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E’ tutto finito? La lezione di Antonino Caponnetto: "Nessuno di noi, e io meno di chiunque altro, puo’ dire che ormai tutto e’ finito" (Una preghiera laica ma fervente)!!!

RESTITUITEMI IL MIO URLO!!! IL GIORNO DELLA MEMORIA E LA DIGNITA’ DELL’ ITALIA. IL TRUCCO DELLO SPECCHIETTO DELLE ALLODOLE FUNZIONA ANCORA E LA CARTA DI IDENTITA’ DI TUTTI GLI ITALIANI E DI TUTTE LE ITALIANE E’ RIDOTTA IN POLTIGLIA .... DALLA CINA UNA GRANDE LEZIONE!!!

L’aver dimenticato l’importanza della Parola ci sta portando direttamente nelle fauci della guerra civile e al suicidio culturale, politico e sociale.
venerdì 1 febbraio 2008 di Federico La Sala
[...] ITALIA! La questione del NOME racchiude tutti i problemi: appropriazione indebita, conflitto di interessi, abuso e presa di potere... in crescendo! Sonnambuli, ir-responsabili e conniventi, tutti e tutte (sia come persone sia come Istituzioni), ci siamo fatti rubare la parola-chiave della nostra identità e della nostra casa, e il ladro e il mentitore ora le sta contemporaneamente e allegramente negando e devastando e così, giocati tutti e tutte, ci sta portando dove voleva e vuole (...)

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> "DUE POLI" (?), DUE "POPOLI"(?), E L’ITALIA ALLA DERIVA. AVANTI TUTTA: "UCCIDETE LA DEMOCRAZIA"!!! LA "NOTTE" E’ COMINCIATA A "SCENDERE" QUANDO E’ STATO (ED E’ ANCORA !!!) "PERMESSO" A "UNA PERSONA" E A "UN PARTITO" L’ABUSO DELLA “PAROLA”. Che "forza"!!! Che vergogna!!! Istituzioni e cittadini, tutte e tutti - sonnambuli e conniventi?!! LUNGA VITA ALL’ITALIA !!!

mercoledì 12 settembre 2007

E il Grillo parlante liberò le nevrosi della politica

di Oliviero Beha *

Sarà pure uno «scemo di guerra» come dice qualcuno senza approfondire ma solo per esorcizzare. E per l’ironia e l’astuzia se non della storia almeno della cronaca, Scemo di guerra è il titolo di un film del 1985 di Dino Risi, appunto con Beppe Grillo e Coluche, il comico/politico italofrancese ahimé defunto che per certi versi più gli somiglia. Ma certamente Grillo ha nel suo dna un concentrato di mediaticità fenomenale. È uno strumento naturale di comunicazione.

E anche per questo che lui sottolinea tra i tanti elementi soprattutto l’elemento internet a proposito del successo stratosferico del V-Day di sabato scorso, con numeri che fanno arrossire la politica partitocratrica corrente. La tesi è semplice e palese: se vengo ignorato dai media tradizionali per mesi e anni, mentre dico agli italiani (ma non solo: avete visitato il suo sito in inglese?) le cose che tv, radio e giornali per lo più non dicono oppure dicono quasi soltanto a senso unico, incrociato, dal centro-destra contro il centro-sinistra e viceversa, e raggiungo i numeri del V-Day, di partecipazione e di firme per le petizioni popolari, ebbene ho svoltato.

Posso farne a meno, dei massmedia cioè di «questi» massmedia, mentre loro non possono fare a meno di me, di dare notizie sia pure in modo discutibile su di me e su quello che dico e faccio. Si apre con il mondo di internet un altro paesaggio. Arrivano i giovani a moltitudini, giovani scomparsi dalla scena dell’impegno e invisibili su altri palcoscenici che non fossero quello atroce eppur comprensibile di un programma della celestiale De Filippi. In piazza vedi finalmente le donne, altra categoria avulsa dalla scena socio-politica del paese ed evocata solo per dire che «all’università vanno meglio degli uomini».

Di più: abituati come siamo alla dicotomia degli eserciti di informazione al servizio dei due schieramenti, e del loro intreccio politico-economico-imprenditorial-finanziario e bancario, direi soprattutto bancario, ai non addetti probabilmente sfugge che mentre spessissimo vedere quel telegiornale o comprare quel giornale è un segno di riconoscimento politico/partitico a volte già stantio e ripetitivo, arrivare a Grillo e alle sue manifestazioni attraverso il web obbliga a ridiscutere il criterio.

Nessuno garantisce più che colui che lo segue dal blog in piazza sia «di sinistra», o «di destra». Sembrerebbe d’acchito la perdita di una garanzia per generazioni politicizzate come la mia. Garanzia che peraltro ha portato a l’Italia che abbiamo sotto gli occhi, quindi forse garanzia relativa... E comunque garanzia che evidentemente non regge più, almeno a prendere atto dei segnali del nostro «scemo di guerra» che invece vengono recensiti in maggioranza come aspetti di uno show. Mentre invece Grillo come fenomeno ed epifenomeno costringe alla esiziale domanda: e se essere «di sinistra» (o «di destra») all’italiana o all’amatriciana come accade oggi non fosse più praticamente una garanzia di nulla, almeno in partenza?

