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Politica

Lettera a Prodi, Fassino e Veltroni, da parte degli amici del Phorum Palestina e compagni

Sulla visita a Sharon: un documento da leggere subito e divulgare all’istante
sabato 21 maggio 2005 di Emiliano Morrone
All’On.le Romano PRODI
All’On.le Piero FASSINO
Al Sindaco Walter VELTRONI
Abbiamo appreso dalla stampa che avete in programma una visita in Israele, dove incontrerete ufficialmente il Primo Ministro Ariel Sharon. Riteniamo che questo incontro sia un atto politicamente inopportuno e moralmente deplorevole, per i seguenti motivi.
Ariel Sharon non è un leader politico qualsiasi: è direttamente responsabile dell’assassinio di migliaia di uomini e donne, la cui unica colpa era quella di essere (...)

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>MEDIO ORIENTE. IL NUOVO ORDINE REGIONALE: ACCORDO DI ABRAMO E «PAX AMERICANA». I palestinesi restano prigionieri nella loro terra.

mercoledì 16 settembre 2020

Internazionale

Accordo di Abramo, il nuovo ordine regionale di Trump

Medio oriente. A Washington va in scena la firma sulla «pax americana» che normalizza i rapporti tra Israele, Emirati arabi e Bahrain. I palestinesi restano prigionieri nella loro terra, mentre Tel Aviv difenderà i paesi del Golfo dall’Iran

di Michele Giorgio (il manifesto, 16.09.2020)

      • [Foto] Trump mette la firma sull’Accordo di Abramo tra Bahrain, Israele ed Emirati arabi alla Casa bianca

GERUSALEMME. Il 13 settembre 1993 Yitzhak Rabin e Yasser Arafat si strinsero la mano durante la cerimonia alla Casa Bianca per la firma degli Accordi di pace di Oslo. Quel gesto fece immaginare ai più ottimisti un futuro in cui i palestinesi avrebbero ottenuto la libertà e la fine dell’occupazione militare israeliana.
-  Ieri 15 settembre 2020, 27 anni dopo quel gesto tra il premier israeliano e il leader palestinese, la firma dell’Accordo di Abramo, che normalizza i rapporti tra Israele, gli Emirati e il Bahrain, ha dimostrato definitivamente quanto fossero ingannevoli le intese raggiunte in segreto in Norvegia.
-  In questi 27 anni i palestinesi hanno ottenuto riconoscimenti sulla carta, sono stati accolti in tante agenzie e organizzazioni internazionali e all’Onu ufficialmente esiste lo Stato di Palestina. Ma ancora oggi restano prigionieri nella loro terra, chiusi in città e villaggi che ricordano i Bantustan, senza alcun prospettiva realistica di ottenere sovranità.
-  In queste ore presunti esperti si affannano a spiegare su media-megafoni che i palestinesi «stanno perdendo un altro treno». Ma ai palestinesi è stato sempre offerto, da Oslo in poi, lo stesso o poco più di quanto Donald Trump propone nel suo piano: uno staterello-fantoccio sotto il controllo di Israele in qualche porzione di Cisgiordania. Con Gaza isolata, prigione per gli islamisti di Hamas e i suoi 2 milioni di abitanti. Prendere o lasciare.

Evocava, non a caso, un nuovo Medio oriente ieri Donald Trump. «È l’alba di un nuovo Medio Oriente...Siamo qui per cambiare il corso della storia», ha detto sotto lo sguardo compiaciuto del premier israeliano Netanyahu e i sorrisi stampati sul volto del ministro degli esteri emiratino Abdullah bin Zayed Al Nahyan e di quello del Bahrein Abdullatif bin Rashid Al-Zayan. Ed è vero, sta nascendo un nuovo ordine regionale.
-  Non è stata fatta la pace, come si è detto banalmente, tra Israele, Emirati e Bahrain. Abu Dhabi e Manama non sono mai state in guerra con lo Stato ebraico, hanno sempre avuto con esso, specialmente negli ultimi anni, relazione strette e una ampia collaborazione, specie nell’intelligence. Solo che si è svolta dietro le quinte.
-  Più concretamente sta sorgendo un sistema regionale in cui le monarchie arabe sunnite riconoscono la superiorità economica, militare e strategica di Israele che ne diventa di fatto il difensore davanti al nemico comune, l’Iran. Israele sgraverà, in parte, Washington della responsabilità avuta per decenni di proteggere i ricchi alleati nel Golfo.

Nella pax americana i palestinesi non contano nulla, sono un tassello che non appartiene al mosaico. Perché hanno il torto di reclamare ancora i loro diritti sanciti da una infinità di risoluzioni internazionali. «Gli accordi ci permetteranno di stare a fianco del popolo palestinese e di aiutarlo nel loro sogno di uno stato indipendente...grazie per aver deciso di mettere fine all’annessione (a Israele) dei territori palestinesi», ha proclamato solenne Abdullah bin Zayed Al Nahyan rivolgendosi a Netanyahu.
-  Per l’analista ed esperta di diritto internazionale Diana Buttu «Rinunciando alla condizione del ritiro di Israele dai territori palestinesi occupati (nel 1967), Emirati, Bahrain e i paesi che si uniranno a loro, si adeguano alla linea dell’Unione europea: faranno affari e tanti programmi insieme a Israele e ogni tanto ci ricorderanno che i palestinesi hanno dei diritti».

