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LA LINGUA ITALIANA E L’ EUROPA. Il Presidente NAPOLITANO: l’italiano "è una lingua di cultura, che può forse diventare una lingua franca". MEDITERRANEO, IMMIGRAZIONE, E INTEGRAZIONE. UNA RICERCA SUL LAVORO DELLA "DANTE ALIGHIERI". ***50 ANNI TRATTATI DI ROMA: LA COMMISSIONE "UE" AGGIUNGE ANCHE L’ITALIANO ***

sabato 20 gennaio 2007 di Federico La Sala
[...] Scrive il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella prefazione: «Il lavoro della Dante Alighieri, di cui questo libro è testimonianza, va in questa direzione: aiuta cittadini di altri stati a inserirsi nella nostra cultura, attraverso gli atti comunicativi più semplici, quelli che passano attraverso il "buongiorno" e la "buonasera", parole che aprono e chiudono una giornata di fatica quotidiana, accompagnata, forse, anche da qualche "grazie" ricevuto e dato. [...] (...)

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> LINGUA ITALIANA E MEDITERRANEO: IMMIGRAZIONE E INTEGRAZIONE. ALLA SEDE DEL "CNEL", PRESENTAZIONE DEI RISULTATI I DI UNA RICERCA SUL LAVORO DELLA "DANTE ALIGHIERI". L’italiano "è una lingua di cultura, che - scrive il Presidente Napolitano - può forse diventare una lingua franca".

martedì 5 dicembre 2006

Italiano, lingua franca del Mediterraneo

di Davide Rondoni (Avvenire, 05.12.2006)

Di fronte al flusso dell’immigrazione si fanno molti discorsi. Intanto ci sono quelli che navigano in mare aperto per recuperare barche di disperati. Gente che li accudisce per quel che si riesce. Gente che dà lavoro. Ci sono tanti che "fanno" l’integrazione. Tanti altri, è vero, ne approfittano. Da una parte e dall’altra. Dalla parte di coloro che arrivano, e di coloro che li vedono arrivare. Si parla tanto di integrazione. Di come può avvenire. E su molte cose c’è disaccordo. Su quanti anni servono per diventare cittadini. Su cosa occorre, un lavoro oppure no. Sul tetto da fissare oppure no. Su una cosa però tutti sembrano d’accordo. Che occorre la lingua. Vale a dire che la lingua, la conoscenza della nostra fantastica, difficile e vivissima lingua, è una condizione necessaria.

La lingua di un popolo è il deposito e lo strumento con in cui la tradizione vive, e trasmette i propri valori e le proprie crisi. E’ il profilo dell’anima, il veicolo per comprendere dove si è capitati. Conoscere la lingua di un popolo a cui si decide di appartenere è il primo modo per vivere un passaggio difficile. Tutti d’accordo, dunque. Ma vorrei, proprio per questo, fare alcune domande. Che non vengono da un politico. Né da un sociologo. Ma da uno di coloro che, scrivendo poesie, servono in qualche misura alla vita della lingua, cercando anche di preservarla dalla banalizzazione che la uccide.

Oggi il Cnel e la Società Dante Alighieri presenteranno l’esito di una importante ricerca. Vi si mostrano gli esiti di un lungo lavoro di insegnamento della nostra lingua in paesi da cui proviene l’immigrazione. Un percorso rivolto, dunque, a coloro che sarebbero venuti in Italia. Seguiti dapprima nel loro paese d’origine e anche dopo l’immigrazione. Esistono leggi al proposito, e dunque gli strumenti non mancano.

La Dante Alighieri, meritoria società fondata da Carducci proprio per servire la lingua italiana, con le sue 400 delegazioni in ogni parte del mondo, sta svolgendo un lavoro importante. Anche l’«Indire» (Istituto nazionale per la documentazione e la ricerca educativa) sta affrontando il tema dell’insegnamento dell’italiano all’estero. Però ci sono questioni aperte. Innanzitutto sulla certificazione. Se la conoscenza della lingua è strumento di integrazione, come si fa a certificare che uno conosce l’italiano? E chi ha l’autorità per rilasciare tale certificazione? In altri paesi europei esistono strumenti di questo genere. E, ad esempio, l’ingresso alle università o anche in molti luoghi di lavoro è subordinato al raggiungimento di un certo standard certificato di proprietà della lingua. In Italia no. Esistono ben quattro certificati rilasciati rispettivamente dalla stessa «Dante Alighieri», dall’Università di Roma Tre e da quelle per stranieri di Siena e di Perugia. Forse è meglio ridurli a uno. E poi chi si deve far carico di svolgere questo insegnamento? Oggi, gli immigrati trovano diverse offerte: dai sindacati, da chiese di varia confessione, da istituti di vario genere. E la domanda è, in mancanza di parametri precisi, vaga e legata alle pure necessità contingenti.

Nella sua introduzione al volume curato da Massimo Arcangeli e Alessandro Masi, direttore della Dante Alighieri, Il presidente Napoletano azzarda l’ipotesi che l’italiano possa diventare una sorta di "lingua franca" dell’area del Mediterraneo da cui vengono tanti migranti. E’ un’ipotesi non solo suggestiva. Molti dati la confortano. Ma occorre ora uno scatto. Che è uno scatto d’amore per la nostra lingua, e per ciò che in lei si custodisce e si rinnova. Un grande poeta russo diceva che l’italiano è una lingua piena di affetto. Come un saluto e un bacio, tutta pronunciata verso l’altro. Come una ricchezza disponibile. Dobbiamo saperlo prima di tutto noi.


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