Se fosse così, come temo sia, forse bisogna cambiare mentalità e approccio. Forse non è la perdita di una garanzia, quello che sta accadendo con Grillo ma non solo con lui, con movimenti/associazioni/comitati ecc. in una malfamata e già usurata formula (ma allora i partiti?) quale la cosiddetta «società civile», bensì una forma di liberazione, di «reset», di nuovo inizio, così da fare in modo che la garanzia non sia di partenza, ma casomai d’arrivo, come fini e non come rendite di posizione. Non una recita, ma un difficile giorno per giorno. Diventare «di sinistra» forse oggi sarebbe un po’ meglio che battersi per stabilire se la sicurezza è patrimonio di una parte o dell’altra senza mettere a fuoco il contesto della questione.

Grillo in tutto ciò, al di là della formidabile vicenda mediatica di internet, comporta dunque oggi una serie di interrogativi di sostanza che in giro trovo assai poco evidenziati. Perché non conviene evidenziarli? Per «istinto di conservazione» dell’oligarchia dominante? Perché non si hanno risposte credibili e allora meglio non fare domande? Per esempio: Moretti e i girotondi erano la sinistra o chiunque fosse contro Berlusconi, non è vero? Ebbene, oggi chi firma con Grillo si schiera e si autocertifica «semplicemente» contro lo stato (minuscolo, per favore, non fraintendiamo a bella posta come spesso accade con il «comicastro» da parte degli epistemologi) italiano, inteso come un Paese alla rovescia. Non sto qui a ripetere l’elenco di magagne. Dico solo che in discussione c’è la gerenza della ditta al completo. O essa se ne rende conto, e dà segnali di comprendonio e resipiscenza, oppure le cose si metteranno per forza peggio, anche se non è detto che il peggio sia tale per tutti, diciamo certamente peggio per i bersagli delle critiche del V-Day.

Per esempio, nessuno può affermare che D’Alema & co siano colpevoli di qualche cosa. Ma proprio per questo non sarebbe meglio se costringessero loro stessi la Giunta deputata a permettere al giudice di raccogliere le loro testimonianze? Se non andranno dal giudice a testimoniare e immagino a documentare la loro innocenza, una specie di viatico a governare, la prossima volta Grillo e non solo lui pretenderanno pubblicamente di essere definiti caporioni non della «antipolitica» come ancora e ossessivamente si ripete, bensì degli «anticomitati d’affari». E lì rischierebbe davvero di venir giù tutto...

Insomma, il problema non è Grillo, e circoscriverlo come in molti fanno sembra sempre il tragico e stupido giochetto di chi vede il dito che indica la luna e non la luna italiana per di più attualmente così storta. Certo, poi uno come Grillo sa come usare il dito... ma pur essendo parte quasi immediata della stessa storia, per oggi è ancora un’altra storia. Usiamo il dito per la luna, non limitiamoci ai manicure della politica che su di essa hanno costruito il loro annoso potere e (alcuni) le loro fortune per diverse generazioni.

Un esempio chiarirà meglio il mio punto di vista. Mettiamo che tra poco, sabato 6 ottobre, quindi prima delle Primarie del Partito democratico, Beppe Grillo partecipi in qualche modo a Roma, a Piazza Farnese, alla prima manifestazione del Movimento «Repubblica dei cittadini per una Lista Civica Nazionale», teso a rimettere in gioco il rapporto tra la politica come è intesa oggi e appunto i cittadini, rifacendosi all’art.49 della Costituzione e non a Paperino. Mettiamo che Grillo appoggi con le sue energie psicowebbistiche uno degli obiettivi centrali di questo Movimento, le firme per una petizione popolare che conduca a una legge sui partiti del tutto «rivoluzionaria»: e cioè che finalmente, a sessant’anni dalla loro nascita costituzionale, i partiti, tutti i partiti, la smettano di figurare come associazioni private, con statuti che ormai non sanno di niente e niente garantiscono della loro vita interna in termini di efficienza, trasparenza e democrazia, per essere riconfigurati a norma di legge (una piccolissima, banale, infinitesimale leggina ordinaria...) così da rispondere alla legge stessa e portare i libri contabili in tribunale come qualunque altra azienda.

Mettiamo che a Roma il 6 ottobre venga chiesto questo (meglio se con la grancassa di Beppe Grillo per il suo robusto dito medio), e comunque questo è ciò che verrà chiesto alla classe politica, alle istituzioni, al Quirinale: sarebbe un’autentica rivoluzione, per o meglio direi contro i «comitati d’affari» e l’irrisolto problema dei costi/sprechi/privilegi della «casta». E una boccata d’ossigeno e di speranza per tutti i cittadini, di qualunque colore politico. Che si farà in quel caso? Continueremo a giocare con il dito del pur politicissimo (e meritorio) «scemo di guerra»?

www.olivierobeha.it

* l’Unità, Pubblicato il: 12.09.07, Modificato il: 12.09.07 alle ore 13.06


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