol dire ripensare a ciò che succede oggi. E’ un articolo che le autorità siriane, allora molto irritate, sopprimono dalla rivista su cui viene pubblicato. Diceva Gibran, ascoltando il suo cuore: «Il vostro Libano è un problema internazionale su cui speculano poteri oscuri... Il vostro Libano è uno scacchiere su cui si affrontano un capo religioso e un capo militare. Il mio Libano è un tempio che visito in spirito quando il mio sguardo è stanco di osservare il volto di una civiltà che cammina sulle ruote».
Kahlil Gibran, Scritti dell’ispirazione, Feltrinelli. Pagine 208. Euro 8.00