Chiamami Orlando
teatro dell’ambiguità
Il classico di Virginia Woolf portato in scena da Isabella Ragonese. Che racconta: "Per il mio personaggio androgino attraversare il confine tra i sessi e i ruoli è un’occasione di ironia e di libertà"
di Anna Bandettini (la Repubblica/D, 14.01.2012)
Tanto tempo fa si sapeva con certezza chi erano gli uomini e le donne: imperiosi, padroni e un po’ minacciosi gli uni, timide, segrete le altre. Poi che le cose stessero cambiando, verso identità mescolate, confuse, forse liberate, lo intuì, già un secolo fa, per bisogno d’amore, Virginia Woolf, scrittrice di classe e sregolatezza, dichiarandosi, attraverso un libro, alla poetessa Vita Sackville West con cui ebbe una civettuola relazione. Il libro è Orlando, non il più famoso di quelli della Woolf, ma forse la sua storia più conturbante, su un ragazzo che vive, sempre mantenendosi giovane, in secoli diversi, dal ’600 al ’900, e che un giorno si sveglia da uno dei suoi frequenti sonni trasformato in donna, pur continuando a mantenere memoria dell’identità maschile, Un androgino, con tutto il bagaglio di complesse evocazioni che si porta dietro.
"È un romanzo molto contemporaneo: oggi non sono tempi chiari in niente, figuriamoci nel sesso", commenta ironica Isabella Ragonese, una bella luce negli occhi, sottile, radiosa, soave nei suoi trent’anni vulcanici. È l’attrice che in soli tre anni, dal 2008 al 2011, ha girato undici film tra cui Tutta la vita davanti di Virzì, La nostra vita di Daniele Luchetti, Un altro mondo di Silvio Muccino, Il giorno in più di Massimo Venier, e ora, intrepida, dedicherà tutta questa stagione al teatro, appunto con La commedia di Orlando, che dopo un’anteprima in questi giorni a Cagliari al Teatro Massimo, girerà da metà gennaio tra Firenze, Milano, Bergamo, Roma.
Lo spettacolo è un adattamento molto fedele (a parte un personaggio inventato, Mrs.Virginia) del romanzo di Virginia Woolf, firmato da Emanuela Giordano che è anche la regista del nutrito cast (dieci attori tra cui Erika Blanc, Claudia Gusmano, Laura Rovetto) e di una messa in scena fantasiosa, con cambi a vista, molti costumi, molta musica. Isabella è Orlando, l’uomo-donna, il misterioso androgino che, promette, non avrà nulla dell’espressione fredda e regale di Tilda Swinton nel fortunato film di Sally Potter del ’92. "E se è per questo nemmeno quella algida di Isabelle Huppert nell’altro Orlando celebre, lo spettacolo di Bob Wilson. Noi abbiamo insistito sull’esatto opposto, sulla commedia, sull’aspetto leggero, surreale, ironico del racconto", dice Isabella.
E che c’è da ridere nell’essere uomo e donna? "Se ci fermiamo al romanzo della Wolf, c’è un deciso lato folle. Orlando è un fantasy senza nessuna coerenza narativa, e per questo è divertente: un ragazzo che si addormenta e si risveglia ogni volta in un secolo diverso e a un certo punto anche con un’altra identità... Si ride, leggendo il testo, anche perché ci sono personaggi al limite del grottesco. Ed è l’aspetto che ci piacerebbe portare in piena luce. Rendendo Orlando più popolare".
Per Virginia Woolf quell’essere androgino rappresentava il raggiungimento della felicità, l’unione insperata uomo-donna. È così? "All’inizio Orlando è un ragazzo gioviale, molto naïf, uno che fa domande come quelle di un bambino, e attraverso le domande scardina le ipocrisie di chi gli sta intorno. Ma è anche un inquieto, che sente di non voler restare chiuso in quel cerchio. Diventare donna per lui è dunque liberatorio. Ma è anche vero che una volta diventato donna, pur restando nel nocciolo quel ragazzo gioviale che era, si deve difendere di più, deve essere più determinata per farsi valere... Non so se c’entra la felicità, in tutto questo".
E nella vita "vera" la questione dell’identità di genere com’è, secondo lei? "Mai come facendo questo spettacolo mi sono resa conto che le due anime maschile e femminile sono in ognuno di noi. Se poi penso agli uomini più interessanti che ho conosciuto, avevano tutti una forte componente femminile nel temperamento. Io stessa ho scelto compagni che sapevano aspettare, silenziosi, che non sono mai entrati con irruenza nella mia vita, ma poi, forti nel profondo, sono di grande sostegno. Uomini femminili, appunto, non uomini prigionieri del loro ruolo. Mai invidiati, quegli uomini lì...".
