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Politica

Lettera a Prodi, Fassino e Veltroni, da parte degli amici del Phorum Palestina e compagni

Sulla visita a Sharon: un documento da leggere subito e divulgare all’istante
sabato 21 maggio 2005 di Emiliano Morrone
All’On.le Romano PRODI
All’On.le Piero FASSINO
Al Sindaco Walter VELTRONI
Abbiamo appreso dalla stampa che avete in programma una visita in Israele, dove incontrerete ufficialmente il Primo Ministro Ariel Sharon. Riteniamo che questo incontro sia un atto politicamente inopportuno e moralmente deplorevole, per i seguenti motivi.
Ariel Sharon non è un leader politico qualsiasi: è direttamente responsabile dell’assassinio di migliaia di uomini e donne, la cui unica colpa era quella di essere (...)

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> GAZA. Cento morti in sei giorni. La lista delle vittime diffusa da una blogger: «Non siamo solo numeri». - Israele, cento morti per vincere le elezioni

martedì 20 novembre 2012


-  Cento morti in sei giorni a Gaza
-  Riservisti già schierati ai confini
-  La lista delle vittime diffusa da una blogger: «Non siamo solo numeri»

di U.D.G. (l’Unità, 20.11.2012)

Rinan Arafat, 7 anni. Omar Al-Mashharawi, 11 mesi. Walid Al-Abalda, 2 anni. Hanin Tafesh, 10 mesi. Oday Jammal Nasser, 16 anni. Fares Al-Basyouni, 11 anni. Mohammed Sa`d Allah, 4 anni. Gumana Salamah Abu Sufyan, 1 anno. Tamer Salamah Abu Sufyan, 3 anni... Non sono numeri gli oltre 100 palestinesi morti nei primi sei giorni dei raid aerei israeliani su Gaza. Ognuno di loro, ha un volto, un nome, una storia. Una giovane blogger palestinese residente a Gaza, Shahd Abusalama, ha deciso di pubblicare i nomi e l’età delle persone uccise nei raid aerei israeliani. «Siccome non siamo solo numeri, continuate a seguire questo post sui nomi ed età delle persone assassinate, vittime nei giorni scorsi degli attacchi israeliani a Gaza da mercoledì», ha scritto Abusalama sul blog.

Mentre al Cairo si tratta, a Gaza si continua a morire. In cinque giorni di attacchi i feriti sarebbero oltre 700. Lunedì mattina l’offensiva israeliana contro i gruppi palestinesi avrebbe mietuto oltre dieci vittime. In mattinata quattro persone sono state uccise in un quartiere di Zeitun, nella città di Gaza: fra le vittime 2 ragazze di 20 e 23 anni e un bambino di 5 anni. Altri tre palestinesi, tutti membri della stessa famiglia, sono morti quando l’auto sulla quale viaggiavano è stata colpita nei pressi di Deir al-Balah, zona centrale del territorio palestinese. Un’altra vittima è un agricoltore di 50 anni, ucciso dai bombardamenti su Beit Lahiya, nel nord della Striscia. Altri 2 sono morti durante un raid su Qarara, ad est di Khan Yunes, nel sud della Striscia.

Almeno 18 bambini palestinesi hanno perso la vita e 252 sono quelli rimasti feriti dall’inizio delle ostilità a Gaza, e ci sono bambini anche tra i 50 civili israeliani feriti: questi i dati dell’Unicef aggiornati alle ore 15,00 di ieri. Ma il bilancio delle vittime, avverte l’organizzazione, si aggrava di ora in ora. L’Unicef esprime la sua profonda preoccupazione per il deteriorarsi della situazione e per l’impatto che essa ha sull’infanzia sia a Gaza che in Israele.

A Gaza, secondo l’organizzazione, desta allarme soprattutto la situazione sanitaria: gli ospedali sono sovraffollati a causa dell’afflusso continuo di feriti e le scorte di alcuni farmaci si sono rapidamente esaurite. L’Unicef sta predisponendo l’invio, dal suo centro logistico di Copenaghen, di scorte di emergenza per 14 farmaci di base. In queste ore, secondo l’agenzia per l’infanzia delle Nazioni Unite, le condizioni di sicurezza non consentono interventi umanitari all’interno di Gaza, anche se 5 team di psicologi dell’organizzazione stanno visitando ospedali e abitazioni private per fornire assistenza ai bambini che hanno subito shock o hanno assistito a scene violente.

L’ATTACCO AL CENTRO MEDIA

Anche uno dei media center di Gaza City è stato colpito e almeno 4 persone sono morte, mentre diverse altre sono rimaste ferite. Si tratta di un complesso già colpito nella notte fra sabato e domenica e che ospita anche alcune redazioni giornalistiche straniere e gli studi di Al-Aqsa tv, canale di Hamas. Fra le vittime del media center c’è anche Ramez Harb, il leader delle brigate Al Quds, braccio armato della Jihad islamica. E si conta anche un primo morto in Cisgiordania: si tratta di un palestinese identificato come Rushdi al-Tamimi, 31 anni. Era stato ferito gravemente dai colpi di arma da fuoco sparati dalla polizia di frontiera dello Stato ebraico mentre partecipava a una manifestazione di solidarietà con la popolazione della Striscia nel villaggio di Nabi Saleh, una quindicina di chilometri a nord-ovest di Ramallah.

