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Arte e Parte ...

MI MANCA TOTO’. Testo di Stefano Benni

Tu diavolo in frac e angelo affamato/Torna a insegnarci /Che cosa vuol dire /Una vera trovata/Un’idea un pernacchio (---)
venerdì 29 dicembre 2006 di Federico La Sala
[...] Ci vuol la patente per questo mestiere
E anche da ciechi si può vedere
La differenza tra le risate
Tra quelle finte e quelle vere [...]
IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
[Una lezione di ’poesia’ di Eduardo - da "L’oro di Napoli" - parte 1 - parte 2 (YOUTUBE).

Mi manca Totò
parole di Stefano Benni, musica di Umberto Petrini *
O grandi comici che in televisione
Spiegate alle masse e alle persone
Quanto fa schifo (...)

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> MI MANCA TOTO’. Testo di Stefano Benni

sabato 14 aprile 2007

Massone o cristiano? A 40 anni dalla morte del principe dei comici, un’indagine sulla sua religiosità, più o meno conclamata

Il mistero di Totò

Portava sempre con sé una copia del Vangelo. In punto di morte, secondo la figlia, disse: «Ricordatevi che sono cattolico, apostolico, romano». Ma pochi studi sono stati fatti per esplorare il suo rapporto con la trascendenza. Si confrontò sempre con la questione della morte

di Marco Roncalli (Avvenire, 14.04.2007)

A giudicare dalla sua popolarità, dall’attualità delle sue battute ancor graffianti, dalla mimica inconfondibile, dai tanti libri dedicatigli, non si può dire che, quarant’anni fa, Totò sia uscito di scena. Semmai, proprio a partire da quel 15 aprile 1967 - data del suo addio al mondo - Antonio de Curtis cominciò a ritagliarsi il suo piccolo scanno nel Pantheon delle glorie patrie e, superando i confini dell’arcipelago cinema-teatro-televisione (sì perché, come lui diceva, «ogni limite ha una pazienza!»), entrò per sempre nell’immaginario di tanti estimatori: vecchi e nuovi, egualmente sedotti da quel suo volto - di «serenissimo buffone» (Goffredo Fofi) o di «Arlecchino del ’900» (Dario Fo) - diventato un po’ maschera e un po’ icona. Destino singolare, quello toccato al comico italiano dall’insuperabile carica istintiva, «grillo del focolare per ogni famiglia» (Volponi), pronto a sbeffeggiare tutti (sé stesso compreso), cuoco monarca della risata capace di mettere d’accordo democraticamente tutti i palati: senza barriere di censo, cultura, estrazione sociale, età.

Sì, come scrisse Fellini, Totò è sfuggito alla trappola del tempo. Così come prima aveva dribblato da artista quella delle ideologie. Chi allora avrebbe puntato sulla sopravvivenza dello «Charlot dei poveri» come lo definirono certi critici?

Ha ragione chi sostiene che per certi versi Totò è ancora un mistero, mentre si conosce quasi tutto dei suoi film (analizzati anche da intellettuali e linguisti), della sua vita di uomo e di attore (anche se a Oriana Fallaci disse di essere solo «un venditore di chiacchiere»). Eppure qualche sorpresa potrebbe ancora arrivare. E se qualche piccolo tassello al mosaico del suo itinerario artistico andrà al suo posto - tra una proiezione e l’altra - con gli eventi programmati nella capitale (a partire dall’esposizione curata dalla nipote Diana de Curtis Un principe chiamato Totò apertasi a Palazzo Venezia) - ma anche a Napoli (dove al quarantennale è dedicata la mostra Dal baule di Totò con tanti oggetti compresa una copia del Vangelo che sempre portava con sé), nell’attesa che l’ottobrina Festa del Cinema di Roma presenti l’annunciato documentario ricco di curiosità (le lettere d’amore, il primo provino con impressa la dicitura «non adatto al cinema», i fumetti ideati in età giovanile), resta una cosa da approfondire.

