Il relativismo assennato del viaggiatore Erodoto
Rispettava tutti i popoli, amava la Grecia
di Dino Cofrancesco (Corriere della Sera, 12.07.2012)
«Ciò che distingue un uomo civilizzato da un barbaro - ha scritto Joseph Schumpeter - è il rendersi conto della validità relativa delle proprie convinzioni e, malgrado ciò, sostenerle senza indietreggiare». Se questa è la migliore definizione di quella che Bertrand Russell chiamava «la saggezza dell’Occidente», forse una delle sue prime espressioni sono le Storie di Erodoto. Il grande viaggiatore, che Cicerone chiamava «il padre della storia», è stato spesso considerato non solo la fonte remota dello scetticismo moderno, ma, altresì, dell’antropologia contemporanea, di Lévi Strauss e Clifford Geertz.
«Ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi. Sembra infatti che noi non abbiamo altro punto di riferimento per la verità e la ragione che l’esempio e l’idea delle opinioni e degli usi del Paese in cui siamo». Il citatissimo aforisma di Montaigne sembra ripreso dal racconto in cui Dario, per dimostrare quanto incompatibili siano i costumi umani, mette di fronte ai Greci, che non riescono a concepire come ci si possa cibare del cadavere dei congiunti, i Callati inorriditi all’idea di doverli seppellire: «Se si proponesse a tutti gli uomini di fare una scelta fra le varie tradizioni e li si invitasse a scegliersi le più belle, ciascuno, dopo opportuna riflessione, preferirebbe quelle del suo Paese: tanto a ciascuno sembrano di gran lunga migliori le proprie costumanze».
In anni, come i nostri, nei quali l’Occidente viene caricato di ogni colpa - dal genocidio culturale a quello ambientale - Erodoto rischia, però, di diventare il primo teorico del relativismo culturale e il giudice di un etnocentrismo avvertito come una malattia dell’anima. In realtà, ci sono almeno tre tipi di relativismo. Il primo è il relativismo ontologico, la consapevolezza che la realtà è un prisma: usi, costumi, credenze, valori, riti, filosofie, pratiche scientifiche sono molteplici e ineliminabili. Il secondo è il relativismo metodologico, per il quale si comprendono popoli e istituzioni collocandosi al loro interno: non si possono capire civiltà come quelle egiziana o persiana, guardandole con i paraocchi greci. Il terzo è il relativismo assiologico, ovvero l’idea che tutti i modelli sociali e culturali abbiano eguale valore, stiano tutti sullo stesso piano.
Ho l’impressione che, ove si eccettuino i grandi grecisti del passato, come Arnaldo Momigliano, in certi cultori di Erodoto, critici dei nostri pregiudizi tardo-illuministici, i tre relativismi tendano a giustapporsi. Erodoto è un relativista ontologico: crede in un cosmo ordinato, in una provvidenza che governa il mondo e che, ad esempio, rende prolifici gli animali mansueti, come i conigli, e concede pochi nati alle belve, ma sulle questioni religiose, sui fini ultimi, preferisce non pronunciarsi («quanto io sentii da loro riguardo alle cose divine non mi sento invogliato a riferirlo»); è un relativista metodologico, se si pensa alle innumerevoli pagine che dedica alla spiegazione di costumi che potevano sembrare irrazionali ai suoi compatrioti; ma non è affatto un relativista assiologico: lo splendore e la magnificenza dell’impero persiano e la grande civiltà fiorita sulle rive del Nilo lo riempiono di ammirazione, ma pensa che i buoni costumi o le buone leggi siano esportabili. «Gli egiziani chiamano barbari tutti quelli che non parlano la loro stessa lingua», «gelosi delle loro tradizioni non ne accettano altre» ma, grazie a loro, «gli etiopi sono diventati più civili». Sotto il regno di Amasi, si dice, l’Egitto godette il massimo della prosperità e venne promulgata «la legge che, ogni anno, ciascun cittadino dovesse dichiarare al governatore della provincia dove traeva i suoi proventi. (...) Solone di Atene prese dall’Egitto questa legge per divulgarla tra gli ateniesi; ed essi l’osservano tuttora, perché è veramente giustissima».
Il Mediterraneo di Erodoto è uno spazio aperto, in cui gli dèi, le leggi, i costumi passano da una riva all’altra fecondando le terre che li accolgono. L’autore delle Storie non rinuncia a denunciare la barbarie di certi popoli, come i Massageti e gli Sciti, e l’eccellenza morale e intellettuale di altri. Chi scrive dei Greci: «Se è vero che sono liberi, non sono poi liberi in tutto: domina su di loro un padrone, la legge, di cui hanno timoroso rispetto molto più ancora che i tuoi sudditi non l’abbiano per te», non può certo essere arruolato tra i progenitori dell’antioccidentalismo.
Corriere della Sera, 12.7.12
Nel volume della collana «I classici del pensiero libero. Greci e latini» in edicola domani, al prezzo di un euro più il costo del quotidiano, si trova il primo libro delle Storie di Erodoto, un caposaldo per la conoscenza della cultura antica. I libri della collana sono disponibili anche su iPad, scaricando da App Store l’applicazione «Biblioteca del Corriere della Sera». Come illustra Sergio Romano nell’inedita prefazione, conviene ignorare l’annosa disputa tra chi ammira la grandezza dello storico di Alicarnasso e chi lo accusa di scarsa attendibilità e di «abbellimenti» con racconti fantastici. Meglio godere del racconto affascinante di questo grande viaggiatore dell’antichità, che nel narrare le guerre combattute tra greci e persiani nei decenni precedenti la sua nascita, ama divagare in direzioni impreviste, e per il quale «un tempio, un santuario, un monumento, le mura di una città, un ponte, un guado o un canale servono per confermare la verità degli eventi narrati e divengono prove decisive». Restituendo la ricchezza, storica ma anche mitica, di una civiltà. (i.b.)