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EMMAUS HA PERSO IL SUO FONDATORE. HENRI GROUES, L’ ABBE’ PIERRE E’ MORTO. Jaques Chirac: "Tutta la Francia è profondamente commossa. Abbiamo perso un’immensa figura, una coscienza, un uomo che impersonificava la bontà".

Segnalazione del prof. Federico La Sala
martedì 23 gennaio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] La vocazione alla povertà più assoluta si coniuga infatti con l’impegno sociale, che in quegli anni significa impegno per la giustizia, per la libertà in una Francia assogettata e umiliata dal nazismo. Nel 1942 comincia così un’intensa azione di salvataggio delle vittime della tirannia nazista. E’ proprio in quegli anni che l’Abbé Groués diventa l’Abbé Pierre. Salva diverse persone (ebrei, polacchi) ricercate dalla Gestapo. Falsifica passaporti, diventa guida alpina e trasporta (...)

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> EMMAUS -- L’ ABBE’ PIERRE ---- Coprite quel santo (seno) di cui non posso sopportare la vista (di René Poujol)

sabato 8 febbraio 2014

Coprite quel santo di cui non posso sopportare la vista*

di René Poujol

in “temoignagechretien.fr” del 6 febbraio 2014 (traduzione: www.finesettimana.org)

      • Sessant’anni dopo l’appello “storico” dell’Inverno 54, i media continuano a vedere nell’abbé Pierre un “eroe”, mentre molti credenti, nel loro cuore, lo considerano un santo.

Ci si poteva aspettare che il 1° febbraio 2014 fosse l’occasione, per i media, di evocare, sessant’anni dopo, l’appello dell’abbé Pierre che invitava all’insurrezione della bontà.

L’anniversario è stato, in effetti, onorato, qua e là, ma in tono minore. È sicuramente il prezzo da pagare alle leggi dell’informazione. Come poteva competere il ricordo del vecchio prete con i fuochi d’artificio degli amori presidenziali o le folli paure dei corsi di educazione sessuale alla scuola materna?

Ricordando i giorni che seguirono la morte del fondatore di Emmaüs, il 22 gennaio 2007, la persona che era stato il suo ultimo segretario particolare confidava: “Ovunque si vedeva e si sentiva l’abbé Pierre. E io aveva l’impressione che l’uomo di cui si parlava non fosse quello di cui stavo preparando i funerali” (1).

È un’osservazione che continua ad essere valida. Sette anni dopo, è sempre la stessa immagine di ribelle, di costruttore, di difensore dei senzatetto che torna a galla, come cristallizzata per l’eternità nel momento stesso della sua morte.

Del “castoro meditabondo” dei suoi anni di scoutismo, l’opinione pubblica e i media hanno ripreso solo il militante del diritto alla casa. Hanno costantemente trascurato di interrogarsi sull’origine del suo impegno: quel “colpo di fulmine ad Assisi” dove, a quindici anni, il giovane Henri Grouès ha avuto l’intuizione “che l’adorazione fosse la più totale comunione universale e, allo stesso tempo, fonte d’azione” (2). Insomma, lui, che, da adolescente, sognava di essere un eroe e un santo, è riuscito ad imporre solo un’immagine di combattente fino all’estremo, di santo laico, nel senso che Camus esprimeva in questi termini: “Se dovessi scrivere, qui, un solo libro di morale, avrebbe cento pagine, di cui novantanove sarebbero bianche. Sull’ultima, scriverei: «Conosco un unico dovere, ed è quello di amare»” (3).

L’eroismo lo si deve solo alle virtù personali di un uomo, di una donna, mentre la santità, la si riceve da una totale fiducia in Dio. E non si può comprendere nulla del destino del fondatore di Emmaüs, se non si prende atto del fatto che la sua vita fu un miracolo. Perché la sua costituzione fragile e malaticcia sembrava condannarlo all’immobilismo o all’insuccesso. Per due volte, nel corso della sua vita, si è sentito dire: lei deve rassegnarsi, non potrà fare più nulla. La prima volta all’età di 26 anni, lasciando il monastero dei cappuccini dove aveva pensato di morire... La seconda volta, venti anni dopo, uscendo dall’ospedale psichiatrico svizzero dove lo aveva portato il burn-out, l’esaurimento conseguente al superlavoro dell’Inverno 54.

Nella preghiera, nell’adorazione, nella celebrazione quotidiana dell’Eucaristia: è lì che durante tutti i suoi 94 anni di vita l’abbé Pierre ha trovato la forza di compiere quella che percepiva essere la sua missione: attraverso il servizio al fratello, al più sofferente, diventare un credente credibile per rendere credibile il Dio d’amore.

Se, da un lato, la santità di quest’uomo sfugge ai media, dall’altro essa continua a far problema negli ambienti ecclesiastici, dove non si apprezza affatto una forma di evangelizzazione a cui interessa ben poco conquistare nuove anime alla Chiesa. È l’amore del fratello, solo quello, pensava l’abbé Pierre, che ci fa entrare nel Regno, quindi nella storia della Salvezza. E, se si ritiene che “fuori dalla Chiesa non c’è Salvezza”, allora bisogna ammettere che chi è nella Salvezza è anche, in un certo modo, nella Chiesa. Si possono capire le riserve che tali affermazioni possono suscitare in qualcuno! Ma non nel “piccolo popolo credente”, che ha invece sempre percepito la perfetta coerenza che c’era tra l’intuizione che ha del Vangelo, e la vita semplice e buona di quell’amico di Dio.

*In francese: “ Couvrez ce saint que je ne saurais voir ”, in una variante (con un gioco di parole tra “saint”=santo, e “sein”=seno ) del celebre verso che Molière fa dire a Tartuffe (il “religioso ipocrita” per eccellenza): “ Couvrez ce sein que je ne saurais voir ” = copra quel seno di cui non posso sopportare la vista.

-  (1) Laurent Desmard, La messe de l’abbé Pierre , DDB éditions 2009.
-  (2) Abbé Pierre, Dieu merci , Bayard, p.50
-  (3) Albert Camus, Carnets, Folio, Tome 1, p.62.

René Poujol è co-autore di Le secret spirituel de l’abbé Pierre , ed. Salvator, scritto con padre Jean- Marie Viennet, ex segretario generale di Emmaüs international , confidente e confessore dell’abbé Pierre


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