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Politica

Lettera a Prodi, Fassino e Veltroni, da parte degli amici del Phorum Palestina e compagni

Sulla visita a Sharon: un documento da leggere subito e divulgare all’istante
sabato 21 maggio 2005 di Emiliano Morrone
All’On.le Romano PRODI
All’On.le Piero FASSINO
Al Sindaco Walter VELTRONI
Abbiamo appreso dalla stampa che avete in programma una visita in Israele, dove incontrerete ufficialmente il Primo Ministro Ariel Sharon. Riteniamo che questo incontro sia un atto politicamente inopportuno e moralmente deplorevole, per i seguenti motivi.
Ariel Sharon non è un leader politico qualsiasi: è direttamente responsabile dell’assassinio di migliaia di uomini e donne, la cui unica colpa era quella di essere (...)

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> La guerra è iniziata. È la guerra di Gaza. Netanyahu e Lieberman contro Hamas. E contro Abu Mazen

giovedì 15 novembre 2012


-   Scene di guerra a Gaza: ucciso il capo militare di Hamas
-  Israele: «È solo l’inizio» La risposta: «Sarà l’inferno»

di U.D.G. (l’Unità, 15.11.2012)

La guerra è iniziata. È la guerra di Gaza. Sono di disperazione e rabbia le prime reazioni a Gaza dopo l’uccisione da parte d’Israele di Ahmed Jaabari, capo militare di Hamas, considerato in questi anni il vero uomo forte della Striscia. Nell’ospedale Shifa di Gaza, dove è stato portato il cadavere dello «shahid» (il martire), sono presto giunti i suoi più stretti familiari. Attorno a loro si è raccolta in pochi minuti una folla di migliaia di persone: fra queste, numerosi combattenti di Hamas, precipitatisi in armi a dare l’estremo saluto al loro capofila. All’ospedale il lutto si è intrecciato al furore, mentre i miliziani sparavano in aria prolungate raffiche di arma automatica e invocavano a gran voce vendetta contro «l’occupante». «Adesso ci sarà una nuova guerra con Israele», è ormai la convinzione di molti, fra la gente della strada. Poco lontano dall’ospedale, nella centrale via Omar al-Mukhtar, un’altra folla è rimasta lungamente radunata sfidando gli allarmi per i ripetuti raid israeliani attorno alle lamiere contorte dell’automobile su cui viaggiava oggi Jaabari, centrata in pieno nel primo pomeriggio da un missile aereo. In quei momenti da altre zone di Gaza già rimbalzavano le prime notizie frammentarie su ulteriori esplosioni e nuovi attacchi condotti dall’aviazione con la Stella di David.

«COLONNA DI NUVOLA»

Secondo alcune informazioni, due altri responsabili militari di Hamas sarebbero stati uccisi dal fuoco israeliano: Raed Attar e Muhammed al-Ammas. Ma Hamas per ora non conferma queste perdite. Fonti di Gaza parlano di sei morti, tra cui il figlio di Jaabari. Nel frattempo i dirigenti politici della fazione islamica, dal capo dell’esecutivo Ismail Haniyeh in giù si sono resi irreperibili. In base a piani di emergenza pronti da tempo, tutti sembrano aver immediatamente spento i propri telefoni cellulari e raggiunto località segrete dalle quali dovranno riaversi dalla sorpresa e organizzare una prima reazione contro Israele. Tutte le formazioni armate si sono già dette pronte a una risposta coordinata. Ma mentre a Gaza calavano le tenebre, era l’aviazione israeliana a mantenere l’iniziativa: fra incursioni e incessanti voli di ricognizione lanciati nel tentativo di intercettare le cellule dei lanciatori di razzi e i loro bunker. Il cielo della Striscia è destinato d’altronde a restare illuminato dal fuoco per molte ore, prevede la gente, mentre sull’altro lato del fronte i primi razzi palestinesi partono in direzione di Beer Sheva, nel Neghev, e della città di Ashqelon.

