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Sulla spiaggia. Di fronte al mare...

CON KANT E FREUD, OLTRE. Un nuovo paradigma antropologico: la decisiva indicazione di ELVIO FACHINELLI - di Federico La Sala.

domenica 24 giugno 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Con Freud, oltre - in una nuova direzione e in modo nuovo: contro le sfingi e contro l’imbalsamazione degli uomini come delle teorie.[...]
Sulla spiaggia, davanti al mare, tutto acquista un’altra dimensione e appare nella sua luce più propria: «Progetto infantile: svuotare il mare con un secchiello! O setacciarne la sabbia. Anche il progetto di Freud - prosciugare l’inconscio, come la civiltà ha prosciugato lo Zuiderzee - è infantile»[62]. I libri di Aristotele stanno al gran libro (...)

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> CON KANT E FREUD, OLTRE. Un nuovo paradigma antropologico: la decisiva indicazione di ELVIO FACHINELLI ----- il filo interrotto - e la "ripresa" delle domande alla base dell’esperienza di "L’erba voglio" e del femminismo (di Lea Melandri).

mercoledì 10 dicembre 2008


-   1968 - 2008
-  il paradosso dei movimenti

-  Relazione di Lea Melandri

Io vorrei portare l’attenzione su due movimenti -il movimento non autoritario nella scuola, la rivista "L’erba voglio", e il femminismo - a cui devo la nascita del mio impegno sociale e politico, un impegno che è rimasto inalterato nel tempo, nonostante siano passati quarant’anni, e che non avrebbe potuto avvenire altrimenti, data la mia estraneità alle forme organizzate della politica

di Lea Melandri *

Io vorrei portare l’attenzione su due movimenti -il movimento non autoritario nella scuola, la rivista "L’erba voglio", e il femminismo - a cui devo la nascita del mio impegno sociale e politico, un impegno che è rimasto inalterato nel tempo, nonostante siano passati quarant’anni, e che non avrebbe potuto avvenire altrimenti, data la mia estraneità alle forme organizzate della politica.

L’uscita da una dimensione solo privata della vita, che è avvenuta allora per me come per moltissimi altri, non posso che riferirla a un mutamento della politica stessa, che per la prima volta si avvicinava alla "quotidiana comune esperienza", interrogava l’origine sociale, ma anche il diverso destino toccato a un sesso e all’altro, apriva, come nel mio caso, figlia di contadini che aveva avuto il privilegio di poter studiare, la possibilità di rivedere con sguardo critico un percorso scolastico che aveva lasciato "fuori tema" una larga parte di vita, la più dolorosa, di mettere in discussione il ruolo di insegnante nel momento stesso in cui stavo per assumerlo.

Sono stati due movimenti che hanno prolungato la "lezione del ‘68" per quasi tutto il decennio anni ’70, quando già la "rivolta degli studenti" ripiegava verso forme più tradizionali della politica: i gruppi extraparlamentari, in tutto simili ai partiti, e la lotta armata. Forse è stata proprio questa durata, i conflitti che ha aperto in un fronte "rivoluzionario" che si voleva il più unitario possibile, sotto la bandiera delle lotte operaie, a far sì che vi cadesse sopra una dimenticanza sospetta, quella operata dalle ricostruzioni storiografiche, dalle ricorrenze e dalle mostre celebrative. Chi non ha dimenticato è la destra oggi al governo, che si accanisce a demolire alcune delle conquiste più significative di quella stagione "breve e intensa".

Non penso che la destra si stia accanendo contro un fantasma, ma neppure, al contrario che ci si trovi oggi di fronte a un "nuovo ‘68", evocato dal movimento in atto nella scuola e dalla comparsa sulle piazze di una generazione di femministe e lesbiche, decise a riportare l’attenzione sulla famiglia, come luogo in cui si consuma il potere più violento degli uomini sulle donne. Nella storia degli individui e delle società non esistono solo "repliche" cieche o cancellazioni definitive di ciò che si è già vissuto, ma anche "riprese" -quello che Elvio Fachinelli, uno dei più originali interpreti del ’68, ha chiamato «il paradosso della ripetizione»-, è cioè qualcosa che emerge dal passato e che, riproponendosi in un contesto diverso, si espone perciò stesso al cambiamento, a nuove vie d’uscita.

Dov’è dunque che vedo "riprese"? Innanzi tutto, ci sono analisi, intuizioni, da cui quei movimenti hanno preso avvio, e su cui hanno fondato le loro pratiche anomale, che appaiono oggi più attuali di allora. Nell’articolo Il desiderio dissidente , pubblicato sui "Quaderni piacentini" nel febbraio 1968, Fachinelli, distanziandosi sia dalla psicanalisi che dal marxismo, che avevano irrigidito la contrapposizione tra individuo e società, leggeva, nella società di massa, nel trionfo del consumismo, il declino dell’autorità paterna e l’emergere di figure più astratte e indeterminate del potere, ma soprattutto un fantasma più arcaico di «madre saziante e divorante», una società che prometteva liberazione dai bisogni, sicurezza, in cambio di dipendenza, servitù, rinuncia a sé come «progetto e desiderio».

