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Doomsday Clock.... Fine della Storia o della "Preistoria"?

TROIA, L’OCCIDENTE, E IL PIANETA TERRA. PER LA PACE PERPETUA. COMMENTO APOCALYPTICO DI SCUOLA GIOACHIMITA, DANTESCA, KANTIANA, E MARXIANA - a cura del prof. Federico La Sala

J. Chirac, alla conferenza dei «Cittadini della Terra»: «Siamo alla soglia dell’irreversibile» (2007).
venerdì 19 gennaio 2007 di Maria Paola Falchinelli
TROIA, L’OCCIDENTE, E IL PIANETA TERRA. Commento apocalyptico di scuola gioachimita, dantesca, kantiana, e marxiana
Roma soggiogò la Grecia,
la Grecia soggiogò Troia,
ma Troia soggiogò la Grecia,
soggiogò Roma,
e tutta la Terra.
Non sarà niente di previsto!
Hitler, il Vietnam saranno niente a confronto.
La violenza subita e immagazzinata da secoli
nel nostro corpo - terrestre!,
tenuta a bada da catene sempre più solide,
infine eromperà.
L’inimmaginabile!
Chi sogna l’età dell’oro? Chi (...)

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> TROIA, L’OCCIDENTE, E IL PIANETA TERRA. PER LA PACE PERPETUA. --- Un mito fondativo: il tradimento del profugo Enea (di Guido Crainz).

giovedì 28 aprile 2016


Il tradimento del profugo Enea

di Guido Crainz (la Repubblica, 28.04.2016)

HANNO il significato di un simbolo le scelte dell’Austria sul Brennero, un simbolo che fa inevitabilmente riaffiorare fantasmi del passato. E rende ineludibili i nodi già emersi nei mesi scorsi assieme ai muri eretti in molte forme da differenti Paesi.

ASSIEME a quei muri: la dolente e straziata popolazione dei profughi ha reso solo evidenti questioni più profonde. Certo, sulle decisioni austriache influiscono oggi ragioni e tensioni elettorali ma non è inevitabile che i peggiori nazionalismi facciano vincere le elezioni (né che i socialdemocratici inseguano gli avversari sul loro terreno nel vano tentativo di non perderle): sul perché si è giunti a questo è dunque necessario continuare a interrogarsi.

Non c’è dubbio, l’ipotesi di chiudere il Brennero è una resa dell’Europa, è contro la storia e contro il futuro: non c’è nulla da aggiungere a quel che hanno detto il presidente Renzi e la presidente Boldrini. Quell’ipotesi tocca da vicino il nostro vissuto, ci richiama alla mente il sofferto percorso con cui abbiamo superato lacerazioni drammatiche: la generazione cresciuta negli anni Cinquanta e Sessanta ha ancora memoria viva, ad esempio, delle tensioni connesse al nodo del Sudtirolo, per non evocare più antichi traumi e tragedie. Abbiamo memoria, anche, della stella polare che ci ha aiutati a superare quelle lacerazioni ed è proprio quella stella polare, l’Europa, ad essere oggi a rischio. Con questo ci stiamo misurando. Poco tempo fa, su Repubblica, Giorgio Napolitano ha ricordato al presidente austriaco le speranze del 1998, quando «da ministro dell’Interno fui al Brennero con il mio omologo ministro austriaco per rimuovere insieme la barriera al confine tra i nostri due Paesi». Non è immaginabile che si torni indietro, ha concluso giustamente Napolitano, ma è proprio l’inimmaginabile a fare paura. Molte altre barriere sono cadute poi in tutta Europa nel dicembre del 2007, superando ferite storiche: sembrava ancor più impossibile tornare indietro eppure sta succedendo. Di questo si tratta e con questo dobbiamo misurarci, assieme all’obbligo di dare al dramma dei profughi la risposta che i Paesi civili sono tenuti a dare.

Toccandoci da vicino, dunque, le scelte che riguardano il Brennero ci precludono definitivamente le rimozioni in cui troppe volte abbiamo cercato rifugio. Destre aggressive e nazionalismi xenofobi erano apparsi già prima di quel gioioso 2007: dall’esplosione del movimento di Jean Marie Le Pen, nel 2002, al diffondersi di movimenti non dissimili in diverse aree europee; dai pronunciamenti referendari della Danimarca e della Svezia contro l’euro a quello della Francia e dei Paesi Bassi contro la Costituzione europea. Ben prima delle dilaganti esplosioni dell’ultimissimo periodo.

Sottovalutammo questi e altri segnali, e sottovalutammo quel che Carlo Azeglio Ciampi aveva annotato nei suoi diari già molto prima, al momento stesso del varo dell’euro: è necessario ora, scriveva, un rinnovamento complessivo capace di investire anche la cultura, i costumi, gli stili di vita. È stato inevitabile, aggiungeva allora Ezio Mauro, avviare l’unificazione «attraverso l’unico comun denominatore oggi possibile, quello della moneta » ma è ormai urgente «dare un contesto istituzionale, culturale e politico a questa moneta. Perché rappresenti l’Europa e non soltanto undici Paesi comandati da una banca».

A questa sfida siamo mancati: è mancata la politica e più ancora - è necessario dirlo - è mancata la cultura: ad essa in primo luogo spettava costruire ponti (lo aveva scritto da sempre Alex Langer), delineare orizzonti e utopie comuni, ragioni di fratellanza e di comunità. Non è successo, o è successo troppo, troppo poco.

Non è responsabilità solo della politica dunque se, lontana ormai la stagione delle speranze, i cittadini europei vivono oggi in una Unione priva di strumenti istituzionali efficaci e in un continente quasi sconosciuto.

Ignari più di prima dei processi in corso al suo interno, esposti alle pulsioni nazionaliste e al tempo stesso incapaci di comprenderne le radici. E incapaci di dare risposte civili ai «dannati della terra» che cercano rifugio in Europa e in Italia. Quell’Italia che in fondo, ci ha ricordato un bel libro di Fabio Finotti, ha il suo mito fondativo nel profugo Enea.


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