«L’esercito è pronto a estendere l’operazione, se necessario», avverte il premier di Israele Benyamin Netanyahu parlando in serata alla tv dopo gli attacchi aerei su Gaza. «Non siamo disposti ha continuato Netanyahu nel suo discorso in tv ad accettare che i nostri civili siano minacciati da continui lanci di razzi». Il premier ha poi sottolineato che «nessun paese al mondo accetterebbe una situazione del genere». «Siamo solo all’inizio di questo evento, non alla fine. Occorrerà mantenere la vigilanza sia in territorio israeliano, sia in Cisgiordania», gli fa eco il ministro della difesa israeliano Ehud Barak, in un intervento in diretta dalle emittenti televisive dal ministero della difesa, riguardo all’operazione nella Striscia.

«Gli obiettivi della operazione “Colonna di nuvola” aggiunge Barak sono i seguenti: il rafforzamento del deterrente israeliano; la distruzione dei depositi di razzi palestinesi a Gaza; la necessità di infliggere colpi a Hamas e alle altre organizzazioni terroristiche; e la difesa delle retrovie di Israele». Barak, riferisce la televisione commerciale Canale 2, ha ordinato il richiamo immediato di alcune unità di riservisti per far fronte alla situazione creatasi a Gaza sull’onda dell’uccisione del capo militare di Hamas, riferisce la televisione commerciale Canale 2. Israele ha colpito a Gaza, secondo il portavoce militare, diversi siti dove Hamas custodiva razzi con una gittata superiore ai 40 chilometri: dunque potenzialmente minacciosi per la zona centrale di Israele, Tel Aviv inclusa.

Sul fronte opposto, il presidente dell’Anp, Abu Mazen, ha chiesto la convocazione urgente di una riunione straordinaria della Lega Araba per discutere dell’ondata di raid aerei israeliani sulla Striscia. Lo riferisce l’agenzia egiziana Mena dal Cairo, dove ha sede la Lega. E sempre dal Cairo arriva la notizia l’Egitto ha richiamato il suo ambasciatore in Israele per consultazioni dopo gli attacchi lanciati dall’esercito israeliano sulla Striscia di Gaza. Uccidendo Ahmed Jaabari, Israele ha «aperto le porte dell’inferno», proclamano in un comunicato le brigate Ezzedine al-Qassam. Nella nota, le «Brigate» scrivono di «portare il lutto di uno dei loro capi principali, Ahmed Jaabari, e s’impegnano a continuare sul cammino di resistenza... l’occupante si è aperto da solo le porte dell’inferno». La guerra è iniziata.


-  La campagna elettorale di Netanyahu e Lieberman
-  La scelta dell’obiettivo ha un valore simbolico oltre che operativo:
-  i falchi giocano la partita finale contro Hamas. E contro il moderato Abu Mazen

di Umberto De Giovannangeli (l’Unità, 15.11.2012)

Benjamin Netanyahu e Avigdor Lieberman hanno iniziato la loro campagna elettorale. Scegliendo il terreno più favorevole alla destra israeliana: quello della sicurezza. E lo hanno fatto scegliendo con cura l’obiettivo da colpire. Una «cura» che tiene insieme vari piani: da quello simbolico a quello operativo. Con la consapevolezza che Hamas non può non rispondere alla sfida lanciata da Israele. Una sfida mortale. Che dalla Striscia di Gaza può estendersi al vicino Egitto e al fronte Nord, quello con Siria e Libano, facendo dell’intero Medio Oriente una polveriera pronta ad esplodere. La posta in gioco è politica ma, come spesso accade nell’eterno conflitto israelo-palestinese, la «partita» è condotta con lo strumento di sempre: quello militare. Uno strumento che diviene ancor più dirompente ogni qual volta la diplomazia alza bandiera bianca.

