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Guerra, sempre assurda!!!

USA - IRAQ. CHE PENA !!! SADDAM E’ STATO IMPICCATO. "Bush condanna se stesso". Il commento di Furio Colombo.

sabato 30 dicembre 2006 di Federico La Sala
[...]
Quando Saddam Hussein sarà impiccato, una di queste ore, mentre tanti continuano a credere nel detto kennediano «un problema creato da uomini può sempre essere risolto da uomini», George W. Bush avrà proclamato per sempre il suo fallimento.
Ha fallito nel non avere capito l’immensa differenza che c’è tra il liberare un Paese da un dittatore e distruggerlo. Ha fallito nel non sapere (non voler neppure sapere) che cosa fare dopo la conquista, che non è mai stata una vittoria.
Ha (...)

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> USA - IRAQ. CHE PENA !!! SADDAM E’ STATO IMPICCATO. "Bush condanna se stesso". Il commento di Furio Colombo.

giovedì 4 gennaio 2007

Col cappio continua la guerra

di GIOVANNI DE LUNA (La Stampa, 4/1/2007)

Le immagini dell’esecuzione di Saddam sono l’esecuzione di Saddam. Di questa realtà erano consapevoli le autorità irachene che avevano un loro operatore ufficiale per riprendere la scena e lo sono ora i milioni di spettatori che sulla rete inseguono gli ultimi istanti del dittatore immortalate dai telefonini dei boia. Basterebbe solo questo riferimento al contesto tecnologico dell’esecuzione per collocarla nella nostra più stretta contemporaneità, rendendo incongrui tutti i riferimenti al passato, sia a quello di Mussolini maldestramente evocato da al Maliki, sia in generale ai molti esempi di tirannicidio che si rincorrono nei secoli della nostra storia.

Diciamolo subito: ghigliottinare Luigi XVI in una piazza di Parigi gremita di folla aveva un immediato significato politico. Il vecchio potere era morto; dalle sue ceneri ne nasceva un altro, pienamente legittimo, che manifestava pubblicamente questa sua legittimità rivoluzionaria attraverso l’atto sacrificale della messa a morte del vecchio sovrano. Per Mussolini non è stato così. Piazzale Loreto si colloca in quella terra di nessuno che si spalanca quando il vecchio potere statuale si è dissolto e il nuovo non si è ancora insediato. È la fase dell’«interregno»: si spezza il monopolio statuale della violenza legale, i cittadini si riappropriano del diritto di uccidere e farsi uccidere che avevano delegato allo Stato nel «patto» su cui si è fondata la politica dello Stato moderno, per un attimo provano l’ebbrezza di godere pienamente di uno degli attributi fondamentali della sovranità statuale, quello di decidere della vita e della morte degli altri. Fu questa la situazione di Milano nei giorni successivi al 25 aprile.

A maggio tutto era finito e il nuovo ordine repubblicano era pronto a legittimarsi pienamente attraverso un percorso che avrebbe avuto la sua sanzione legale nel referendum del 2 giugno 1946.

In Iraq oggi non c’è nessun «interregno». Formalmente c’è un governo in carica, legittimato anche dal consenso elettorale che si presume, quindi, in grado di dispiegare la sua sovranità senza remore, imprimendone il sigillo anche alla messa in scena «rituale» dell’esecuzione di Saddam, quella codificata dalla tradizione: un patibolo da ascendere, un boia impassibile che adempie una funzione istituzionale, il pubblico, la benda sugli occhi, ecc... Non è andata così. Saddam è stato giustiziato in una stanza dei servizi segreti prima usata per le torture; il boia erano tanti boia, mascherati, attenti a camuffarsi per non farsi riconoscere, un’accolita di invasati che urlava insulti. In quelle immagini non c’è un potere statuale legittimo e sovrano che celebra se stesso ma una banda che mette a morte il capo della fazione rivale. È la guerra civile irachena che è andata in scena ed è una guerra civile che ci restituisce la realtà totalmente postnovecentesca di quella esecuzione.

Quello che voglio dire è che il confronto non è tanto con i tirannicidi del passato, ma con le altre immagini che ci sono piovute addosso dall’Iraq, con le altre esecuzioni diffuse in Internet che hanno mostrato il loro orrore in diretta alla sterminata platea di un’umanità massificata dalla tecnologia, unificata dalle reti informatiche. Il loro contesto è quello della più dispiegata modernità, appartengono a un genere nuovo, inaugurato dopo l’11 settembre 2001 dalla decapitazione del giornalista Daniel Pearl, in Pakistan, filmata nel febbraio 2002. Non è più il campo di battaglia o il patibolo il «luogo» dello scempio, ma un set televisivo o una rappresentazione fotografica. Quei corpi non sono più condannati a morte, ma sono messaggi. E quei messaggi incorporano riti e simboli, segnalano che nel passaggio del millennio è affiorata di nuovo una concezione salvifica della violenza. Si dispiega una radicale volontà di impiegarla come strumento di rigenerazione spirituale del mondo sminuendo le vite dei singoli, fino ad annullarle in un progetto che prevede non solo l’eliminazione fisica delle persone che rappresentano il Nemico, ma anche la pubblica, clamorosa profanazione dei loro cadaveri.

I nuovi rituali annunciano in primo luogo «la necessità dello spettacolo, o in generale della rappresentazione» poiché, in particolare nel caso di messe in scena dell’estremo, ha scritto il grande esperto di «sacrifici», Georges Bataille, «senza la loro ripetizione potremmo, faccia a faccia con la morte, rimanere estranei, ignoranti».

Per dare forza ed efficacia ai loro messaggi, i carnefici degli ostaggi in Iraq hanno trasformato quei set improvvisati in terrificanti are sacrificali, con un rituale maniacalmente ripetitivo: le tute arancioni delle vittime (macabro contrappasso di Guantanamo), i cappucci neri dei boia, le didascalie, lo sgozzamento, e, alla fine, l’esibizione delle teste mozzate; con il cappio ostentato al centro della scena, il corpo di Saddam messo in mostra, le preghiere e le imprecazioni e un’applicazione feroce della «legge del taglione», il governo iracheno ne ha replicato sia i comportamenti che i messaggi.


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