Il miasma di Weimar
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 15/07/2007)
Difficile dire come mai quel che ultimamente vediamo sui telegiornali pubblici e privati non ci impressioni più di tanto. Accade ogni sera, ed è ormai pane quotidiano della politica, dell’informazione.
Il capo dell’opposizione, Silvio Berlusconi, gesticola su un pulpito nel mezzo d’una piazza e dichiara morto il governo definendolo illegittimo, figlio di brogli, erede di criminose ideologie defunte. Fa un comizio dopo l’altro davanti a folle enormi che lo osannano, come se fossimo nel cuore infiammato di una campagna elettorale. Probabilmente l’evento non ci impressiona perché siamo abituati al controsenso eretto a sistema. Perché la cultura dell’instabilità che avevamo riguardo a inflazione e moneta s’è trasferita nella politica. Perché la storia a noi dice poco, e le instabilità nostre non ci ricordano instabilità - come quella di Weimar - che altrove rimangono un’ossessione.
Se fossimo visitatori stranieri, quel che succede ci riempirebbe di stupore, d’incredulità. Infatti non siamo in mezzo a una competizione elettorale, il Parlamento non è sciolto, il governo sta governando a fatica ma governa. Berlusconi è solo, a gesticolare sui podi di Napoli o Lucca. Non ha rivali, come usa nelle campagne elettorali: oggi per i rivali è tempo di governo, non di comizi e conquista del potere. Lo straniero avrebbe non poche ragioni per domandarsi se per caso l’Italia non stia deragliando. Se non stia scostandosi da quel principio essenziale della ragione che è il principio di non contraddizione. Non si può al tempo stesso dire che l’uomo è animale bipede e il contrario: «niente simultaneamente può essere e non essere», insegna Aristotele.
Invece da noi no. C’è chi governa da oltre un anno e c’è chi fa finta che no, e agisce come se al comando non ci fossero che ombre usurpatrici o immaginarie. È menzogna illusionista, ma Berlusconi ha il talento di trasformare le menzogne in verità condivise dai più. Con tale dote suscita poteri opposti a quelli legali sino a farli apparire e renderli reali: poteri delle piazze, dei sondaggi, dei media, di corpi separati dallo Stato appunto come a Weimar. Per capire come fa, bisogna mettersi nelle vesti dell’osservatore straniero - condividere la sua capacità di stupirsi, d’interrogarsi - e cercare di penetrare lo speciale potere di persuasione esercitato dal leader dell’opposizione.
È un potere ben conosciuto da chi ha studiato la potenza delle masse, della pubblicità, della propaganda. Già nel 1895, quando scrisse la Psicologia delle folle, Gustave Le Bon - medico di formazione - indicò i tre ingredienti del fascino sprigionato dal meneur des foules, dal trascinatore di folle: l’affermazione che non tollera confutazioni anche se falsa; la ripetizione ininterrotta dell’affermazione; il contagio. Tutti ingredienti presenti nell’agire di Berlusconi, che per prosperare non possono fare a meno di una permanente campagna elettorale, fondata su un vuoto o un passaggio di poteri ingannevoli. Dice Le Bon: i trascinatori «tendono a rimpiazzare progressivamente i poteri pubblici a misura che questi sono messi in discussione e s’indeboliscono». I poteri pubblici non sono solo indeboliti: Berlusconi li dà per morti.
Ma il controsenso non nasce solo dalla discordanza fra governo e conquista del potere. Anche se fossimo in campagna elettorale, l’osservatore straniero si stupirebbe parecchio. Innanzitutto per la violenza, inaudita, che emana dalle folle aizzate (venerdì, a Napoli, Berlusconi ha incitato ad agire un «esercito delle libertà»). Poi per offese che altrove son tabù. Se la folla urla oscenità contro Prodi, Berlusconi non la frena ma la sprona: «Siete lievemente rozzi ma efficaci». Come in Elias Canetti, la ferocia distruttiva degenera in muta animale, se lusingata.
Le Bon spiega come il trascinatore sia a sua volta un trascinato: può esserlo da un’idea fissa e da dottrine nazionaliste, socialiste, o da entrambi. Nel caso di Berlusconi accade l’inedito: la folla, solitamente non mossa da interesse privato (è il singolo ad avere interessi personali) innalza la rivendicazione particolare a interesse collettivo. Nella Psicologia delle folle questa possibilità è contemplata: il capopopolo può essere motivato da privati interessi.
