RANCHETTI
TRA GRAZIA E LETTERATURA
di ALESSANDRO ZACCURI (Avvenire, 15.01.2010).
Già l’indirizzo era bellissimo: via di Giramonte. Una strada che da Firenze sale verso il colle di San Miniato, scoprendo una campagna ancora intatta. Non a caso, quella della villa cinquecentesca dove Michele Ranchetti si era stabilito alla metà degli anni Sessanta è la prima immagine che appare in ’ Rifiuto d’ordine a profitto del contesto’, il dvd che accompagna ’ Ulteriori e ultimi’, il quarto volume, postumo, degli ’ Scritti diversi’ dello stesso Ranchetti, come i precedenti curato dall’allievo Fabio Milana ed edito da Storia e Letteratura. Il video fu realizzato nel 2005, in occasione dell’ottantesimo compleanno di questo intellettuale grande e irrequieto.
Il libro esce invece a due anni dalla sua morte e verrà presentato domani a Firenze (presso la Sala del Gonfalone, a partire dalle 9.45) nel corso di un incontro al quale prenderanno parte, tra gli altri, Goffredo Fofi, Enzo Collotti e Sergio Bologna. Più che una commemorazione, un’occasione per tornare a confrontarsi con una figura unica nella vicenda del nostro Novecento: uno storico del cristianesimo che aveva lavorato per Adriano Olivetti e Giangiacomo Feltrinelli, aveva tradotto le opere di Freud e sviluppato una metodologia personalissima ed esatta, sintetizzata nella felice espressione ’ etica del testo’.
Nel frattempo, Ranchetti aveva continuato a fare quello che, fin da bambino, gli riusciva meglio: disegnare e scrivere versi. Da ragazzo aveva anche suonato il pianoforte e sperimentato qualche composizione, trasferendo in seguito questa propensione nella versatilità della ’ mente musicale’ evocata nel 1988 in occasione del suo tardivo, straordinario esordio poetico.
Più che altro, in questo intrecciarsi di impegni e di suggestioni, Ranchetti era rimasto fedele alla sua condizione di credente, irregolare finché si vuole, ma appassionato e sincero. Un cattolico forse poco romano, si potrebbe azzardare con un minimo gioco di parole, tendenzialmente refrattario alle istanze del Magistero e propenso a riconoscersi - lui, studioso del modernismo nella profezia contemporanea di personalità come don Milani, padre Turoldo e l’intero gruppo milanese di Corsia dei Servi, oltre che nell’eclettismo spirituale di gesuiti come Hopkins o De Certeau. Senza dimenticare l’intensa frequentazione con il mondo ebraico, da Benjamin e Scholem fino a Taubes e Celan, di cui era stato traduttore.
È la filigrana di autori, spesso con relativa componente polemica, che affiora anche dalle pagine di ’Ulteriori e ultimi’, che si conclude con una breve sezione di ricordi personali dove, non diversamente da quanto accade nelle testimonianza affidata al video, si impone quello che è stato forse il tratto più caratteristico di Ranchetti: un’umiltà radicale, che lo portava a parlare per sé (e cioè concretamente, non per astrazione) e ad affermare di aver ricevuto senza merito i doni di cui sarebbe potuto andare fiero. Come la casa di via di Giramonte, appunto. A sentir parlare di ’ grazia’, forse, Ranchetti sarebbe rimasto perplesso, poi si sarebbe acceso una Gauloise e ci avrebbe pensato su.