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"DR. HOUSE". UN PERSONAGGIO E UN FENOMENO TELEVISIVO. La sua essenza: un "nerd", un pò come il "tenente Colombo".

Segnalazione del prof. Federico la Sala
sabato 20 gennaio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Un fenomeno televisivo che buca lo schermo, legato a un personaggio davvero atipico, rude, ironico e geniale alle prese con malattie improbabili, come rabbia, lupus, e perfino la peste. Per catturare la sua essenza in una sola parola si è detto che è un ’nerd’, termine inglese con cui viene definito chi mostra una forte predisposizione per la ricerca intellettuale, associata ad una intelligenza superiore alla media, ma al contempo è solitario e asociale [...] (...)

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> "DR. HOUSE". UN PERSONAGGIO E UN FENOMENO TELEVISIVO. La sua essenza: un "nerd", un pò come il "tenente Colombo". ... Marco Revelli (interv.): «Veltroni? E’ l’antitesi del dr House. Non vede le cause del male»

martedì 4 settembre 2007

La resa politica all’esistente

Marco Revelli: «Veltroni? E’ l’antitesi del dr House. Non vede le cause del male»

di Cinzia Gubbini *

Dietro Fassino niente? Per il sociologo Marco Revelli «questa è la prima impressione che può arrivare dal congresso dei Ds», che ha appena dato vita al partito Democratico. Ma in realtà «se scendiamo un po’ più a fondo e se ad esempio leggiamo in filigrana l’intervento di candidatura di Veltroni, scopriamo che idee ce ne sono poche. Ma un nucleo duro, di sostanza, c’è».

Quale?

Un messaggio di resa della politica allo stato di cose presenti, alla deriva che ha caratterizzato la società in questi ultimi quindici anni. Resa all’esistente significa accettazione della società così com’è stata plasmata in questi anni di trionfo del mercato come unica e possibile condizione sociale. Cioè come normalità. Lo stato patologico del corpo sociale viene assunto come fisiologico.

Il discorso di Veltroni sembrava disegnare un partito il cui ruolo non è provare a indirizzare i processi, ma accompagnarli.

Peggio. Se fosse così ci sarebbe qualcosa di virtuoso: il rifiuto del primato del demiurgo e del moderno principe su un sociale considerato inferiore. Qui, invece, il sociale viene assunto come un tutto indifferenziato, come una grande narrazione - la narrazione dei media, con il linguaggio dei media - da gestire così com’è, come si gestirebbe un’impresa. Senza rinunciare a un ruolo autoritario, ma senza selezionare gli aspetti virtuosi e gli aspetti viziosi. Per stare anche noi al gioco del linguaggio mediatico, Walter Veltroni è l’opposto simmetrico del dottor House (protagonista della serie televisiva Dr House-Medical Division, ndr). Il dottor House è il professionista che usa il proprio cattivo carattere per fare il bene. La sua diagnostica è basata sulla ricerca delle verità, anche le più scomode, sul rifiuto dell’ipocrisia, della verità tranquillizzante. Il male va guardato in faccia per essere curato. Viceversa, Veltroni fa il buono per convivere con il male. La sua diagnostica è basata sul racconto edificante del reale, in cui persino il negativo compare per rendere più fulgido il positivo. In cui anche la disgregazione sociale è in funzione dell’ostentazione dei buoni sentimenti. E, soprattutto, in cui il drammatico peso del negativo nell’assetto attuale della società non è riconosciuto come tale. Il male non ha più un’eziologia, non ha più né cause, né soggetti. Appartiene all’ordine delle cose e come tale deve essere gestito

Sembra non esistano più oppressori e oppressi. In questo quadro qual è lo spazio del conflitto?

Non c’è, perché non c’è lo spazio della verità. Tutto rimane a livello del racconto in cui, però, scompare il momento della tragedia, che è la verifica sociale dell’incomponibilità di alcune contraddizioni che imporrebbero di scegliere. L’ apocalisse culturale attuale è rimossa, e con essa la ricerca delle sue cause. Se la patologia viene assunta come normalità, non si ha il problema di rimuoverla, ma di gestirla momento per momento. E questo ceto politico logoro, ormai senza visione del mondo e senza passioni, trova la propria ragion d’essere in una funzione manageriale, trattando i soggetti sociali come clienti di servizi e spettatori della rappresentazione politica. E trattando se stessi come fornitori.

