L’indicibile legame della democrazia
Da domani a Brescia un seminario internazionale su «Principia Iuris», di Luigi Ferrajaoli. Un lavoro di ricerca durato quarant’anni che propone un modello coerente e unitario di «scienza giuridica»
di Tecla Mazzarese (il manifesto, 05.12.2007)
Il 6 e 7 dicembre a Brescia, presso la Facoltà di Giurisprudenza, studiosi italiani e spagnoli discuteranno di diritto e democrazia costituzionale. Un problema classico e tuttavia di grande attualità, in un momento nel quale la ridefinizione dell’apparato categoriale tanto del diritto che della democrazia costituzionale, così come le loro possibili interazioni, appare tanto urgente quanto complessa e per molti aspetti controversa. Occasione dell’incontro è la recente pubblicazione di un’opera davvero inconsueta per le molte singolarità che la caratterizzano: Principia Iuris. Teoria del diritto e della democrazia, tre volumi di Luigi Ferrajoli editi da Laterza (in libreria i volumi sono due e il terzo, in cd, con la formalizzazione logica della teoria del diritto, è allegato al primo).
Un modello integrato
Una prima singolarità di Principia Iuris, quanto mai rara nella letteratura degli ultimi decenni, è di offrire una teoria unitaria e compiuta in cui diritto e democrazia sono due dimensioni, l’una all’altra complementare, di uno stesso impianto concettuale e di uno stesso progetto politico; una teoria puntuale nella sua scansione e di sorprendente ricchezza nella molteplicità dei temi affrontati.
In particolare, è un’opera che sviluppa una teoria unitaria e compiuta che, come lo stesso Ferrajoli ha sottolineato nella prima presentazione pubblica di Principia Iuris a Città del Messico lo scorso 30 ottobre, in netta contrapposizione con una situazione «caratterizzata da un sostanziale analfabetismo giuridico dei filosofi e da un non minore analfabetismo filosofico dei giuristi», propone un «modello integrato di scienza giuridica» che, senza ignorarne le rispettive competenze disciplinari tematiche e metodologiche, rivendica la reciproca complementarietà fra teoria del diritto, dogmatica, filosofia politica e sociologia del diritto.
Da questa caratteristica la decisione di riunire a Brescia a discutere del suo metodo e delle sue tesi non solo filosofi del diritto (Manuel Atienza, Juan Carlos Bayón, Riccardo Guastini, José Juan Moreso, Luis Prieto, Danilo Zolo), ma anche logici (Carlo dalla Pozza, Mauro Palma, Marina Gascón), filosofi della politica (Michelangelo Bovero, Ernesto Garzón Valdés, Geminello Preterossi, Pierpaolo Portinaro, Alfonso Ruiz Miguel), magistrati e giuristi (Perfecto Andrés Ibáñez, Salvatore Senese, Michele Taruffo, Gustavo Zagrebelsky), e il segretario uscente della Camera del lavoro di Brescia, Dino Greco.
E ancora: Principia Iuris è un’opera singolare sia sotto il profilo metodologico, sia sotto il profilo teorico. In particolare, sotto il profilo metodologico, la sua singolarità è di proporre una teoria assiomatizzata del diritto, considerata funzionale e al tempo stesso complementare a una teoria della democrazia costituzionale (non assiomatizzata, questa, ma rigorosamente delineata e scandita nelle diverse tessere che ne individuano l’impianto complessivo).
Non priva di illustri precedenti nella storia della filosofia del diritto (valga per tutti il riferimento a Leibniz), questa singolarità è risolutamente difesa da Ferrajoli che nella Prefazione del primo volume, non solo giustifica l’adozione del metodo assiomatico con «ragioni teoretiche» ma la rivendica anche, e forse soprattutto, per la sua «funzione pratica» perché «il metodo assiomatico rappresenta (...) un potente strumento di chiarificazione concettuale, di elaborazione sistematica e razionale, di analisi critica e di invenzione teorica, ed è quindi particolarmente efficace ai fini dell’esplicazione della crescente complessità e ineffettività degli ordinamenti moderni, nonché della progettazione dei loro modelli normativi e delle loro tecniche di garanzia».
Sotto il profilo teorico, poi, Principia Iuris offre una teoria assiomatizzata del paradigma giuridico, cioè di quella griglia analitica che nella filosofia del diritto e nella politica degli ultimi anni è stato denominata come neocostituzionalismo e che, forse per prendere le distanze dalle sue concezioni che tendono ad affermare una (nuova) versione di cognitivismo etico sovrapponendo e confondendo diritto e morale, Ferrajoli preferisce denominare invece giuscostituzionalismo.