Vale anche per le donne? "Anche. Io ho sono mascolina, è quella parte di me compagnona, cameratesca, casinara.... La parte femminile, che considero più preziosa, segreta, quel farsi continuamente domande, quell’essere inquieta, la parte bella che considero la più profonda e che certi uomini vedono come una tortura, è la mazzata che riservo nel privato. Mazzata? Si, mazzata, perchè nella vita di coppia non è sempre un regalo".
Ha mai detto: "Ah, se fossi uomo..?". "Non mi pare, anche perchè ho un fratello e quando ero piccola in campagna venivano i suoi amici e stavo sempre con loro. La forza dell’amicizia femminile invece l’ho scoperta tardi, ha coinciso con la maturità. Prima di allora sono cresciuta con i maschi ed ero un po’ maschio anch’io. A Palermo si giocava nel cortile a pallone e godevo di un doppio vantaggio: giocavo ai loro giochi ed ero coccolata perché ero la più piccola. Comunque sono contenta di essere donna. Per me è un esercizio di libertà. Soprattutto oggi vedo donne più padrone di sé, determinate e più capaci di elaborazioni. Soprattutto le donne hanno più possibilità di esperienze profonde, a cominciare dalla maternità".
Le è mai capitato di piacere a una donna? "Dopo che ho interpretato il film Viola di mare di Donatella Maiorca mi hanno scritto un mucchio di ragazze innamorate. Era uno dei pochi film che rompeva il blocco culturale in cui l’omosessualità femminile è relegata: parlava di due ragazze giovani innamorate - Valeria Solarino e io - e credo che alle adolescenti sia piaciuto in modo particolare perché non raccontava l’omosessualità al servizio degli uomini, ma solo una storia d’amore. Da lì in poi ho avuto a lungo fan femmine, e la cosa mi lusinga. Le donne in genere sono meno di bocca buona degli uomini, quindi c’è più soddisfazione".
Se potesse fare come Orlando e trasformarsi in un uomo, che cosa crede che restebbe di Isabella? "Me lo sono chiesta nel lavoro di scavo sul personaggio.E la risposta è: molto. Perché davvero credo che l’androginia, se non esibita ma coltivata, sia una ricchezza, non un tormento. Nel romanzo c’è un pensiero molto bello per spiegare come maschio e femmina convivono in noi ed è solo lo sguardo degli altri a determinare chi siamo, la qualità della nostra identità. È la battuta di Orlando che dice: finché eri un ragazzo eri un ricco aristocratico in cerca di moglie, ora da donna sei una zitella che non ha niente. Eppure Orlando è sempre Orlando. Ma ecco la differenza".
Meglio essere uomo, allora? "No, il meglio o il peggio non è una questione di genere. E in ogni caso la donna è più completa, essendo più abituata a controllare aspetti molteplici della vita perché da subito ne impara le difficoltà. Ma ripeto, non ne farei una questione di genere. Anzi mi dà fastidio che si faccia. Come per esempio, come è successo per il film Primo incarico di Giorgia Cecere, si etichetta come femminile un film solo perché ci sono una regista donna e una protagonista donna. Se fosse il contrario non si direbbe "è un film maschile", perchè quella è considerata la normalità, mentre le donne si preferisce chiuderle nel ghetto della questione femminile"
Questa è la sua passione femminista che parla? "No, è che sono una donna e sento che bisogna combattere anche contro la passività degli stereotipi. Lo abbiamo fatto anche con la famosa manifestazione del 13 febbraio scorso, quando scesero in piazza un milione di donne che chiedevano dignità. È vero che mi appassionano i temi politici. È un’abitudine, forse perchè sono siciliana e in Sicilia sapere da che parte stai è importante. A me pare assurdo che la questione femminile da noi sia considerato un problema "qualsiasi", come la raccolta differenziata o il nucleare. No, io dico sempre che è un problema strutturale. Le donne sono le più brave e non arrivano a posti apicali, si laureano di più, lavorano di più ma non esistiamo, men che meno nei media che rilanciano solo un tipo di figura femminile che non esiste, e se esiste è una minoranza... Queste cose le abbiamo dette anche in teatro, con il gruppo di donne di "Se non ora quando" nello spettacolo Libere, di cui sono orgogliosa. Perché mi fa sempre piacere quando il mio lavoro si incrocia con la vita. Anche per questo ho scelto di fare Orlando".
Le piace Virginia Woolf ? "Ho amato molto Una stanza tutta per sé, riflessione acuta sulla donna che deve essere la madre di, la figlia di, la lavoratrice di, l’amante di, sempre proiettata verso qualcuno e qualcosa ma in cerca di una stanza, quello scrigno dove sei tu e basta. O dove forse la madre di, la figlia di, la lavoratrice di... trovano un raccordo. Ma diciamo la verità: quando mai la trovano, le donne quella stanza? Diciamo che comunque vale la pena fare il percorso per raggiungerla".