Parliamo dell’approccio con la morte e il trascendente del teorico della «livella» :«A morte ’o ssaje ched’è? ... è una livella», sin qui interpretata nel suo legarsi alla simbologia della terra, nella sua orizzontalità compiuta. Magari legandolo prima all’addio di Totò attore di cinema «di cassetta», ma anche diretto da Rossellini (La paura), De Sica (L’oro di Napoli), Monicelli (Guardie e ladri), Bolognini (Arrangiatevi!), Pasolini (Uccellacci e uccellini).

E poi all’addio del Totò filantropo che di notte scendeva con l’autista nei rioni più fatiscenti di Napoli e infilava un bel bigliettone di vecchie lire sotto la porta di una famiglia povera scelta a caso (oppure che pagava bravi avvocati a detenuti senza soldi). La cronaca della morte di Totò invece è stata raccontata tante volte. Il 13 aprile, abbandonato il set, si sentì male. Lo disse a Carlo Cafiero che lo accompagnava a casa in auto. Lo disse all’amata Franca Faldini che viveva con lui (gli altri grandi amore furono Liliana Castagnola e la moglie Diana). E Franca subito chiamò il medico. Invano.

La sera dopo formicolìì al braccio sinistro forieri di brutti presagi. Il tempo di avvertire e veder giungere la figlia Liliana, il cardiologo Guidotti, il cugino-segretario Eduardo Clemente e nella notte l’infarto che fulminò. Ore tre e venticinque del 15 aprile 1967. Con un piccolo giallo però mai risolto. Nessuno ha mai discusso le frasi rivolte al cardiologo «Professò, vi prego lasciatemi morire. Fatelo per la stima che vi porto».

O quelle rivolte al cugino «Eduà, Eduà mi raccomando. Quella promessa: portami a Napoli». Piuttosto non c’è concordanza sulle sue ultime parole (tema alla ribalta in questi giorni in Germania per il libro di Hans Halter Ich habe meine sache hier getan edito da Bloomsbury e tutto dedicato agli addii dei personaggi più celebri).

Furono per Franca, l’ultima compagna «T’aggio voluto bene Franca, proprio assaie»? O quelle riportate dalla figlia Liliana secondo la quale suo padre avrebbe detto «Ricordatevi che sono cattolico, apostolico, romano»? Scripta manent, e come conciliare queste parole con quelle espresse per il suo addio dai fratelli di loggia: «Nella sede storica di Piazza del Gesù, 47. All’alba del 15, è passato all’Oriente Eterno l’Illustre Fr. Antonio de Curtis 30° Venerabile della R.L. Fulgor Artis dell’Oriente di Roma». Già, il «Totò massone»... Vegliata per due giorni, la salma il 17 aprile fu portata a Napoli tra ali di folla dove si svolsero i funerali davanti ad oltre centomila persone.

Nella chiesa di Sant’Eugenio, la bara sulla quale era stata posta la bombetta del suo esordio e un garofano rosso ricevette una semplice benedizione (concessa -pare - solo grazie a delle amicizie che Totò aveva con alcuni prelati, essendogli stata negata a motivo della sua convivenza). Poi la sepoltura al cimitero Del Pianto a Napoli. Con tutto il suo pubblico e gli applausi. Come disse Nino Taranto nell’orazione funebre «l’ultimo "esaurito" della sua carriera». E poi ci fu l’appendice dei funerali-bis su richiesta dei guappi del Rione Sanità, il 22 maggio, pochi giorni dopo il trigesimo, la bara vuota e la stessa folla acclamante.

Ultima nota. Ho letto tempo fa su un sito dedicato a Totò (da Rosario Romano) che Antonio de Curtis «non era stato un uomo particolarmente religioso, ma a modo suo credente lo era. Credeva senza mezze misure nell’Artefice di questo Creato che non si stancava di ammirare e su di Lui non ammetteva lazzi o linguaggi irriguardosi. Non cre deva in quell’Aldilà prospettato già dalla prima preghiera che ti infilano in bocca e anzi, a questo proposito affermava che l’inferno e il paradiso sono entrambi qua, in questo mondo, da quell’altro nessuno era mai tornato a descriverglieli» . Bazzecole, quisquilie, pinzillacchere? E si può essere un credente... «a prescindere?». «Senza nulla a pretendere» ci piacerebbe saperne di più.


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