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Il terribile è già accaduto!!!

MASSIMO ALLARME TERRA: IL DOVERE DELLA PAURA. CINQUE MINUTI A MEZZANOTTE. Cambia il clima del pianeta, cambieranno i nostri modi di vivere, ed è sperabile che anche la politica cambi. Un’analisi di Barbara Spinelli

Segnalazione del prof. Federico La Sala
domenica 4 febbraio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Dice Pascal che usiamo andare alla rovina nascondendocela: «Corriamo senza preoccupazioni nel precipizio dopo aver messo qualcosa davanti a noi per impedirci di vederlo». Tutto sta dunque a vedere: con l’aiuto della paura di cui parla Jonas, che non è sgomento passivo ma dovere d’immaginare e agire. E una volta informati, si tratta poi di credere. Perché qui nasce un ulteriore impedimento: «Uno dei mali maggiori è che non crediamo in quello che sappiamo» ha detto a Parigi il filosofo (...)

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> MASSIMO ALLARME TERRA --- VICINI AL PUNTO DI NON RITORNO. SE GLI OCEANI CRESCERANNO DI 25 CM. 2100, città sommerse e caldo record. “Il clima impazzito sconvolgerà la Terra”

sabato 28 settembre 2013

2100, città sommerse e caldo record

“Il clima impazzito sconvolgerà la Terra”

di Antonio Cianciullo (la Repubblica, 28 Settembre 2013)

Nel 2100 saremo in 9 miliardi su un pianeta rimpicciolito dall’avanzata dei mari, barricati in città attraversate da ondate roventi, inseguiti dalle malattie tropicali che allargheranno il loro raggio d’azione, con milioni di persone in fuga dalle pianure invase dalle acque e dalle pianure inaridite. Dopo una ricerca durata 6 anni, gli scienziati dell’Ipcc - che nel 2007 hanno vinto il Nobel per la pace - confermano la diagnosi di febbre crescente per il pianeta Terra. Aggiungendo che i virus che causano la malattia sono stati identificati con una probabilità del 95 per cento: si chiamano combustibili fossili e deforestazione. Il quinto rapporto Ipcc, presentato ieri a Stoccolma, mette la parola fine al dibattito sull’incertezza delle previsioni, spesso utilizzato per rinviare le decisioni.

I modelli sono stati affinati e le prove continuano ad accumularsi. Negli ultimi 30 anni ogni decennio è stato più caldo del precedente e l’ultimo ha infranto ogni record da quando si è cominciato a misurare le temperature su scala globale. I ghiacci battono in ritirata quasi ovunque. I mari sono arrivati a rubare un centimetro ogni 3 anni. La concentrazione di CO2 in atmosfera è al limite di guardia: tra 10 anni saremo fuori dall’area di sicurezza. «Se il tuo medico ti dice che c’è il 95% di possibilità che tu abbia una grave malattia, ti metti immediatamente a cercare una cura», ha commentato Connie Hedegaard, commissario europeo al clima. Le cronache raccontano scelte diverse. Dopo il fallimento del vertice del 2009 a Copenaghen, il mondo si è affidato agli impegni volontari di riduzione della CO2 rimandando al 2020 una cura più efficace. Risultato: le emissioni serra continuano a crescere del 2-3 per cento l’anno. Il disastro climatico è dunque inevitabile?

Secondo l’Ipcc una via di salvezza esiste. In uno dei 4 scenari proposti la temperatura cresce di 1 grado. Ma questo futuro potrebbe diventare reale solo se nel giro di pochi anni si dimezzassero le emissioni di CO2 causate dall’uso di petrolio, carbone e metano. Nessun segnale va in quella direzione. Anzi, l’andamento dei gas serra sta seguendo con inquietante fedeltà lo scenario peggiore, quello che ci porta a fine secolo a una crescita di temperatura che potrebbe arrivare a 5,5 gradi oltre il livello preindustriale (l’aumento più probabile è 3,7 gradi in più rispetto all’ultimo decennio).