Sarà anche una politica senza passioni, ma non negherà che il partito degli amministratori sul piano locale stravince. Non crede che le persone chiedano proprio un’amministrazione efficiente?

Certamente nella costruzione del partito Democratico traspare un’idea di politica come amministrazione. Ma nel contesto locale, dove amministrati e amministratori si guardano, permane un legame. In quello spazio esploso, in crisi, che è lo spazio pubblico nazionale, invece, dietro l’illusione del governo come gestione di servizi si nasconde il governo come mediazione tra lobby, come coalizione di interessi. Questa logica dichiara esplicitamente di trasformare il cittadino in cliente e spettatore. Ma in realtà, poi, misura i processi di produzione dei servizi e la loro selezione nel rapporto con i poteri forti. Sono gli stessi cittadini a cui si dichiara di voler fornire servizi quelli a cui viene somministrata - quando occorre prendere decisioni forti - la Tav che gli passa in casa, la base americana che arriva a lambire il centro storico, la centrale a Turbogas nel Lazio, l’area di stoccaggio delle scorie nucleari. Questi sarebbero cittadini utenti? Quando devono essere prese le decisioni di fondo, si sbatte loro la porta in faccia. E’ una logica oligarchica. Allora cosa fa questa gente? Si candida a gestire lo spazio. E su questo terreno si apre un conflitto: tra chi quello spazio lo vuole abitare e chi quello spazio lo vuole gestire come luogo di attraversamento dei diversi flussi che strutturano il mondo contemporaneo: infrastrutture, energia, merci, traffico, capitale. La politica oggi come «governo della società così com’è» è la politica che si posiziona sui flussi e si contrappone ai luoghi.

Ma lei non salva nulla della modernità?

Sono d’accordo con le analisi di chi, come Pietro Barcellona, sostiene che debba essere dichiarato esplicitamente il fallimento del progetto moderno come applicazione sistematica della razionalità strumentale e della potenza produttiva della tecnica come risoluzione di tutti i problemi sociali. Oggi vediamo il meccanismo della modernizzazione economica divorare e disfare la società. Questa è la matrice delle contraddizioni e dei possibili conflitti. Rimossi i quali rimane una predica da parroci di campagna, che nasconde gli artigli d’acciaio dei manager dei flussi

Mai come oggi, però, c’è la capacità delle persone si autorganizzarsi anche al di fuori del cappello delle grandi ideologie

Certo, per fortuna c’è una reticolarità di autorganizzazione del territorio. Soprattutto laddove riesce a muoversi sotto il radar dei media e può sviluppare il proprio discorso senza l’innesto tossico di quella logica. Allora nasce un nuovo linguaggio e un nuovo discorso, spesso trasversale alle tradizionali divisioni della politica. Lì scatta una forma partecipata della democrazia che sta agli antipodi del discorso edificante.

A questo punto, qual è il ruolo di ciò che resta della sinistra?

La prima cosa riguarda la parola. Dirsi la verità anche quando questa è sgradevole. Occorre inventare un modo della politica che non ha precedenti nel Novecento, che deve essere inventato da zero, perché davvero tutto è cambiato. Non basta tirare fuori dal cassetto della nonna le vecchie ricette, anche questo è un racconto edificante. Bisogna accettare di sporcarsi le mani e i piedi nei territori dove i linguaggi e i processi sono spesso spiacevoli: è più facile discutere in una sezione di partito che in un comitato che si organizza contro gli immigrati o ai bordi di un campo nomadi o ai cancelli della Fiat dei miracoli di Marchionne, perché lì ci si prospettano dimensioni tragiche del sociale.

http://www.ilmanifesto.it - materialiresistenti (24/04/2007 - 16:02)


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