La missione Irene. Il catamarano portava aiuti umanitari e giocattoli per la Striscia Il falco Lieberman gela Obama: ci vorranno decenni per arrivare alla pace con i palestinesi
Israele blocca nave per Gaza. A bordo nove pacifisti ebrei
A bordo della nave della pace anche un sopravvissuto all’Olocausto e il padre di una ragazza uccisa in un attentato a Gerusalemme: «Un vero eroe è colui che cerca di trasformare un nemico in amico».
di Umberto De Giovannangeli (l’Unità, 29.09.2010)
Reuven Moshkovitz, 82 anni, sopravvissuto alla Shoah. Rami Elhan, un padre che ha perso la figlia di 14 anni in un attentato suicida in un centro commerciale di Gerusalemme nel 1997. Reuven e Rami hanno saputo trasformare il loro dolore in energia positiva. In determinazione ad agire contro i soprusi perpetrati da Israele contro la popolazione della Striscia. Una determinazione che li ha spinti a far parte della spedizione dell’ «Irene», il catamarano con a bordo nove pacifisti ebrei, tra i quali anche israeliani, che ieri ha cercato di forzare il blocco navale israeliano per raggiungere Gaza City, con un piccolo carico di medicinali, giocattoli e apparecchiature per la purificazione dell’acqua. «È un dovere sacro per me, come sopravvissuto all’Olocausto - dice Reuven Moshkovitz quello di protestare contro la persecuzione, l’oppressione e la carcerazione del popolo di Gaza, compresi 800.000 bambini».
Grazie al prezioso contributo della Rete romana di solidarietà con il popolo palestinese, riusciamo a metterci in contatto telefonico con gli uomini a bordo dell’«Irene». «Vogliamo dire al mondo che in Israele ci sono anche tante persone che giudicano un crimine contro l’umanità il blocco a Gaza. Non è opprimendo un altro popolo, negandogli libertà di movimento, e il diritto ad uno Stato indipendente, che garantiremo la nostra stessa sicurezza», afferma Rami Elhan. «La nostra aggiunge - vuol essere una protesta non violenta e per questo ancora più forte». La linea cade. Un momento prima, sentiamo voci concitate: «Stanno arrivando», riesce a dire Rami. È l’avvisaglia di ciò che da lì a qualche minuto accadrà. Le ultime parole danno conto di un momento drammatico: «Un cacciatorpediniere israeliano ci taglia la strada...Un’altra piccola imbarcazione si avvicina...Il cacciatorpediniere si sta avvicinando ed anche le piccole barche stanno intralciando al nostra rotta...Hanno mitragliatrici a poppa e prua...Il cacciatorpediniere sta bloccando a prua la nostra rotta mentre il naviglio minore ci sta circondando». Poi, il silenzio.
Un commando della marina israeliana prende il controllo della imbarcazione, battente bandiera britannica. L’azione è confermata da una portavoce militare, secondo la quale l’equipaggio dell’«Irene» è stato contattato mentre si avvicinava alla Striscia di Gaza e sollecitato a cambiare rotta poiché secondo Israele stava «violando la legge israeliana e quella internazionale»’. Ma ha opposto un rifiuto. Di qui l’abbordaggio, conclusosi in ogni caso «senza violenze da una parte o dall’altra», «La sorte di questa barca simboleggia il destino delle speranze di pace in questa regione», rimarca da Londra Richard Kuper della Jews for Justice for Palestinians e del Comitato organizzatore della nave «Irene».
NEL PORTO DI ASHDOD
Nel primo pomeriggio l’«Irene» ha fatto il suo ingresso forzato nel porto israeliano di Ashdod. Il ministero degli Esteri israeliano ha accusato i pacifisti di aver attuato una deliberata «provocazione» e «di versare deliberatamente benzina sul fuoco dell’odio verso Israele nel mondo». Ma per Reuven Moshkovitz, 82 anni, sopravvissuto alla Shoah, «vero eroe è colui che cerca di trasformare un nemico in un amico» . I pacifisti israeliani sono stati fermati dalla polizia per interrogatori, quelli stranieri saranno espulsi.
Dalle acque agitate di Gaza a quelle, non meno tempestose, di un negoziato in bilico. Il presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) chiede che Israele rispetti una moratoria sulla colonizzazione «fino a quando vi saranno negoziati» di pace. «Chiediamo la moratoria fin quando vi saranno negoziati di pace perché, finché vi saranno negoziati di pace, vi sarà speranza», dice da Parigi il presidente dell’Anp, ai microfoni di Radio Europe. Una risposta, indiretta, viene da New York. Ed è una risposta raggelante. Ad offrirla è il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman. Pochi giorni fa dalla tribuna dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Barack Obama aveva affermato che è possibile, entro un anno, raggiungere una pace fondata su «due popoli, due Stati».
Dalla stessa tribuna, Lieberman, capofila dei falchi israeliani, avverte: c’è’ il rischio che ci vogliano decenni per un accordo tra israeliani e palestinesi, perché occorre risolvere prima la questione iraniana. E da Gerusalemme l’ufficio del premier licenzia una nota ufficiale fortemente irritata: le affermazioni del ministro degli Esteri sul conflitto israelo-palestinese «non rappresentano la posizione del Governo israeliano».