«Molte nazioni sono pronte» a fare la pace con Israele, «almeno cinque o sei si uniranno molto in fretta», ha annunciato Trump «sono nazioni in guerra ma stanche di combattere», ha detto, senza nominare alcun paese. Ha aggiunto che «Grandi cose accadranno» con l’Arabia Saudita, regno che Trump vuole portare alla normalizzazione con Israele prima delle presidenziali Usa. «Vedrete grande attività. Ci sarà pace in Medio Oriente...Anche Bibi è stanco di guerra», ha proseguito con una risata, riferendosi a Netanyahu.
-  Il premier israeliano cogliendo l’imbeccata ha replicato «Il popolo d’Israele conosce il prezzo della guerra, conosco il prezzo della guerra. Sono stato ferito in battaglia. Un soldato è morto nelle mie braccia. Mio fratello Yoni ha perso la vita salvando ostaggio». Siamo qui, ha aggiunto Netanyahu, «per l’alba della pace, per dare speranza ai figli di Abramo. Questa pace porterà alla fine del conflitto arabo israeliano una volta per sempre».

Sul palcoscenico della firma dell’Accordo di Abramo i rappresentanti di Emirati e Bahrain sono stati solo delle comparse accanto ai protagonisti Trump e Netanyahu. Prima della firma degli accordi, il presidente Usa aveva offerto la chiave d’oro della Casa Bianca al leader israeliano. Netanyahu ha ringraziato e forse avrà pensato: l’ho sempre avuta.


Estero

Chi vince e chi perde dagli Accordi di Abramo

Israele, Emirati e Bahrein, ma anche l’America di Trump, hanno da guadagnare dalla normalizzazione dei rapporti nella regione. Scavalcati i Palestinesi, preoccupazione in Iran

di Cecilia Scaldaferri (AGI, 16 settembre 2020)

      • [Foto] Medio Oriente Trump Netanyahu Abramo Emirati Bahrein

AGI - Negli storici Accordi di Abramo tra Israele, Emirati arabi uniti e Bahrein ci sono chiari vincitori e vinti. A cinquant’anni esatti dal ’Settembre Nero’ che aprì la strada alla cacciata dei fedayn di Yasser Arafat dalla Giordania, i palestinesi sono gli unici a non poter cantare vittoria. Anche l’Iran guarda con preoccupazione all’allargamento e al compattamento del fronte dei suoi nemici in un’alleanza pragmatica per la quale lo spirito anti-Teheran è stato un collante decisivo.

Trump, "presto aderiranno altri 5-6 Paesi"

Dopo il primo passo rivoluzionario compiuto da Abu Dhabi, seguito da vicino da Manama, la speranza di Washington, e di Gerusalemme, è che altri Paesi facciano lo stesso. Tra questi, uno potrebbe essere l’Oman. A spingere il Golfo in questa direzione c’è la comune opposizione verso l’arcinemico Iran e la sfida posta dall’atteggiamento sempre più aggressivo della Turchia di Recep Tayyip Erdogan nella regione. Lo stesso presidente Trump ha detto che presto altri "cinque o sei Paesi" arabi seguiranno l’esempio di Emirati arabi uniti e Bahrein.

Tutti i protagonisti di questa "svolta diplomatica storica" hanno da guadagnare dall’accordo per la normalizzazione dei rapporti: il presidente americano, Donald Trump, ha messo a segno un grosso colpo in vista delle elezioni di novembre mentre gli Emirati possono dire di aver fermato i piani israeliani di annessione della Cisgiordania e attraverso i negoziati stanno facendo pressioni per ottenere il via libera alla vendita degli F-35 su cui finora Israele aveva messo il veto (e che frutterebbe agli Stati Uniti posti di lavoro spendibili in campagna elettorale).

Da parte sua, lo Stato ebraico apre la strada a una cooperazione economica con i Paesi del Golfo che può valere miliardi di dollari di interscambio annuo (una boccata d’ossigeno nel post-pandemia di Covid-19) e scavalca Ramallah e le sue istanze; senza contare il ritorno di immagine per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, sotto attacco in patria per una gestione fallimentare dell’epidemia coronavirus e per il processo in cui è incriminato per corruzione, frode e abuso di fiducia.

Ma i Palestinesi si sentono "traditi"

Il leader dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha gridato al tradimento, ha lanciato appelli a scendere in piazza a protestare, ha anche tentato di far passare una risoluzione di condanna all’ultima riunione della Lega araba ma il tentativo si è risolto in un nulla di fatto.
-  La causa palestinese resta tuttavia in primo piano, hanno assicurato gli Emirati: negli Accordi di Abramo si fa riferimento alla ’soluzione dei due Stati’, ha affermato il sottosegretario agli Esteri, Anwar Gargash, precisando però che sono citati solo brevemente perché il documento tratta largamente delle relazioni bilaterali tra Israele ed Emirati.

Lo stesso re saudita Salman, il custode dei luoghi sacri dell’Islam, in una telefonata la settimana scorsa con Trump, è tornato a ribadire la centralità della causa palestinese per il via libera a futuri rapporti: senza "una soluzione giusta e durevole che porti la pace", non ci sarà normalizzazione. Una puntualizzazione necessaria per non essere accusata, anche Riad, di tradire i palestinesi.


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