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Ryszard Kapuscinski - una vita straordinaria, "in cammino con Erodoto", per il dialogo e la pace.

mercoledì 24 gennaio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Uscito da un’infanzia molto povera, freddissima e dura, durante i suoi numerosi viaggi Kapuscinski si è trovato spesso alle prese con la miseria e i drammi del Terzo Mondo. «Dove sono nato - ha raccontato - convivevano polacchi, ucraini, russi, tedeschi, ebrei, cattolici, ortodossi, armeni e così via. Da allora ho sempre cercato di ritrovare quell’armonia tra genti e culture e il giornalismo era una strada per andare a cercarla, come l’antropologia uno strumento per capire» [...] (...)

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giovedì 25 gennaio 2007

La grande lezione del giornalista e scrittore polacco morto martedì sera: raccontò i regimi al potere e le periferie del mondo

Kapuscinski, il reporter anti-cinico

Elsa Morante lo paragonò a Shakespeare. Strinse amicizia con Herling,subito dopo averlo incontrato. Accusava i media d’aver rinunciato a raccontare il mondo: «Credo che per fare del buon giornalismo si debba soprattutto essere uomini buoni»

di Goffredo Fofi (Avvenire, 25.01.2007)

Nella seconda metà degli anni settanta ho lavorato per tre anni, la metà di ogni mese, nella redazione della Feltrinelli a Milano, e in una discesa a Roma Elsa Morante mi disse di avere appena letto un grande libro sul Negus, che paragonò a una tragedia di Shakespeare. Ne era entusiasta, e si stupì che io non lo conoscessi, perché era proprio la Feltrinelli ad averlo pubblicato. Quando tornai a Milano lo divorai, e da allora ho seguito l’opera di Kapuscinski con costante ammirazione, e ho avuto la fortuna di conoscere abbastanza bene l’autore, invitandolo o facendolo invitare a diverse manifestazioni quando ancora pochi lo conoscevano.

Per esempio, a Milano per gli incontri di Linea d’ombra, una rivista su cui pubblicammo suoi scritti e interventi; o a Roma, dove lo feci dialogare al Palazzo delle Esposizioni con alcuni giovani scrittori e critici di sicuro avvenire (Onofri, Corrias, Veronesi, Bettin, Sinibaldi, eccetera) tutti interessati a far rinascere in Italia la nobile arte della letteratura d’inchiesta, e a rivitalizzare una fiacca letteratura e un superficiale giornalismo; o a Fermo, per i seminari detti del "redattore sociale" della Comunità di Capodarco (e Maria Nadotti curò per la Piccola Biblioteca Morale della e/o, malauguratamente abbandonata dal suo editore, un’intervista spesso citata e il cui titolo lapidario fu Kapuscinski a volere: Il cinico non è adatto a questo mestiere); o a Napoli per una lontana Galassia Gutenberg.

Nel nostro paese non era ancora famoso come in altri e come meritava di essere, e a Napoli non se lo filò, come si dice, nessuno, ma "Kapu" - come si faceva chiamare dagli amici - fu felice di venire e di girellare, attento a tutto, per la città. Mi aveva chiesto di poter conoscere Gustaw Herling, lo scrittore polacco che vi viveva da tanti anni e vi aveva sposato Lidia Croce, che lui sapeva essere mio amico.

Lo portai dunque da Herling, una mattina, e non appena i due si incontrarono si misero a parlare fitto in polacco come se s i conoscessero da sempre, lasciandomi in un canto a guardarli e ascoltarli, senza capire una parola di quel che si dicevano con emozione e animazione. Quando più tardi veniva a Roma, dove io ormai abitavo, mi telefonava all’alba per invitarmi a prendere insieme cappuccino e cornetto nel bar del suo albergo, in cima a via Nazionale, ed era ogni volta una festa, tanto era caloroso e curioso di tutto, della nostra politica e della nostra cultura, della vita quotidiana romana o di quello che io andavo facendo. Ma ricordo un suo intervento in cui diceva, giunto in Italia dall’Africa, il suo sconcerto nel ritrovarsi nel giro di una giornata dalla miseria di una periferia del Sud del mondo alla colpevole e incurante ricchezza dei caffè all’aperto di piazza Navona.

Viaggiatore instancabile, Kapuscinski ha scritto opere destinate a restare: dopo Il Negus, La prima guerra del football con i reportages da più guerre, dall’America Latina dall’Asia dall’Africa, Shah-in-Shah, sul passaggio dell’Iran o Persia dallo Scià a Khomeini, e i superlativi Imperium, sulla caduta dell’Impero sovietico narrata dai suoi margini, ed Ebano, sintesi di quel che aveva visto e capito dell’Africa. Ma anche Viaggio con Erodoto, che mi pare sia stato meno considerato dalla critica e dai suoi colleghi italiani, a me è sembrato un libro grandissimo: pedagogico in senso lato, per tutti, e l’espressione di quello che del suo mestiere Kapuscinski ha capito e voleva che si capisse - elogio della curiosità e del rispetto, difesa della diversità, lezione di metodo che, pacatamente, riafferma la sua convinzione: il cinico non può fare il mestiere di giornalista; non basta vedere, bisogna anche condividere; se non si conoscono e frequentano da vicino i poveri non si capisce niente di un paese e dei suoi problemi.

Né pauroso né temerario, Kapuscinski si è trovato in mille difficoltà, nel corso dei suoi reportages spesso avventurosi e rischiosi senza che si potesse prevederlo. Né prolisso né evasivo, è dal particolare che egli arrivava al generale. Del potere occorre diffidare, la storia è nemica ma l’uomo, il piccolo uomo di cui ci parlava la letteratura russa dell’Ottocento, il piccolo uomo che la storia volentieri massacra, può dimostrare risorse insospettabili, perché ha l’energia della vita, e può dunque resistere agli assalti della morte.

In un mondo così radicalmente mutato in questi ultimi decenni, «l’uomo si è trovato in una realtà confusa, caotica, difficilmente riconoscibile», e conoscenza ed esperienza si sono frantumate, "atomizzate". Ma proprio per questo occorre rivendicare più che mai al giornalismo un ruolo fondamentale. E la lezione del mite, dell’ostinato grande giornalista-scrittore polacco ha alla fine travalicato anche il semplice rifiuto del cinismo. Non è sufficiente non essere cinici. Kapuscinski ha scritto di recente: «Credo che per fare del buon giornalismo si debba innanzitutto essere degli uomini buoni. I cattivi non possono essere buoni giornalisti».


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