Al riparo del mercato
Sotto il profilo teorico, Principia Iuris offre, cioè, una teoria assiomatizzata del paradigma giuridico dei Paesi che, affrancatisi da regimi totalitari e illiberali, dal secondo dopoguerra si sono dati una costituzione scritta, lunga, rigida e garantita; una costituzione, cioè, che nella positivizzazione dei diritti fondamentali e del principio del mantenimento della pace individua e delimita quella che Ferrajoli denomina «sfera dell’indecidibile»; una sfera, cioè, relativa ai diritti individuali che non si possono ledere né violare e ai diritti sociali che si devono attuare e implementare, la quale è sottratta, almeno di principio anche se non sempre di fatto, alla discrezionalità del legislatore ed è preclusa alle ingerenze e interferenze del mercato e della politica.
Un’altra singolarità è che Principia Iuris già da alcuni anni è al centro di un vivace dibattito internazionale. Nei lunghi anni che ne hanno accompagnato la redazione, quasi quaranta dalla prima enunciazione del suo nucleo concettuale nella Teoria assiomatizzata del diritto del 1970, sia la scelta del metodo assiomatico che le teorie del diritto e della democrazia che Ferrajoli andava sviluppando sono stati infatti più volte discussi e sottoposti a un attento vaglio critico, non privo, a volte, anche di toni aspri e accenti polemici.
Molti, in particolare, gli incontri di studio che nel corso degli anni sono stati organizzati nelle più diverse sedi universitarie italiane, e ancora più numerosi, forse, quelli organizzati in Spagna, Argentina, Brasile e Messico dove l’attenzione per l’opera di Ferrajoli è davvero grande, al punto che Principia Iuris è già in corso di traduzione in castigliano. A ogni osservazione, commento o critica, è questa l’ulteriore singolarità di Principia Iuris, Ferrajoli ha sempre risposto, testimoniando così della propria irriducibile fiducia nel dialogo e nel confronto, in modo attento e puntuale, spiegando e argomentando ogni volta il perché delle proprie tesi e la ragione degli argomenti scelti per giustificarle.
Principia Iuris è, così, il risultato di un processo di scrittura e riscrittura continua, durato più di quarant’anni; processo che non si è interrotto neppure in fase di correzione di bozze, quando, i due giovani studiosi che lo hanno aiutato, Dario Ippolito e Fabrizio Mastromartino, non sono riusciti a trattenersi dal fare osservazioni e commenti alle pagine che leggevano, e Ferrajoli non è riuscito ad astenersi dal tener conto delle loro osservazioni apportando qua è là ancora qualche modifica al testo.
Un classico del Novecento
Ultimo aspetto dell’opera, ma non per questo meno importante, è la mole di materiali raccolti criticamente dall’autore. Una mole di riferimenti che, come ha osservato Manuel Atienza, relatore della sessione introduttiva dell’incontro bresciano, ricorda le grandi opere filosofiche del passato: imponenti, sorprendentemente rigorosi nell’articolazione, particolareggiati nell’argomentazione.
Nella migliore tradizione delle grandi opere filosofiche, Principia Iuris è dunque improntata ad un’idea forte che la fonda e, in una sola frase, ne sintetizza e chiarisce la ragion d’essere; una singola frase che, già dieci anni prima della sua pubblicazione, nel 1997, a Camerino, in occasione del conferimento di una laurea honoris causa a Norberto Bobbio, Luigi Ferrajoli pronuncia nelle battute conclusive della sua splendida laudatio, quando afferma: «c’è una cosa che la storia (del Novecento) ci ha insegnato: che nella costruzione della democrazia non esistono alternative al diritto, e che nella costruzione del diritto non esistono alternative alla ragione».
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La passione del fare politico
Rigore e semplicità. Le qualità de «Principia Iuris». Un’opera che interroga il secolo breve senza ritrarsi di fronte ai nodi che ha lasciato in eredità
di Rossana Rossanda (il manifesto, 05.12.2007)
Coloro che hanno seguito sia pur da lontano Luigi Ferrajoli nella stesura dei Principia Iuris sanno quanta fatica gli sia costato non l’impianto dell’opera, così radicato nella sua formazione intellettuale, quanto la determinazione a renderla come un pane da spezzare per qualsiasi cittadino che si interroghi sulle relazioni interindividuali e fra individui e società. Come darsi un sistema di regole al fine di garantire la reciproca libertà e sicurezza dei diritti? Antico problema, ma rivisto alla fine di un secolo che ha messo in causa sia le forme della democrazia, sia quello che si voleva un suo superamento in senso comunista. Ne è venuto un lavoro imponente e semplice, rigoroso e comunicante senza nulla togliere allo spessore dell’argomentazione, ai riscontri del e nel sistema, e alla genesi storica e teorica dei concetti.