Non è difficile constatare quanto questa tendenza alla passivizzazione, al consenso, all’integrazione in un sistema «il cui funzionamento è già previsto in anticipo», sia diventata il tratto dominante della nostra epoca, la "mucillaggine" in cui siamo immersi. La grande mutazione che si è profilata allora era lo spostamento dei confini tra privato e pubblico, rapporti e contaminazioni sempre più intensi tra poli tradizionalmente separati. L’uscita da ogni dualismo, a partire da quello tra maschile e femminile, corpo e linguaggio, biologia e storia, è stato, al medesimo tempo, l’esito di una società di massa, di mercato, di spettacolo, è l’acquisizione più importante dei movimenti che hanno tentato di controllarne lo sviluppo, volgerlo ad altri fini.

Dall’esperienza degli asili autogestiti venne allora l’idea che, per sradicare modelli precocemente incorporati, fosse necessaria una «politica radicale», capace di «andare alla radici dell’umano», dal femminismo la scoperta della politicità della sfera personale, e di tutte quelle esperienze che la storia, la politica, la cultura tradizionalmente intese hanno confinato nell’immobilità di un ordine naturale. Con una «scandalosa inversione», il racconto dell’esperienza, del vissuto del singolo, diventava più importante del linguaggio codificato della politica.

Non è un caso che, proprio in concomitanza con quello spostamento di confini, siano comparsi sulla scena pubblica soggetti "imprevisti", i giovani e le donne, e insieme a loro problematiche legate al corpo, alla sessualità, all’inconscio, esperienze essenziali dell’umano tenute in un lungo esilio. Al centro della politica si sono venuti a porre soggetti visti nella loro interezza -corpi pensanti, sessuati-, nella loro irriducibile singolarità e in ciò che li accomuna agli altri esseri umani. Nel momento in cui veniva recuperata alla politica la dimensione biologica, la memoria del corpo, cambiava anche l’idea di potere, di cui si cominciava a vedere l’aspetto più subdolo, più devastante: l’interiorizzazione precoce delle logiche di dominio e coercizione, l’inclinazione alla passività, alla delega, all’affidamento.

Combattere l’autoritarismo, dalla famiglia, alla scuola, alla società, ha significato allora mettere in discussione tutti i sistemi che creavano esclusione, competizione, disuguaglianza, a partire dalla divisone tra chi decide e chi esegue,e, per un altro verso, incentivare la presa di parola, l’esercizio collettivo del potere, pratiche liberanti, capaci di favorire in ognuno quella che Marx chiama la «passione dell’uomo», una «totalità di manifestazioni di vita umana».

Guardando la fiumana di bambini, maestre, madri, padri, insegnanti, studenti di ogni ordine di scuola, che si è rovesciata in questi ultimi tempi per le strade delle città, le assemblee, le lezioni all’aperto, l’intercambiabilità delle voci, la creatività delle forme di contestazione, viene da pensare che, sotterraneamente, sia passata un’acquisizione essenziale di quei movimenti: il far politica in prima persona, il rifiuto della delega, la ricerca di nuove forme di rappresentanza, un agire rispettoso dell’individuo e della collettività.

Ma c’è una contraddizione evidente. Oggi, saltati i confini tra sfera personale e sfera pubblica, le problematiche del corpo, della persona, del rapporto tra i sessi, hanno assunto un protagonismo e una centralità mai conosciuta prima, ma non nella direzione che avremmo voluto. Non sono venuti allo scoperto i "nessi", che ci sono sempre stati tra un polo e l’altro, e che volevamo fare oggetto della nostra ricerca, ma un "amalgama", un accorpamento preoccupante, indistinto tra sfera domestica e istituzioni pubbliche, casa e polis, azienda e Stato.

Le «acque insondate della persona», da cui era partito il femminismo, per costruire una cultura "altra", antagonista, capace si mettere in causa istituzioni «funzionalizzate a un sesso solo», sono diventate il terreno più fertile su cui crescono l’antipolitica, il populismo, la personalizzazione del potere. Il corpo, la sessualità, la donna, si sono emancipati ma "in quanto tali", cioè conservando i segni che vi ha impresso il lungo esilio dalla vita pubblica e la secolare "naturalizzazione": corpo-oggetto dei massimi poteri, corpo biologico e corpo rappresentato, esaltato immaginativamente dai media; donne presenti nella vita pubblica ma in gran parte ancora subalterne, impigliate negli stereotipi e negli habitus del maschile e del femminile.

La domanda che viene da porsi è: come mai un processo di cambiamento, che era stato portato allo scoperto con tanta lucidità, ha potuto sfuggire così vistosamente di mano, prendere strade indesiderate, giocare oggi a favore delle forze più insidiosamente autoritarie e conservatrici del paese? Perché le culture prodotte dal movimento libertario e dal femminismo, pur avendo molto da dire riguardo agli interrogativi del presente, sono così silenziose, così poco incisive?

Gli ostacoli, le difficoltà vanno cercate innanzitutto all’interno del proprio sviluppo, ma è innegabile che non poco ha contato l’arroganza distruttiva di una cultura di sinistra, fondata su una decisionalità quasi esclusivamente maschile, che ancora non riesce a mettere al centro la "vita intera", a prendere atto che, come già si leggeva sull’ "Erba voglio" molti anni fa, «la vita di un essere umano è più che il suo posto nella produzione; lo sappiamo per l’esperienza concreta iscritta in noi dalle ore passate a giocare, a fare l’amore, a ricordare, a dimenticare».

* Liberazione, 10/12/2008


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