La Striscia di Gaza assomiglia ormai a una «giungla di fuoco», dove la morte sembra in agguato ovunque: negli edifici governativi come nelle basi delle milizie; nello stadio di calcio come nel Media Center al-Shoruq; nei campi agricoli vicini al confine, sulle strade dove chi cavalca una motocicletta desta immediato sospetto e rischia di diventare un obiettivo di droni o aerei israeliani. Le statistiche delle vittime vengono aggiornate di ora in ora.

Dopo una notte di relativa calma nel sud di Israele, decine di razzi sono stati lanciati di nuovo verso il Negev ed uno è esploso vicino una scuola ad Askhelon, senza grandi conseguenze. L’altra notte e per tutta la mattinata di ieri, Israele ha continuato a bombardare i «siti del terrore» (postazioni per il lancio dei razzi, tunnel e campi di addestramento). Almeno ottanta gli obiettivi colpiti, tra cui anche edifici dei militanti di Hamas, tunnel per il traffico di armi tra Gaza e Rafah e lo stadio usato come base missilistica. Dall’inizio dell’offensiva, lanciata mercoledì, sono oltre 540 i razzi lanciati da Gaza e caduti in territorio israeliano.

Un comunicato del portavoce militare precisa che dall’inizio dell’operazione, l’aviazione israeliana ha colpito 1.350 «siti terroristici». Dei 75.000 riservisti israeliani richiamati in servizio per l’eventuale offensiva di terra nella Striscia di Gaza, già 40.000 sono schierati lungo il confine dell’enclave costiera, con decine di carri armati e blindati in attesa di ordini. A riferirlo è la radio israeliana. Tutto è pronto per l’invasione. A meno che al Cairo le trattative in corso per la tregua non arrivino a buon fine.


Israele, cento morti per vincere le elezioni

di Maurizio Chierici (il Fatto, 20.11.2012)

IL MESSAGGIO di un’amica che vive a Tel Aviv fa sapere quali sono le condizioni che una parte e l’altra propongono per la tregua. Israele chiede il controllo sui rifornimenti che dall’Egitto arrivano a Gaza, 15 anni di tranquillità e libertà di eliminare leader pericolosi con assassini mirati. Hamas pretende la riapertura e gestione del porto che Gerusalemme controlla. Arbitro di pace: il presidente egiziano Muri, avvolto nel sospetto che una certa Washington stia tramando per collaudare la moderazione dei Fratelli musulmani. Proposte contestate, il fuoco continua.

Due anni fa avevo pregato amici ebrei milanesi (con i quali condivido la speranza di una pace “normale”) di confortare le voci di chi trema in Israele per la violenza che coinvolge nella responsabilità dei governi il buonsenso di cittadini incolpevoli e ricattati dalla paura agitata appena una crisi politica divide il paese.

Tacere non aiuta la ragione di fronte alle violenze quotidiane dell’espropriare le terre di chi da secoli abita lì, violazione al diritto internazionale e a decisioni Onu mai rispettate. L’indignazione che avvilisce la coscienza della diaspora perseguitata da una tragedia che ci copre di vergogna, dovrebbe scoppiare ogni volta che migliaia di famiglie vengono strappate dalle loro case requisite nel nome di una “sicurezza” da trasformare in palazzoni per “coloni” arrivati chissà da dove.

L’obiettivo è rendere impossibile lo Stato palestinese e suscitare rabbie esplosive da contenere come stiamo vedendo. Alla vigilia dell’attacco a Gaza e della reazione di chi ha i razzi contati e irosamente sfida superarsenali nutriti dalle solite potenze; ancor prima che il primo ministro Netanyahu cogliesse al volo la reazione calcolata per scatenare il finimondo, Gideon Levy recensisce su Ha’aretz (ripreso da ’Internazionale) il documentario girato in un villaggio palestinese: giardini d’ulivi requisiti per costruire nuove colonie. “Film che farà vergognare ogni israeliano dotato di un minimo di onestà”. Racconta di una casa sgomberata nella notte, sempre per sicurezza. Bambini trascinati in strada e la voce di un tenente che dà ordini come chi non oso dire. Ha’aretz è il giornale che fa capire lo spirito di un Israele diverso dalle catastrofi dei protagonisti di oggi. Salviamolo.

QUALCHE GIORNO fa Avidgor Liberman, ministro degli Esteri alla Borghezio, annunciava alla signora Ashton, ministro della Commissione europea: “Se i palestinesi insistono nel voler lo Stato (disegnato dall’Onu) distruggeremo la loro Autorità e bombarderemo Gaza”. Arriva prima Netanyahu, capo del governo dimissionario: si vota e ha bisogno delle sirene della guerra per dimostrare ai falchi di Lieberman che i palestinesi lui li tratta così. Sperava nella vittoria del Romney bombe e cannoni, ma l’Obama in difficoltà per il “precipizio fiscale”, Cia decapitata, Segreteria di Stato senza segretario, è debole al punto giusto per scatenare l’inferno: palestinesi bersagli comodi e necessari. Cari amici ebrei, pacifisti sgomenti, è ancora possibile far finta di niente?


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