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Politica

Lettera a Prodi, Fassino e Veltroni, da parte degli amici del Phorum Palestina e compagni

Sulla visita a Sharon: un documento da leggere subito e divulgare all’istante
sabato 21 maggio 2005 di Emiliano Morrone
All’On.le Romano PRODI
All’On.le Piero FASSINO
Al Sindaco Walter VELTRONI
Abbiamo appreso dalla stampa che avete in programma una visita in Israele, dove incontrerete ufficialmente il Primo Ministro Ariel Sharon. Riteniamo che questo incontro sia un atto politicamente inopportuno e moralmente deplorevole, per i seguenti motivi.
Ariel Sharon non è un leader politico qualsiasi: è direttamente responsabile dell’assassinio di migliaia di uomini e donne, la cui unica colpa era quella di essere (...)

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> Il presidente palestinese: la pace dipende da Netanyahu. Appello di Abu Mazen all’Italia (di Vincenzo Nigro)

mercoledì 1 maggio 2013

Appello di Abu Mazen all’Italia

“Ci avete aiutato all’Onu ora fate pressioni su Israele”

Il presidente palestinese: la pace dipende da Netanyahu

di Vincenzo Nigro (la Repubblica, 01.05.2013)

NAPOLI - Il presidente palestinese Abu Mazen si è goduto a lungo la cittadinanza onoraria che Napoli gli ha concesso sabato mattina. Da venerdì sera a lunedì pomeriggio se ne è rimasto in città mentre l’Italia cambiava governo. «Già mi sento napoletano! E sono molto contento che l’Italia abbia il suo nuovo governo, sono sicuro che saprà seguire i destini del popolo palestinese con la saggezza e la comprensione che l’Italia ha sempre mantenuto, confermata dal voto all’Onu favorevole alla Palestina».

Il rais palestinese siede in una suite dell’hotel Vesuvio, aziona un telecomando, e dalla sala attigua entra un assistente: lui alza la mano destra con le dita a “V”, e quello gli infila una sigaretta fra l’indice e il medio, e gliela accende.

Presidente, qualcuno dei suoi funzionari teme che nel nuovo governo italiano ci siano amici troppo stretti di Israele, come il ministro degli Esteri Emma Bonino?

«Siamo felici di avere nel governo italiano un partner saggio ed equilibrato, e se in questo governo ci sono amici di Israele siamo ancora più felici. Sapranno parlare con Israele, convincerli di una cosa che tutti dicono essere vera: questa situazione di né pace-né guerra non è più sostenibile, l’Italia e l’Europa l’hanno capito, gli Stati Uniti stanno lavorando per far ripartire il negoziato. Poche settimane e vedremo».

Cosa pensa del nuovo governo di Israele?

«Ci sono ministri, alcuni vice-ministri, di orientamento profondamente radicale. Ma nonostante tutto sarà il primo ministro a decidere. Dipende dalla sua volontà: se Netanyahu vuole, i negoziati partono; e se i negoziati partono noi e gli israeliani, faremo un accordo».

Quali sono i risultati politici della vostra ammissione alle Nazioni Unite?

«Adesso la Palestina è uno Stato, anche se lo status è quello di “membro osservatore”. Ciò significa che in questo momento i nostri sono i territori di uno stato membro dell’Onu sottoposti ad occupazione. Se noi perderemo ogni altra possibilità, ogni altra speranza, potremo ricorrere alle Nazioni Unite per veder riconosciuti i nostri diritti».

Gli Usa vi hanno presentato un loro piano?

«Per ora non ci hanno presentato nulla. Quando il presidente Obama ci ha fatto visita abbiamo discusso degli aspetti politici, della sicurezza, dell’economia. Per cui la fotografia della situazione è molto chiara agli Usa: loro stanno lavorando, fra un certo periodo di tempo torneranno da noi e ci diranno se hanno avuto successo o meno, se si potrà andare avanti».

Molti vedono l’Europa come un buon partner, pronto ad aiutare i palestinesi, a finanziare progetti di ogni tipo, ma incapace di fare politica, di contribuire a disegnare un futuro per la regione.

«Non è vero: l’Europa, o almeno alcuni paesi della Ue, stanno lavorando molto seriamente per costruire qualcosa di concreto, per aiutare gli americani a capire meglio quali sono gli spazi di manovra, e non sprecare anche questa occasione. L’Europa ci conosce meglio degli americani, siamo vicini. Sapete meglio degli altri quali potranno essere le difficoltà a cui andremo incontro se continuerà questo stato di “né pace né guerra”, che è una condizione destinata a saltare. Avete visto cosa sta succedendo con le primavere arabe?»

Cosa succede? C’è un processo che oggi crea enormi problemi, ma potrebbe portare a maggiori forme di inclusione dei popoli nel governo dei loro Paesi.

«Queste “primavere arabe” sono state un grosso problema per i paesi in cui sono esplose: come vedete il caos sta crescendo ovunque. Dopo una rivoluzione è normale che ci sia un periodo di confusione, ma qui le cose si stanno mettendo male. I contrasti in molti paesi si stanno approfondendo, stanno per diventare irrisolvibili, le contraddizioni si preparano a diventare ancora più violente. Prendiamo l’esempio dell’Iraq, delle sue divisioni. Guardiamo alla Siria, alla guerra che colpisce il suo popolo. Queste rivoluzioni possono portare la democrazia senza distruggere quei Paesi?».

Fra i leader cancellati dalle primavere arabe c’è il rais egiziano Hosni Mubarak, un presidente per il quale lei non ha cessato di manifestare rispetto e gratitudine.

«Mubarak ci ha aiutato, molto. Sta all’Egitto decidere. Ma io non posso cancellare la storia, ha lavorato con noi, ci aiutato. Col nuovo governo abbiamo relazioni normali; lo sappiamo, sono Fratelli Musulmani, hanno un’ideologia diversa dalla nostra. Per noi non è un problema, e tra l’altro sono i mediatori della riconciliazione fra noi dell’Anp e Hamas, e continuano a lavorare su questo».

Alla fine farete un governo con Hamas?

«Il nostro governo ha rassegnato le dimissioni; abbiamo fissato un periodo di 5 settimane per formare un governo di transizione che dopo 3 mesi ci porterà alle elezioni, a Gaza e in Cisgiordania. Credo che Hamas sia ancora indecisa, spero che vogliano coinvolgersi nel processo elettorale: per il momento però non ci hanno dato risposte concrete».

Ma se non parte il negoziato con Israele cosa farete? Avete dato un tempo preciso agli americani per il loro tentativo, ma poi cosa accadrà?

«Gli americani ci hanno chiesto due mesi e mezzo. Se tutto rimarrà bloccato sappiamo già cosa proporre al nostro popolo. Non torneremo alla lotta armata, alla violenza, ma sappiamo bene cosa fare. Abbiamo delle idee, ma per il momento le teniamo per noi».


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