Quel cuore di tenebra dell’Italia
ALFIO CARUSO (La Stampa,12/8/2007)
Si dilata il cuore di tenebra di un Paese sempre più attratto dal peggio. Cresce l’Italia che tifa per Moggi o per Corona, per le Br o per Cosa Nostra, per i Borboni o per Previti, per chi incendia i boschi o i cassonetti della spazzatura, per chi blocca le autostrade o le stazioni ferroviarie, per il pluriomicida Battisti o per l’ex ergastolano Fioravanti, per gli evasori fiscali o per i profittatori di Stato, per il professore che frega la scuola o per il genitore che insulta la professoressa. Si procede, ormai, per strappi ulteriori. Dilaga il rifiuto di fare i conti con le proprie scelte. Quanti di voi, almeno una volta, non hanno udito, in risposta a una domanda scomoda, la celebre frase: ben altro è il problema? Esempio: se una parte della Chiesa è impestata dai preti pedofili, il suggerimento è di guardare ai pedofili delle altre religioni. Alla disperata, la responsabilità appartiene agli ebrei, ai massoni, ai radicalchic, ai bevitori di anisette, ai cultori della pesca con la mosca, agli autostoppisti.
Ognuno ha il proprio irregolare di riferimento e, benché le uniche regole calpestate siano spesso quelle del Codice penale, a costui affidiamo lo sfizio che c’induce al sovvertimento. Le motivazioni, lo spessore morale del nostro eroe contano quanto il due di spade con la briscola a oro: l’importante è stare contro, l’istinto è di prendersela con chi incarna il concetto di Istituzione. Pretendiamo persino di essere selettivi, di saper valutare fiore da fiore, dando ovviamente per scontato che soltanto il nostro meriti ogni indulgenza. Così, davanti alla magia dei Faraglioni di Polifemo succede di ascoltare l’appassionato comizio del dotto professore universitario: con il sostegno degli immancabili riferimenti in latino passa, lieve e ispirato, dalla strenua difesa delle ragioni storiche della mafia all’invettiva contro la Legge, incapace di sbattere Moggi dentro la cella più buia e di buttare la chiave.
Con micidiale indifferenza leggiamo sia le intercettazioni nelle quali i brigatisti elogiano l’omicidio di un poliziotto da parte dei presunti fascisti di Catania, sia dei cori contro la polizia echeggiati durante un’amichevole del Catania senza che qualcuno s’indigni, intervenga per farli cessare. Purtroppo la cultura dello «spertu e malandrinu» ha fatto proseliti. La famosa linea della palma avanzante, secondo Sciascia, di 500 metri all’anno è arrivata in vista delle Dolomiti. Stare continuamente in contatto con l’impudenza ha dilatato i confini dell’impunità: consideriamo normale che un inquisito sia nominato capo di gabinetto, componente della Corte dei conti, assessore. Della disavventura romana dell’onorevole Mele non stupiscono la cocaina e le ragazze a pagamento, bensì che Casini l’abbia candidato e tanti pugliesi l’abbiano votato, malgrado il suo coinvolgimento in una vicenda di tangenti, sperperate peraltro al casinò.
In difesa dall’accusa di aver favorito Provenzano, il gioviale Cuffaro, governatore della Sicilia, sostiene che incontrava il braccio destro del boss nel retrobottega di un negozio di Bagheria per concordare il nuovo tariffario sanitario. In un Paese normale la toppa sarebbe molto più grave del buco: significherebbe, infatti, che la Regione più spendacciona e con la peggiore sanità nazionale ha i costi delle convenzioni decisi da Provenzano. Tuttavia, chiamati a scegliere fra Cuffaro e la Borsellino, i siciliani non hanno avuto dubbi. Di conseguenza i capi delle famiglie mafiose sono tornati a occupare ruoli pubblici nei partiti come succedeva quando Salvatore Greco, il fratello di Michele, il papa, era segretario della Dc di Ciaculli.
Dall’alto di un’intolleranza accumulata in secoli di servitù abbiamo inventato la presunzione d’innocenza fino all’ultima sentenza, che in un sistema giudiziario dai tempi biblici significa dimenticarsi la colpa e il colpevole. Dentro la pseudoculla del diritto lo stracitato in dubio pro reo dei romani si trasforma nell’assoluzione di tutti i rei. La Storia ci racconta che in occasioni eccezionali un pirata può diventare baronetto, non che tutti i pirati devono diventare baronetti. Solo in Italia s’ignora che il passato ci precede, dunque don Gelmini e i suoi estimatori pensavano che bastasse cancellarlo per esserne esenti. La televisione insegna che siamo i cavalieri del bene o le vittime del sistema. Per male che vada, la si può buttare in politica. A eccezione di Salvatore Giuliano, il giochino finora è riuscito a tutti.