INTERVISTA
«Non siamo in un Paese normale. I magistrati? Li vorrei più coraggiosi»
di GERARDO D’AMBROSIO
MILANO - «Non siamo un paese normale». Gerardo D’Ambrosio, l’ex procuratore di Milano che dal 2006 è senatore dell’Ulivo, reagisce alla sentenza di ieri con parole analoghe, ma di opposto significato, rispetto ai commenti dei sostenitori di Silvio Berlusconi.
Tutta la Casa delle libertà tuona che l’assoluzione è la riprova dell’«uso politico della giustizia», del «vergognoso accanimento» dei magistrati di Milano.
«Vergognose sono le leggi ad personam che certi legislatori hanno approvato al solo fine di impedire i nostri processi, di evitare una sentenza quale che fosse. Se si può giudicare solo nel 2007 un fatto di corruzione commesso nel 1991 e scoperto nel 1995, lo si deve proprio a una norma ad hoc che è stata dichiarata incostituzionale! La legge sul falso in bilancio, la stessa che ha reso non più punibili le accuse più gravi all’imprenditore Berlusconi, perché nessuno lo ha mai processato per le sue idee politiche, quella è ancora in vigore. Per rimediare a errori veri o presunti, ci sono tre gradi di giudizio con mille garanzie. E’ il deformare le regole che crea un danno irrimediabile alla giustizia e alla credibilità del Parlamento».
Questa volta non sono i politici, ma i giudici d’appello di Milano a dire che Berlusconi è innocente.
«Le sentenze si rispettano sempre, ma si possono anche criticare. Prima delle motivazioni, non faccio commenti di merito. Dico solo che il dispositivo della sentenza mi sembra estremamente singolare. Parlo dei 434 mila dollari usciti dai conti della Fininvest, passati sul conto dell’avvocato Previti e finiti sul conto del giudice Squillante: neppure il presidente Castellano, in primo grado, se l’era sentita di assolvere Berlusconi. Il tribunale aveva concesso solo a lui le attenuanti che avevano fatto cadere il reato in prescrizione».
Ora invece il collegio del presidente Nese lo ha assolto «per non aver commesso il fatto» in base al «secondo comma» dell’articolo 530.
«Appunto, quindi la corruzione c’è stata. Anche questa sentenza dice che Previti ha corrotto Squillante, ma ritiene insufficiente la prova che Berlusconi sapesse che il suo avvocato pagava il capo dei gip di Roma... con i soldi della Fininvest! Mah... La procura generale aveva chiesto cinque anni di reclusione, è prevedibile che farà ricorso in Cassazione. Alla stessa Cassazione che ha reso definitive le condanne di Previti e del giudice Metta per la corruzione da mille miliardi di lire del caso Imi-Sir».
Alla stessa Cassazione che, proprio per questi 434.404 dollari, ha annullato le condanne inflitte in tribunale e confermate in appello per Previti e Squillante, ordinando di rifare a Perugia un processo ormai prescritto.
«Qualsiasi persone civile non può che restare profondamente amareggiata dall’andamento così tortuoso di un processo a un alto magistrato imputato di aver svenduto le proprie funzioni».
Ora che ha smesso la toga e non rischia più sanzioni, risponda con franchezza: dodici anni di attacchi hanno intimidito anche la magistratura? Lungo silenzio.
«Sono domande che si fanno tutti. Gli episodi ormai sono tanti e il dubbio s’insinua. Fare solo i processi alla criminalità comune è sicuramente più facile. Tra il ’92 e il ’94 siamo stati ingenui: pensavamo che ottenere 1408 condanne definitive per tangenti bastasse a dare un colpo decisivo alla corruzione. Invece quando abbiamo toccato interessi più forti, ci hanno cambiato le leggi. Contro questa criminalità superiore, in ogni periodo storico, ci vogliono magistrati eccezionalmente capaci, autorevoli e preparati. E anche più coraggiosi. Ora questa sentenza servirà a far credere che eravamo tutti toghe rosse compreso Davigo: Berlusconi lo ripete da 15 anni. Prima del Vajont, l’unica giornalista che denunciò la frana era bollata come comunista. Di me e Alessandrini lo dicevano già quando indagavamo sui terroristi di destra per la strage di piazza Fontana. Dopo 30 anni, la Cassazione ci ha dato ragione. Alla fine è la storia a giudicare la giustizia».
Paolo Biondani
*(Corriere della Sera, 28 aprile 2007)