La piazza che un tempo era cruciale per l’ipnotizzatore delle masse è oggi la televisione, oltre alla stampa. Anche su di loro, dunque, s’esercita la triplice potenza dell’affermazione, della ripetizione, del contagio. Anch’esse scambiano per verità l’immagine incantatoria d’una competizione elettorale incessante, d’un governo inesistente, comportandosi spesso come poteri che dall’esterno indeboliscono l’autorità pubblica. Più di un anno è passato dalle legislative, e i notiziari tv non son cambiati. In teoria c’è differenza tra Rai e reti private, di Berlusconi. In realtà, il leader di mercato è tuttora Mediaset e Mediaset dà lo standard, come se non ci fosse stata alternanza: in televisione come in altri corpi dello Stato il governo è di Prodi ma il potere resta di Berlusconi (non pochi suoi uomini d’altronde sono oggi consiglieri ministeriali). Se il governo passa una legge con il voto di un senatore a vita, la televisione lo presenta come patologia (inutile ricordare che anche Berlusconi s’avvalse dei senatori non eletti: il 18 maggio ’94 il suo governo ottenne la fiducia per un solo voto, grazie ai senatori a vita Agnelli, Cossiga, Leone).
Vorremmo citare il Tg1, e in particolare il notiziario di venerdì sul voto al Senato della riforma della giustizia. La cosiddetta pratica del panino resta immutata: il tg apre con dichiarazioni di Castelli della Lega, di Fini e Matteoli di An, di Schifani di Forza Italia (12,47 minuti). Seguono Finocchiaro, Salvi e Mastella, della maggioranza (38 secondi). Chiude il comizio di Berlusconi a Lucca (1 minuto). È la normalità, non un’eccezione: la Rai si ritiene obbligata a offrire lo stesso prodotto del concorrente. Obbligata da chi? Da un istinto fortemente legato al contagio. Nulla è più contagioso della menzogna e dell’immagine chimerica, conclude Le Bon: «Le folle non hanno mai sete di verità. Deificano l’errore. Chiunque le disillude tende a divenire loro vittima».
Il contagio per definizione trasmette l’infezione a tutti, compresi i sani e la città intera: infetta l’opposizione e i suoi tifosi, ma anche sindacati e esponenti della maggioranza. Esponenti d’estrema sinistra che impediscono al governo di decidere. Esponenti di centro che prospettano - come Rutelli - coalizioni alternative senza dire che qualsiasi alternativa, per necessità numerica, includerà i berlusconiani. È l’imperio del miasma, che nella Grecia antica è una misteriosa esalazione che s’espande a causa d’una colpa o un male banalizzato. Il male è quell’interesse personale trasfigurato in interesse collettivo, unito alla convinzione che il governo legale abbia tradito la nazione con pugnalate alla schiena e di conseguenza non sia legittimo.
Esattamente come a Weimar sono tanti a esserne contaminati, nonostante l’oggi non sia mai identico a ieri. Ma il presente può somigliargli, anche se i colpevoli non sono quelli evocati da Ostellino sul Corriere di ieri. Non furono i socialdemocratici a sovvertire Weimar ma i comunisti e i corpi separati (esercito, Freikorps). Oggi come allora, comunisti e destre rivoluzionarie sono di fatto alleate, prigioniere del medesimo miasma. A Weimar l’alleanza fu evidente. A partire dal ’28 i comunisti seguono Stalin, scelgono i socialdemocratici come nemico primario, e nonostante cronici scontri con milizie hitleriane concordano azioni eversive con i nazional-socialisti: referendum contro il governo socialdemocratico in Prussia (1931); comuni mozioni di censura (1932 contro von Papen); sciopero di trasporti e picchettaggi congiunti (autunno ’32); mozione comunista, appoggiata da Hitler, contro il rilancio economico di von Papen (dicembre ’32); mozione che scioglie il Parlamento nel ’32.
L’abitudine al controsenso minaccia anche il rimedio alla distruttività delle folle, che Le Bon individua nell’esperienza. Ma l’esperienza agisce assai lentamente: «Solo se vien fatta su larga scala e ripetutamente». Non ne basta una, come credeva Montanelli, e sovente l’esperienza d’una generazione non vale per le successive. Non basta sapere che Berlusconi ha esorbitanti conflitti d’interesse ed è stato indagato più volte, se c’è miasma e il privato interesse viene deificato. Se c’è miasma Berlusconi appare come vittima immacolata, anche se assolta con formule dubitative e colpevole di numerosi reati prescritti. Effetto del miasma è che non se ne tiene conto. Che i fatti vengono sottratti alla vista, come scrive Marco Travaglio. L’impunità è quel che consente alla folla di inferocirsi senza rischiar nulla, osserva Le Bon. Mimetizzandosi con essa, Berlusconi molto freddamente ne profitta.