Pedofilia, la Cei contro il Papa: “I vescovi non denuncino”
La Conferenza episcopale rivede le linee anti-abusi emanata nel 2012
di Marco Politi (il Fatto, 29.03.2014)
Costretta a rielaborare le Linee guida anti-abusi, perché quelle del 2012 erano insufficienti, la Cei presenta la versione 2014 e si attesta su una linea di assoluta retroguardia rispetto ad altri episcopati d’Europa o degli Stati Uniti. Alla luce del passo compiuto da papa Francesco, istituendo una commissione internazionale, a maggioranza di laici, composta per metà da donne e per metà da uomini e comprendente una vittima di violenze, il nuovo documento della Cei risulta imbarazzante.
LA CEI RIFIUTA di assumersi ogni responsabilità nel contrastare il fenomeno - lo proclama ad alta voce in conclusione del testo: “Nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi sussiste in capo alla Conferenza episcopale italiana” - e fugge da un impegno nazionale nel monitorare il fenomeno, nell’istituire strutture di ascolto e di denuncia, nel verificare se i singoli vescovi si attengono alle istruzioni vaticane. Zero di zero. Facendosi scudo di codice e concordato, la Cei inculca ai vescovi che “nell’ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti”.
In realtà codice di procedura penale e concordato non c’entrano niente con il silenzio sulle violenze: qui la questione era - ed è - se autonomamente la Cei ritiene obbligo di un vescovo denunciare un criminale. La risposta delle Linee guida è no: la Cei non invita i vescovi a denunciare chi violenta minori. E’ esattamente l’opposto di ciò che pensa Marie Collins, la credente cattolica abusata, chiamata a far parte della commissione voluta da papa Francesco. “Che si arrivi, se i casi di abuso sono accertati e la vittima consente, alla denuncia alle autorità civili. Questo passo è decisivo”, ha dichiarato a “Repubblica” appena nominata.
IL PICCOLO PASSO in avanti, rispetto alle Linee guida del 2014, è costituito da un inciso dove si specifica che il vescovo non ha l’obbligo di denuncia “salvo il dovere morale di contribuire al bene comune”. Frase talmente generica che ogni vescovo la interpreterà a modo suo. Negli ambienti ecclesiastici si considera comunque positivo questo invito a una buona collaborazione con le autorità civili. Ma un conto è collaborare a un’indagine statale già avviata, un conto è non dare l’indicazione di portare in tribunale il sospetto di un crimine.
La Cei si premura anche - attivissima nel creare pregiudiziali - di avvertire i vescovi d’Italia che, in base al concordato e al codice di procedura penale, “sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragioni del proprio ministero”. In altre parole, si vuole impedire che, come negli Stati Uniti, l’autorità giudiziaria possa scoprire (grazie all’acquisizione della documentazione interna di una diocesi) le manovre di insabbiamento o colpevole disattenzione di un vescovo. Non c’è niente da immaginare, è tutto già successo e la documentazione è vastissima.
A ROMA , sotto gli occhi di due papi, il vescovo Gino Reali (diocesi suburbicaria Porto-Santa Rufina, pochi chilometri dal Vaticano) non ha mosso un dito nemmeno per avviare l’indagine canonica - raccomandata dalla Santa Sede - in merito al prete Ruggero Conti, accusato di avere abusato di sette minori. Conti è stato condannato in appello nel maggio scorso a quattordici anni. Per tre casi è scattata la prescrizione, ora l’attesa indecente è che il ricorso in Cassazione prescriva il resto. La Cei se ne lava le mani. Non è sua competenza - ribadiscono le Linee guida - se un vescovo non osserva nemmeno le leggi della Chiesa, che intimano rapide indagini e sanzioni tranne in caso di “manifesta infondatezza” delle accuse. Notazione finale. Se si prende il testo della Cei e si clicca la parola “risarcimento”, il risultato è nullo.
PREOCCUPATA di una tendenza auto assolutoria nella gerarchia cattolica - all’ombra di Francesco - la redazione del National Catholic Reporter (il periodico americano che dal 1985 ha riportato gli scandali negli Usa) ha invitato il papa a lavare i piedi il prossimo Giovedì Santo alle vittime di abusi. Per decenni - ricorda il NCR - dei vescovi hanno “negato, mentito, impedito la rivelazione” del dramma. “Nessuno di loro è stato mai chiamato a rendere conto”.