Sembra impossibile che un titolo così severo e la mole delle pagine costituiscano un’opera che chiunque può prendere in mano senza sentirsi allontanato. Si deve certo all’eleganza della scrittura, ma soprattutto, credo, alla convinzione morale e politica di Ferrajoli che urge ricostruire un sistema di rapporti umani ormai a rischio di imbarbarimento. Bisogna e si può. È poi il fondamento del politico, una posta alta, il contrario d’un esercizio accademico. In questo Luigi Ferrajoli è proprio un illuminista, ne possiede (è posseduto da) quella passione di capire, dirimere e spiegare che si fonda sulla convinzione che la specie umana ha la capacità di darsi un senso e delle regole che ne consentano una terrena sopravvivenza. Si potranno fare altre accuse all’illuminismo, non quello di non averci restituito la possibilità di quella salvezza, nei limiti della vita, che le religioni negano, rimettendo il nostro destino nelle nostre mani. Filo d’Arianna l’uso della ragione, strumento da usare e verificare nella sua struttura logica e fin matematica. Questa non è una fede, è una scelta. Controcorrente, a stare agli ormai trentennali assalti alla ragione tacciata di imperialismo occidentalista, astrazione, pretesa universalistica, misconoscenza delle differenze. E’ proprio la sigla di Ferrajoli - si ricorderà Diritto e ragione - e non perché ignori quanto l’irrazionalità sia costituente dell’umano, ma per la persuasione che non è possibile fondare sull’irrazionale una rete di rapporti che garantisca la libertà. Libertà «di» e libertà «da».
Ne viene - sembrerà un paradosso - una lezione di rigore e di senso del limite. Ferrajoli insiste sul carattere di convenzione nel tempo e nello spazio d’una teoria assiomatica del diritto che considera decisiva per una moderna democrazia concreta. Convenzione, che esclude dunque il sacro e l’indicibile, non sconfina dal suo territorio, non si concede divisioni di tempi e settori, non si presta a un’eterogenesi dei fini. Non è mortifera. La domanda è, se mai, dove trascenda altri tempi e altre culture, ma già questo è uno sconfinare. È dal suo interno - il da noi e oggi - che va interrogata. Ma soprattutto utilizzata. Chi legge si sente raccomandare dall’autore di non spaventarsi per la mole del lavoro, di saltare questa e quella parte, di andare senz’altro al secondo volume perché questo libro non è stato pensato soltanto per sperimentare fino in fondo un percorso di metodo, ma per essere agito. Per il fare politico, arendtiano. Come se la completezza della ricerca, la politura dell’opera fosse una sfida prima di tutto per chi l’ha stesa, bisogno di non lasciarsi zone non controllate. Gli altri, gente non addetta ai lavori, non si annoino, non si stanchino, vadano al dunque, il nocciolo utile, necessario che è il come della democrazia. La scommessa è stata anche nello scrivere un’argomentazione inattaccabile in quel che Ferrajoli chiama «il linguaggio comune», per quel che di comune sta nel definire i nostri rapporti con l’altro e gli altri.
È una scrittura densa e senza trappole. A me, confesso, è capitato di farne un uso irrispettoso; avevo il manoscritto e più volte sono andata a cercare - indici irreprensibili - com’era impostato o risolto un problema che le cose del mondo mi ponevano. E di lì poi vagavo per richiami, perché in questa idea del diritto come convenzione compatta, articolata, logico-matematica, tutto si tiene. E tutto serve. Invitata a guardarmi dal primo volume, vi ho pescato invece alcuni passi per me decisivi, e quindi mi sono messa a leggerlo a cavalletta, saltando le verifiche logico-matematiche, con la voglia di riflettere, tornarvi, discutere, qualche volta litigare.
Per chi viene dal Novecento, Principia iuris impatta sui nodi dell’esperienza e li riproblematizza. Mi sia permesso, da profana, di evocarne due. Il primo riguarda il rapporto tra quel che Marx chiama materiale reale e il diritto. Lasciamo pure da parte la vulgata su struttura e sovrastruttura, chi viene prima e chi viene dopo, dalla quale sono venuti molti guai. È un fatto che l’attuale prepotere dell’economico sul politico non deriva da un errore di diritto, da una incomprensione del pubblico o da una miopia del privato - c’è un rapporto di forza che appare oggi del tutto asimmetrico, tale che infatti obbliga Ferrajoli a interrogarsi sulla globalizzazione. Ma non ci rinvia a un problema troppo rapidamente affrontato nell’affermazione che, certo, la difesa della libertà «dalla» proprietà andrebbe regolata non meno che la difesa dell’individuo dallo stato? Perché questa regolazione non si è mai data e sempre meno si da’?
L’altra domanda riguarda il femminismo. Ci sono, a me sembra, molti equivoci tra le donne e Ferrajoli sul tema eguaglianza e differenza. Per farla breve, io sono dalla sua parte. La questione è un’altra: è possibile che un codice, i suoi lemmi e le sue gerarchie, scritti da uno dei due sessi valga in assoluto anche per l’altro e si tratta soltanto di applicarlo con quella coerenza che finora non avrebbe avuto? Le donne possono essere silenziose, puramente riflesse, nella formazione del diritto e dei suoi assiomatici fondamenti? L’insignificanza del femminile come soggetto non comporta qualche problema per una teoria della libertà?
Ma di questo e di altro avremo occasione di discutere.