IL CASO
Nassiriya, l’ombra della censura "20 sigarette", il film delle polemiche
Aureliano Amadei, unico civile sopravvissuto alla strage del 12 novembre 2003, ha presentato il suo film-diario di quell’esperienza. "Persone vicine al ministero della Difesa hanno chiesto ai genitori delle vittime di protestare per bloccare il mio film". E arrivano le smentite. Poi lui insiste: "Dopo la strage i telegiornali hanno nascosto la verità con un’orghia di retorica"
dal nostro inviato CLAUDIA MORGOGLIONE
VENEZIA - E’ una ferita che si riapre, quella di 20 sigarette, il film - presentato nella sezione Controcampo e accolto da quattordici minuti di applausi - in cui Aureliano Amadei racconta la sua esperienza di regista per un giorno in Iraq e di unico sopravvissuto all’attentato di Nassiriya del 12 novembre 2003 in cui persero la vita 19 italiani. La ferita si riapre con una polemica. Perché nell’incontro stampa, al Lido, per la presentazione del film, Amadei dice: "Volete una notizia? Eccola. Mi è stato detto che recentemente persone vicine al ministero della Difesa hanno chiesto ai genitori delle vittime di protestare per bloccare il mio film. Per fortuna io che conosco molti di loro mi hanno detto che lo vedranno prima di giudicare". E non finisce qui. Amadei aggiunge che "in Italia non si sa nulla di quello che accade in Iraq" e afferma che "nelle settimane successive all’attentato, nei tg ci sono state molte notizie omesse e un’orgia di retorica che non ha permesso agli italiani di riflettere più a fondo sulla verità mentre si è continuato a parlare di un’infinta serie di missioni di pace".
La polemica è inevitabile. Le parole di Amadei non piacciono al sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto. Che replica: dai vertici del ministero "non c’è stata alcuna pressione" e aggiunge: "Se poi uno dei trecentomila militari ha detto qualcosa, questo non lo so e non lo posso sapere. Ma il ministero, nei suoi vertici non ha fatto nulla". "Penso che ci sia stato un errore". A smentire l’autore del film è anche Marco Intravaglia, figlio del brigardiere Domenico, una delle vittime della strage. "Nessuno mi ha contattato dalla Difesa e, da quel che so, nessuna delle famiglie dei carabinieri morti nell’attentato ha ricevuto pressioni". Annuncia che andrà a vedere il film, "voglio capire di cosa si tratta, se rispecchia la realtà, e spero che emerga il vero lavoro che hanno fatto i nostri ragazzi e il bene che hanno portato". Con Amadei, però, Intravaglia è d’accordo sul fatto che in Italia molte notizie sulla strage siano state oscurate. "E’ vero - dice - la gente ha scoperto molto dopo, con l’apertura delle inchieste, le cose che non andavano e che non dovevano essere in quello stato".
Più dura la replica di Claudio Bonivento, uno dei produttori del film. Che giudica le affermazioni di Amadei "prive di fondamento" e si dice "totalmente d’accordo con Crosetto", perché "io e gli altri produttori come Tilde Corsi e Gianni Romoli e RaiCinema abbiamo fatto leggere la sceneggiatura allo Stato Maggiore dell’Esercito che l’ha approvata in tutto e per tutto e ci ha anche fornito molti mezzi necessari per realizzare questo film". Amadei è "un bravo regista ma inesperto di pubbliche relazioni e che non ha bisogno di sterili polemiche per far camminare i suoi film con le loro gambe".
Dall’attentato a oggi, per Amadei c’è stato prima un libro, appunto 20 sigarette, poi il film omonimo, distribuito da Cinecittà Luce, con Vinicio Marchioni, Carolina Crescentini, Giorgio Colangeli. E’ la storia vera del regista, che nel film si chiama Aureliano, un ventottenne anarchico e antimilitarista, precario nel lavoro, che riceve l’offerta di partire subito per lavorare come aiuto regista in un film da girare in Iraq, al seguito della missione italiana. Nonostante le critiche degli amici, della sua compagna-amica Claudia (Crescentini), Aureliano parte e in quel mondo di divise incontra un’umanità inaspettata. Le sigarette del titolo sono quelle di un pacchetto che Aureliano non fa in tempo a finire, che si ritrova nel mezzo dell’attentato alla caserma. Al Lido è arrivato appoggiandosi a un bastone. Nell’attentato gli è andata in pezzi una caviglia, ha un timpano perforato e, nel suo corpo, ancora centinaia di schegge.
Molte, nel film, le denunce più o meno velate nei confronti della missione italiana in Iraq. "I militari mi hanno subito ammonito che in Italia non si sapeva nulla e che avrei sentito molte cose inaspettate su questa guerra che non è altre che una delle tante guerre invisibili che continueranno ad esserci". Dice che "sono successe diverse cose strane, come quando i carabinieri rimasti feriti dicevano peste e corna di quello che era accaduto, ma poi si sono trovati costretti a leggere un dispaccio del ministero della Difesa". E benché sia diventato amico di molti soldati, da parte sua l’indulgenza è poca: "Certo anche lì c’erano i figli di mignotta, i guerrafondai, i fascisti, gli arrivisti, i finti eroi...". Comunque, non vuole che "l’argomento principale del film sia la politica": "Le mie ideologie non sono cambiate, sono contrario alle missioni italiane all’estero e mi piacerebbe un’Italia senza esercito. Ma ho scoperto l’umanità e imparato come sia impossibile giudicare delle situazioni che coinvolgono esseri umani solo sulla base delle ideologie".
* la Repubblica, 05 settembre 2010