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Al di là della trinità "edipica" - e "mammonica" ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006)!!!!

LUCETTA SCARAFFIA E MARY ANN GLENDON: CONTRO IL FEMMINISMO, RILANCIANO LA VECCHIA "DIABOLICA ALLEANZA" CON LA CHIESA CATTOLICO-ROMANA. "NUOVA ALLEANZA"?!: A CONDIZIONE CHE ACCANTO A "MARIA" CI SIA "GIUSEPPE"!!! - a c. di Federico La Sala

Uscire dallo "stato di minorità" non significa mangiare un "piatto di lenticchie" ... né "sposare" il figlio!!!
venerdì 26 gennaio 2007
Un nuovo femminismo che tuteli la vita e non imiti soltanto i modelli maschili: un faccia a faccia ieri a Roma
Donne e Chiesa, nuova alleanza?
Nella storia del cristianesimo i primi casi di donne leader sul piano culturale e spirituale.
Per superare le incomprensioni è fondamentale proporre modelli di vera ed efficace complementarietà
Da Roma *
La Chiesa va d’accordo con le donne, ma non con il femminismo, se per femminismo intendiamo il movimento che si è sviluppato a partire dagli (...)

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> "NUOVA ALLEANZA"?!: A CONDIZIONE CHE ACCANTO A "MARIA" CI SIA "GIUSEPPE"!!! --- Indicazioni su come pensare Dio e l’Amore Agapico. Addio a Eberhard Jüngel (di Giuseppe Lorizio).

giovedì 30 settembre 2021

Tubinga.

Addio a Eberhard Jüngel, maestro della teologia

Il pensatore luterano è scomparso martedì all’età di 86 anni. Al centro della sua opera come pensare e dire Dio nell’epoca che ne ha sentenziato la morte e l’Amore agapico

di Giuseppe Lorizio (Avvenire, mercoledì 29 settembre 2021)

      • [Foto] Il teologo Eberhard Jüngel (1934-2021)

All’inizio anni ’70 del secolo scorso il teologo di Tubinga Eberhard Jüngel, morto martedì all’età di 86 anni, pubblicava un breve saggio intitolato Tod. Ho sempre pensato che alla morte bisognasse iniziare a pensare da subito e non attendere le fasi finali della vita. Ne fui molto colpito e gli scrissi, anche perché, con padre Xavier Tilliette, stavo scrivendo sull’argomento, in quello che poi sarebbe diventato il mio saggio Mistero della morte come mistero dell’uomo (Dehoniane, 1981). Mi rispose con grande affabilità e dimostrando interesse verso il mio umile lavoro di giovanissimo studente di teologia.

Cosa ho imparato da quel libro? Intanto che «l’essenza della morte è l’irrelazionalità», ossia la solitudine, ma che questa è anche la condizione dell’esistenza autentica. Ma, aggiungeva: «La morte deve essere e deve diventare ciò che l’ha resa Gesù Cristo», ovvero l’attestazione del primato di Dio e non di altri sulla nostra esistenza terrena, perché: «Là dove non possiamo fare nulla, egli è presente per noi». Penso e ne sono profondamente convinto che abbia affrontato la cupa signora di Samarcanda con questo spirito.

L’ho incontrato sia alla Lateranense, nei colloqui teologici ispirati dall’allora rettore Angelo Scola, sia a Tubinga per la presentazione dei risultati della ricerca interconfessionale. Ciò che mi ha stupito nella sua riflessione intorno a Dio mistero del mondo (Queriniana, 1982) è l’attenzione che da parte di un teologo certamente di matrice luterana veniva rivolta alla dimensione cosmico-antropologica della Rivelazione e l’elaborazione della dottrina dell’analogia, ritenuta comunemente monopolio dell’ambito propriamente cattolico-tomista.

Da teologo protestante egli, che pure all’epoca assumeva come interlocutore il pensiero del cattolico Erich Przywara, ha continuato a sostenere una radicale incompatibilità fra analogia entis e analogia fidei, in rapporto alla contrapposizione paolina fra giustizia della legge e giustizia della fede, e ciò in nome di un’assoluta e radicale fedeltà alle originarie intenzioni di Karl Barth, che nella fase dialettica del suo pensiero riteneva l’analogia entis un’invenzione dell’Anticristo. Quest’ultimo ha anche vissuto una radicale conversione a riguardo, approdando all’analogia charitatis, anch’essa analogia entis e analogia fidei nello stesso tempo, in quanto non solo esige di essere pensata nel duplice orizzonte della dimensione cosmico-antropologica e storico-escatologica della Rivelazione. E qui ci viene incontro un ulteriore fondamentale contributo offerto dal pensiero di Jüngel non solo al pensare teologico, ma alla stessa filosofia, in dialogo con Paul Ricoeur: si tratta della metafora come luogo e modalità propria del linguaggio credente. Sicché la “metaforica” diviene per chi scrive la “metafisica dell’Evangelo”.

Questa prospettiva reclama, dietro le spinte sia della critica filosofica all’ontoteologia, sia della rivendicazione teologica della prospettiva credente, l’elaborazione di una “metafisica della carità”, ossia agapica, capace di indicarne l’orizzonte di senso e nella quale la metafora del Padre e del suo rapporto generativo col Figlio e, insieme a Lui, con lo Spirito, possa finalmente assumere la forma dell’“icona verbale”, capace di sconfiggere ogni idolatria e di aiutarci a recuperare l’orizzonte eucologico e poetico originario della metafora, che eccede ogni analogia e ogni ulteriore concettualizzazione, esprimendosi semplicemente nella preghiera che “obbedienti al comando del Salvatore, osiamo” ripetere quotidianamente.

E così torniamo al tema della morte, pensata e vissuta dal teologo, come luogo nel quale sorge un nuovo rapporto con Dio, in quanto Egli stesso, scrive ancora in Morte, «subisce l’irrelazionalità della morte che aliena da Lui gli uomini. Dio si inserisce proprio là dove i rapporti e le relazioni vengono meno». Sicché «dove tutte le relazioni sono state interrotte, solo l’amore ne crea di nuove».

L’irruzione dell’Amore agapico e incondizionato sconfigge la morte e al tempo stessa ri-crea una nuova relazione con Dio e con gli altri, ossia con l’a(A)ltro. E ciò può accadere in quanto «Che Dio sia divenuto uomo implica ch’egli partecipi con l’uomo della miseria della morte», così come accaduto a lui e accadrà a ciascuno di noi.


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