Il blackout sul referendum
di Giovanni Valentini (“la Repubblica”, 27 maggio 2007)
L’ingenuità è una predisposizione dell’animo. Un impulso spontaneo ad agire secondo natura, senza lasciarsi paralizzare dallo scetticismo né condizionare dalle disillusioni. (da "Ci salveranno gli ingenui" di Massimo Granellini - Longanesi, 2007 -pag. 8)
È fuori dubbio che il centro-sinistra, rappresentando la maggioranza parlamentare e guidando il governo del Paese, ha oggi la maggiore responsabilità nella crisi di sfiducia che colpisce la politica, l’intera classe politica, nel rapporto con l’opinione pubblica. Da qui deriva, appunto, quel "disincanto democratico" - come l’ha chiamato il direttore di Repubblica nel suo ultimo editoriale - da cui è affetto ormai il popolo di sinistra. E cui corrisponde, sul fronte opposto, un risentimento più o meno antidemocratico nei confronti del Palazzo, di chi detiene e gestisce il potere.
Non c’è da meravigliarsi, perciò, che cresca ogni giorno di più la marea dell’antipolitica, contro le disfunzioni, i ritardi e le inefficienze del sistema, contro i privilegi, gli abusi e gli sprechi. Sappiamo bene che si tratta di un’onda lunga, originata da cause remote e profonde: la fine delle grandi ideologie del Novecento; la caduta dei valori; la prevaricazione dell’economia sulla politica, con lo strascico di affarismo, di lobbismo e darwinismo sociale che si porta dietro. Eppure, l’accelerazione degli ultimi mesi va ben al di là degli errori o demeriti del governo in carica: errori di comunicazione, come ha ammesso lo stesso presidente del Consiglio; demeriti suoi o dei suoi ministri, nella confusione delle idee e delle posizioni che appanna la compagine governativa.
Non si può negare il fatto che quest’ultima fase della degenerazione politica è il prodotto di una legge elettorale mostruosa, di una colossale "porcata", per ripetere la definizione del suo stesso artefice, l’ex ministro leghista Roberto Calderoli, approvata fra l’altro anche dalla Confindustria adulta contro la posizione di quella giovanile. Vale a dire, un meccanismo di rappresentanza che ha destabilizzato il Parlamento, da una parte favorendo la frammentazione dello schieramento politico e dall’altra alimentando un’ulteriore dilatazione della partitocrazia. Come si fa, allora, a trascurare le responsabilità ancora più gravi che pesano per questo sul centrodestra?
Nella babele mediatica dell’Italia contemporanea, il "Porcellum" rischia di essere dimenticato, accantonato, rimosso dalla coscienza collettiva, come se fosse un incidente di percorso o un fattore marginale. E proprio da questo vizio risulta ingenuo riproporre il referendum elettorale -il primo non appoggiato ufficialmente dagli industriali - come un antidoto immediato e praticabile. E’ vero: non basta, non risolve il problema, non è un rimedio definitivo. Ma intanto è il primo strumento o la prima occasione a portata di mano per contenere la deriva o quantomeno per sperare d’innescare, se non proprio un’inversione di tendenza, un "ravvedimento operoso" da parte della classe politica. Altrimenti, chi o che cosa potrà indurre il Parlamento ad autoriformarsi, ad abolire una delle due Camere, a ridurre le spese, a rinunciare ai propri privilegi di casta, vitalizi, pensioni d’oro, auto blu, biglietti aerei, tessere ferroviarie, del teatro o del cinema?
L’ingenuità di Mario Segni e compagni è tale da superare anche lo scetticismo, le delusioni e le disillusioni del passato. Avrà pure vinto la lotteria e poi perso il biglietto, il leader del fronte referendario, ma almeno ha portato una ventata d’aria pulita in una camera a gas, inquinata dai veleni del potere e del sottopotere, dalla decomposizione dei partiti, dalla putrefazione di un sistema che già non reggeva più all’inizio degli anni Novanta. E oggi, dopo l’incerta transizione dalla prima alla seconda Repubblica, il prossimo referendum può servire ancora una volta a incanalare la protesta della società civile verso uno sbocco utile e costruttivo.
Si, la forma non fa la sostanza, l’ingegneria istituzionale non supplisce alla crisi della politica, la legge elettorale non è sufficiente a contrastare l’antipolitica. Tutto giusto e tutto vero. Ma la consultazione popolare, nel vuoto pneumatico di ideali e di slanci che deprime la vita nazionale, rappresenta comunque un motivo di mobilitazione, una risposta sicuramente democratica e costituzionale alla politica dell’antipolitica: cioè alla demagogia, al populismo, al qualunquismo che in molti tentano di cavalcare a rischio dell’ingovernabilità, per difendere i propri interessi di parte o di bottega. O magari per prefigurare un "governo degli ottimati", come quelli che nelle antiche città-stato e nei comuni medievali erano composti dai cittadini più influenti per censo o posizione sociale: questa volta ha ragione Berlusconi a dire che conta il popolo non la Confindustria.
«Gli innocenti - scriveva il filosofo Bertrand Russell - non sapevano che la cosa era impossibile e per questo la fecero». Oltre all’ingenuità, occorrerebbe però anche una buona dose di generosità politica per far decollare il referendum contro il "Porcellum": a cominciare proprio dal centrosinistra e dai soci fondatori del Partito democratico. Con un tale deterrente, forse potrà cambiare qualcosa nella politica italiana; senza, non cambierà verosimilmente nulla. Ma il blackout mediatico, e in particolare quello del duopolio televisivo, fa solo il gioco dell’antipolitica.
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