AZZARDO

Da tempo il negoziato tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese (Anp) è in stallo. E da tempo la «questione palestinese» sembra essere uscita dalle priorità internazionali di Usa ed Europa. Una latitanza colpevole perché, come i più avvertiti analisti israeliani e palestinesi non hanno mai smesso di denunciare anche attraverso le colonne dell’Unità, pensare di perpetuare lo status quo in Terrasanta è una illusione, una tragica illusione, anticamera di nuovi, sanguinosi conflitti. Come quello riapertosi ieri a Gaza. L’uccisione del capo militare di Hamas va oltre il diritto di difesa rivendicato dallo Stato ebraico a fronte dei ripetuti lanci di razzi dalla Striscia contro le città frontaliere israeliane. Chiudere il «lavoro» iniziato 4 anni fa con l’Operazione «Piombo Fuso» e infliggere un duplice colpo mortale: ad Hamas ma anche alla leadership moderata di Mahmud Abbas (Abu Mazen) colpevole, agli occhi dei falchi israeliani, di aver rialzato la testa rilanciando l’«intifada diplomatica» con la richiesta che sarà discussa il 29 novembre al Palazzo di Vetro di veder riconosciuto alla Palestina lo status di «Stato non membro» (modello Vaticano) all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Una «provocazione» per Israele, al punto che se Abu Mazen si ostinerà su questa strada e se la maggioranza dell’ Assemblea voterà a favore, allora la sola opzione per Israele è rovesciare il presidente palestinese e il suo governo. L’ipotesi israeliana è contenuta in una bozza di documento del ministero degli Affari esteri dello Stato ebraico guidato dall’ultranazionalista Lieberman, citato ieri dai media israeliani e internazionali che hanno ripreso un servizio della tv pubblica Canale 2.

La nuova guerra di Gaza ha questa portata. E, stavolta, non prevede terzi tempi. Da qui, la scelta dell’uomo da eliminare: Ahmed Jaabari, capo militare di Hamas, considerato in questi anni il vero uomo forte della Striscia. Un uomo temuto, ma anche circondato da un alone di ammirazione popolare. Fra l’altro gli viene attribuito un ruolo chiave nella gestione del rapimento di Shalit, il soldato israeliano catturato nel 2006 e tenuto in ostaggio nella Striscia di Gaza per oltre cinque anni, fino allo scambio con oltre mille detenuti palestinesi imposto a Israele nel 2011. Alla fine è lui a scortare personalmente la «preda» a Rafah, posto di frontiera con l’Egitto, al momento del rilascio.

La decina di razzi sparati in serata da Gaza verso la città israeliana di Beer Sheva, nel Neghev, così come la minaccia di una ripresa di attacchi suicidi nelle città israeliane per «vendicare il martire» Jaabari, danno conto di una guerra destinata a segnare le prossime settimane, a due mesi dal voto (anticipato) in Israele. L’agenda della campagna elettorale è già stravolta: l’emergenza sociale terreno su cui i laburisti intendevano concentrare la propria iniziativa risalendo nei sondaggi è destinata a lasciare il campo all’emergenza sicurezza, terreno su cui la destra israeliana si muove con ben maggiore disinvoltura. Israele torna in trincea: da Gaza al Golan, mentre resta ancora in campo l’opzione militare contro l’Iran.

Le armi dettano i tempi della politica. Il futuro si fa passato, e il caos di Gaza e la paura di Beer Sheva sembrano riportare indietro le lancette del tempo. L’eterno presente è nella convinzione (dei falchi che governano Israele) che possa esistere una soluzione militare alla questione palestinese. L’eterno presente è nell’illusione, propria del variegato fronte radicale palestinese, che i diritti nazionali di un popolo possano realizzarsi per via armata. La storia ha dimostrato che ambedue sono scorciatoie impraticabili, peggio, disastrose. La legge del più forte può far vincere una battaglia, magari una elezione, di certo, però, annienta qualsiasi soluzione politica dell’eterno conflitto israelo-palestinese. L’uso della forza serve a mascherare un vuoto di strategia politica da parte israeliana. Così come le divisioni interne al campo palestinese hanno fortemente indebolito l’autorevolezza internazionale della leadership di Abu Mazen.

La guerra di Gaza inchioda la comunità internazionale alle proprie responsabilità, o per meglio dire, all’irresponsabilità dell’inazione. A cominciare dal rieletto presidente Usa. All’inizio del suo primo mandato, Barack Obama aveva affermato di voler porre la questione israelo-palestinese tra le priorità della sua politica estera, puntando sulla soluzione a due Stati. Quel «nuovo inizio» è rimasto confinato nell’etereo alveo delle buone intenzioni. Sta a Obama, e con lui ai leader europei, dare un segno di vita. Subito. Perché il tempo non lavora per la pace. La guerra di Gaza ne è una tragica conferma.


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