La misteriosa notte di Pisanu
di Antonio Padellaro *
Sabato scorso ci chiedevamo su queste colonne se il mistero delle schede bianche scomparse sarebbe mai stato svelato. Alla luce del gran polverone politico che in queste ore si sta sollevando sul film di Enrico Deaglio «Uccidete la democrazia», inchiesta sui brogli che avrebbero falsato il voto dello scorso aprile, dovremmo concludere che il mistero elettorale come, del resto, tutti gli altri misteri italiani, dolorosi e gloriosi, è destinato a restare tale, coperto da una fitta coltre di dichiarazioni alle agenzie. Nell’attesa comunque fiduciosa che la magistratura faccia, come si dice, piena luce, restiamo anche noi convinti come lo è il portavoce di Romano Prodi, Silvio Sircana, che, brogli o non brogli nella notte tra il 10 e l’11 aprile, la notte del conteggio qualcosa di poco chiaro sia accaduto. Lo scriviamo non facendo nostre ipotesi, sospetti o congetture ma sulla base di fatti oggettivi facilmente riscontrabili. Sappiamo certamente che quel lunedì, verso le ventitré, l’onorevole diessino Marco Minniti varcò il portone del Viminale inviato dalla segreteria del partito in fibrillazione per l’improvvisa interruzione nella trasmissione dei dati. Inutile ricordare come nello stato maggiore dell’Unione la tensione fosse al cardiopalmo dopo l’incredibile altalena che nel pomeriggio annunciava la larga vittoria del centrosinistra (secondo tutti gli exit-poll a conferma di tutti i sondaggi della vigilia) e alla sera, invece, consentiva alla destra una speranza di vittoria.
Mentre dunque la forbice tra Unione e Cdl si andava progressivamente restringendo con la concreta possibilità di un sorpasso sul filo di lana, qualcosa deve essersi inceppato nella macchina del ministero degli Interni e Minniti andava a vedere come mai. Accolto da un gentilissimo prefetto il deputato della Quercia fu subito accompagnato nella decision room elettorale, circostanza che non mancò di colpirlo favorevolmente attendendosi un trattamento più formale. La sorpresa di Minniti aumentò quando scoprì di essere l’unico esponente politico presente al Viminale in ore cruciali per la vita repubblicana. Si stava decidendo il futuro politico del paese in un clima surriscaldato. Era in corso una drammatica partita sul filo dei voti. A piazza Santi Apostoli il popolo di Prodi sempre più sotto choc rumoreggiava aspettandosi il peggio. Centinaia di giornalisti di tutto il mondo erano in elettrica attesa. Ebbene, mentre tutto ciò accadeva, la stanza del ministro degli Interni era deserta. Non c’era Giuseppe Pisanu, e nel palazzo del Viminale non risultava neppure fossero presenti i suoi sottosegretari. Insomma, fatto senza precedenti, come unico testimone politico presente nella stanza dei bottoni (una volta si diceva così) del governo Berlusconi c’era un uomo dell’opposizione. Erano circa le due dell’11 aprile quando Minniti poté comunicare a Fassino che pur mancando alcune sezioni da scrutinare era matematicamente impossibile che la Cdl potesse recuperare il piccolo vantaggio dell’Unione (i famosi 24mila voti). Fassino avvertì Prodi che, pochi minuti dopo, poté dare alla folla incredula, l’insperato annuncio. A quanto si sa, Pisanu, quella notte non rientrò più al Viminale. Dove era andato?
Le cronache del giorno successivo racconteranno un’altra storia che ha dell’incredibile. Verso le ventitré del 10 aprile, a spoglio ancora in corso, proprio mentre stava arrivando Marco Minniti, il ministro degli Interni fu visto uscire dai portoni secondari del Viminale. E fu visto entrare a palazzo Grazioli tre ore prima della fine dello scrutinio dove ad attenderlo c’era il presidente del Consiglio in carica Silvio Berlusconi. Cosa sia avvenuto in quelle ore nessuno lo sa con certezza. Ma sono numerosi i giornali che ricostruiranno quelle concitate ore in maniera assai poco tranquillizzante. Qualcosa di simile a un golpe elettorale. Dunque lunedì notte a scrutinio in corso Pisanu dichiara al Tg2 che «le operazioni di voto sono state regolari». Berlusconi lo convoca e gli chiede di invalidare il voto. A palazzo Grazioli ci sono anche il sottosegretario Gianni Letta, il vicepremier Gianfranco Fini, il presidente del Senato Marcello Pera, il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa. Pisanu risponde che non può fare nulla di simile, che bisogna aspettare la fine delle operazioni di scrutinio e contestare semmai, dopo, le schede nulle.
Dicono che da quel momento i rapporti personali tra Berlusconi e il suo ministro si siano bruscamente interrotti. La mattina dopo, martedì, il presidente Ciampi chiama Pisanu, gli chiede una parola definitiva sul voto e la ottiene. Nei giorni successivi sarà Berlusconi a lanciare contro il centrosinistra le accuse di brogli. Le stesse ripescate ora da Forza Italia e da Gianfranco Fini che vedono nel film di Deaglio un insperato grimaldello per pretendere il conteggio non solo delle schede bianche ma di tutti i voti elettorali.
I fatti così esposti mettono al centro della scena Giuseppe Pisanu. La sua è una situazione per certi versi paradossale. Deaglio lo ritiene responsabile di qualcosa di molto grave che sarebbe avvenuto nella trasmissione dei dati elettorali dalle circoscrizioni al Viminale. Addirittura una trasformazione delle schede bianche in schede per Forza Italia. Pisanu reagisce con rabbia e annuncia querele. Si sente ingiustamente diffamato in base a una verità rovesciata. Secondo le ricostruzioni di cui sopra infatti non è stato proprio lui a impedire nella famosa notte l’invalidazione del risultato elettorale così come richiesto dal suo premier e leader di partito? Va ricordato che successivamente all’ex ministro Pisanu giungeranno da molti esponenti del centrosinistra apprezzamento e riconoscimento per aver tenuto in un frangente così difficile un comportamento corretto. A maggior ragione quindi Pisanu dovrebbe rendere un altro servizio alla verità dei fatti.
Sulle vere o presunte manipolazioni di schede bianche si pronuncerà la magistratura. Ma su ciò che è accaduto nella famosa notte è Pisanu che deve dirci qualcosa di più. Rispondendo a molti interrogativi che sorgono spontanei. Perché si allontanò dal Viminale mentre era in corso la fase decisiva dello spoglio? Perché si recò a palazzo Grazioli, residenza privata di Berlusconi con un evidente strappo al ruolo istituzionale e super partes che ogni ministro degli Interni dovrebbe mantenere specie durante le elezioni? Cosa diavolo successe infine nello studio del cavaliere durante quelle tre ore di discussioni a quanto sembra piuttosto animate? È vero che Berlusconi cercò di imporgli un provvedimento di invalidazione elettorale che alla luce anche degli ultimi avvenimenti suona come un tentativo di interruzione della democrazia? Quella di cui ci stiamo occupando è una storia troppo delicata e il silenzio prudente del personaggio chiave potrebbe apparire a questo punto come un silenzio complice.
* www.unita.it, Pubblicato il: 25.11.06 Modificato il: 25.11.06 alle ore 12.55