INDIA
L’India sta perdendo la sua laicità
di Gwynne Dyer, giornalista *
Quando l’India ha conquistato l’indipendenza dal Regno Unito, 70 anni fa, era stata fondata come democrazia laica, in quanto riconosceva a musulmani, sikh, cristiani e altre minoranze religiose gli stessi diritti e lo stesso status della maggioranza indù. Il mahatma Gandhi, grande eroe del movimento d’indipendenza, era un indù praticante, ma fu ucciso da un fanatico indù perché difendeva i diritti dei musulmani dopo l’indipendenza.
Quello di Gandhi è stato uno degli omicidi più “utili” della storia, perché all’epoca gli estremisti indù stavano approfittando del fatto che il Pakistan si fosse dichiarato uno “stato musulmano” per chiedere che l’India si dichiarasse “stato indù”. Dopo la morte di Gandhi il primo premier del paese, Jawaharlal Nehru, riuscì a isolare gli estremisti indù e a sfruttare la rabbia popolare per l’assassinio di Gandhi per confermare l’identità dell’India come stato secolare.
L’India è ancora una democrazia, ma oggi il ritratto di uno degli uomini che cospirarono per uccidere Gandhi è affisso nel parlamento nazionale; il primo ministro Narendra Modi guida un partito, il Bharatiya janata party (Bjp, Partito popolare indiano) creato come ala politica della Rashtriya swayamsevak sangh (Rss, Organizzazione nazionale patriottica), un’organizzazione paramilitare che sostiene la supremazia indù; e i troll hindutva degli estremisti indù storpiano su Twitter la parola “secolare” nel dispregiativo “sickular”.
La storia semplificata
L’hindutva è il genere di suprematismo indù che ha creato la retorica secondo cui “essere indù significa essere costantemente offeso”. È una tesi che considera l’India come una civiltà ferita perché ha passato gran parte degli ultimi mille anni sotto il giogo di numerosi invasori stranieri (non certo un’esperienza unica) e propone come rimedio l’imposizione di una versione estremamente semplificata dell’induismo politicizzato.
In pratica, è solo un’altro tipo di populismo, ma il suo principale sostenitore, il primo ministro Narendra Modi, deve affrontare una società in cui le cui divisioni sono molto più profonde di quelle che toccano alla sua controparte americana, Donald Trump. Tuttavia Modi è un uomo più disciplinato di Trump e non perde tempo a twittare insulti e a litigare a casaccio.
Modi è concentrato sulla crescita economica e in particolare sul miglioramento del tenore di vita della classe medio-bassa, da cui proviene gran parte dei suoi sostenitori. Ma per ottenere e mantenere la maggioranza parlamentare che gli permette di portare avanti il suo programma deve rivolgersi a un pubblico più eterogeneo.
Modi è molto attento al voto dei dalit perché sono la chiave per la conferma del Bjp al governo
Per più di cinquant’anni l’India ha seguito il principio laico secondo cui la religione è una faccenda privata. Subito dopo la nomina, però, Modi ha appoggiato un divieto nazionale per la macellazione delle vacche (già proibita in molti stati). Più recentemente il premier ha vietato anche la macellazione dei bufali. Non sorprende se i vigilantes “protettori delle vacche” abbiano cominciato ad aggredire le persone sospettate di commerciare carne bovina. Negli ultimi due anni queste aggressioni hanno provocato la morte di mezza dozzina di persone.
Modi sostiene il bando perché gli indù delle caste più alte (il gruppo da cui il Bjp riceve gran parte del supporto politico) sono convinti che le vacche siano sacre e non sia permesso mangiarle. Tuttavia gli indù delle caste inferiori, i dalit, mangiano carne bovina e rappresentano quasi un quarto degli elettori in India. Per il Bjp è un problema politico serio.
I musulmani, che gestiscono il commercio di carne bovina e pellami, rappresentano un altro 14 per cento dei voti, ma Modi non si preoccupa di perderli perché i musulmani non voterebbero mai per il Bjp in ogni caso. Il premier è molto attento al voto dei dalit perché sono essenziali per confermare il Bjp al governo.
Un approccio ambivalente
Nel 2014 Modi ha ottenuto una maggioranza schiacciante al lok sabha (la camera bassa del parlamento) ma non ha superato il 31 per cento del voto popolare. Il sistema maggioritario produce questi risultati squilibrati. Ma il rajya sabha (camera alta o senato) è eletto dai governi statali, dove i dalit hanno spesso un importante ruolo politico. Il Bjp non otterrà mai la maggioranza al senato senza l’appoggio dei dalit.
Modi cammina su un filo sottile sulla questione delle vacche sacre: sostiene la protezione degli animali per soddisfare gli elettori delle caste alte, ma condanna l’omicidio dei macellai e dei commercianti di pelli da parte dei vigilantes (che sono però appoggiati dall’Rss, l’organizzazione legata al Bjp).
In realtà, l’intero approccio di Modi all’induismo è piuttosto ambivalente. Due anni fa, per esempio, parlando di sanità in India, il primo ministro si è avventurato in un discorso sul dio Ganesh, dalla testa di elefante: “Veneriamo il signore Ganesh. All’epoca ci dev’essere stato un chirurgo plastico che ha attaccato la testa di un elefante a un corpo umano e così è nata la chirurgia plastica”.
Ipotizzare che Ganesh fosse una chimera creata da antichi chirurghi plastici non è esattamente in linea con l’ortodossia indù. D’altro canto l’idea che l’India fosse ai vertici mondiali della chirurgia plastica qualche migliaio di anni fa può entusiasmare i nazionalisti più ingenui. È un bizzarro miscuglio di idee, ma non certo senza precedenti nella politica populista.
Purtroppo, allo stato attuale i sickular libtard (espressione spregiativa per indicare i liberali laici) sono in ritirata, le minoranze religiose sono emarginate e le persone che definiscono l’India come un “paese indù” sono ai comandi. È ancora presto per sostenere che si tratta di un cambiamento irreversibile, ma è una svolta radicale rispetto ai valori fondativi del paese. L’India è ancora una democrazia, ma comincia a somigliare molto al Pakistan.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
* Internazionale, 20 agosto 2017 (ripresa parziale - senza immagini).