In questo mondo proiettato al 2100, quello che ci attende se non cambiamo il modo di produrre energia, la vita diventerà molto dura per un miliardo di persone che vivono lungo le coste. New York si troverà a convivere con il dramma sperimentato l’anno scorso con l’uragano Sandy. In buona parte del Sud della Florida bisognerà sostituire la macchina con la canoa. Nel Bangladesh a filo d’oceano avverrà un esodo di proporzioni bibliche. Interi Stati arcipelago, come le Maldive, spariranno dalla carta geografica, con atolli mangiati dal mare e altri senza più fonti d’acqua dolce. I profughi ambientali, secondo le previsioni Onu, saliranno a quota 200 - 250 milioni già entro il 2050. Si chiuderà anche il rubinetto dei ghiacciai himalayani che chiamavamo eterni e che alimentano l’irrigazione delle pianure indiane e cinesi. Tra le aree più a rischio c’è il delta del Fiume Giallo, impoverito al punto da non riuscire spesso a raggiungere il mare. Minacciato anche il delta del Mekong, in Vietnam, dove vivono più di 17 milioni di persone. In Australia l’avanzata del caldo renderà più spietate le ondate di siccità che nell’ultimo decennio hanno messo in ginocchio intere regioni. E tra le vittime del riscaldamento climatico figura anche la grande barriera corallina: il riscaldamento e l’acidificazione dell’oceano la stanno uccidendo.

Se la natura diventerà più inospitale, è difficile immaginare che le città potranno accogliere le popolazioni in fuga. Le ondate di calore dell’estate del 2003, che in Europa ci sono costate 70 mila morti, si moltiplicheranno. E nelle megalopoli dei paesi poveri, che inghiottiranno gran parte dei 2 miliardi di esseri umani che si aggiungeranno al bilancio del pianeta entro la fine del secolo, le condizioni di vita diventeranno sempre più dure.


SE GLI OCEANI CRESCERANNO DI 25 CM

di Maurizio Ricci (la Repubblica, 28 Settembre 2013)

Senza essere scettici, tuttavia, si può essere ottimisti. In fondo, gli scienziati allineano, nel loro rapporto, una serie di “forchette”: entro questo secolo, la temperatura può crescere fra i 2 e i 4,5 gradi, i mari si possono gradualmente innalzare fra i 26 e gli 82 centimetri e via bilanciando le previsioni. E se ci andasse bene? Se il rialzo dei mari si limitasse davvero a 26 centimetri? In fondo, nel XX secolo si sono alzati di una ventina di centimetri e nessuno ha gridato al disastro. Il problema è che le coste e, soprattutto, le città non sono più quelle di inizio ’900. Per capire cosa vogliono dire 26 centimetri d’acqua, basta guardare le mappe preparate da New York, l’unica città ad aver studiato questo tipo di simulazioni. Avete presente la High Line, la ex sopraelevatache il sindaco Bloomberg ha trasformato in una passeggiata pedonale? Con 26 centimetri di mare in più, viene buona per i pescatori che si troveranno l’acqua sotto il naso. L’oceano lambirà il Madison Square Garden, a Wall Street si andrà in motoscafo, Chelsea, Greenwich Village, mezza Brooklyn e un bel pezzo di Queens saranno sott’acqua. In tutto, si tratterà di dire addio ad un quarto di New York.

E questa è l’ipotesi migliore. Con quella peggiore - 82 centimetri - finirebbero sott’acqua, oltre a New York, Londra, Shanghai, Lagos. Più, naturalmente, Venezia. Il mondo non sarebbe più quello che conosciamo. Ma è davvero l’ipotesi peggiore? Purtroppo, no. È quella che si può prevedere se non si sciolgono i ghiacciai della Groenlandia. E poiché lo scioglimento del ghiaccio non è un processo graduale, ma avviene quando la temperatura supera una certa soglia, la liquefazione dei ghiacci e il rialzo dei livelli degli oceani può essere un processo relativamente brusco e rapido. La Terra, del resto, ci è già passata: l’ultima volta che la temperatura del pianeta è stata di oltre 2 gradi più elevata di quella di oggi, i mari erano alti fra 1,4 e 4,3 metri in più.

C’è, tuttavia, un altro modo di essere ottimisti, non limitandosi a incrociare le dita e sperare nella fortuna. Può sembrare un insensato atto di fede, per giunta verso i meno meritevoli. Ma la lotta all’effetto serra è una questione di scelte politiche e, alla fine, dovranno essere i politici a vincerla. La novità è che, proprio qui, qualcosa si muove. Può sembrare un paradosso, dopo che l’ultimo grande tentativo di lanciare la lotta globale al cambiamento climatico è fallito, nel 2009, Copenaghen, per responsabilità proprio dei politici. Invece, i segnali positivi vengono da qui e - meglio ancora - dai leader dei due paesi più grandi e più responsabili dell’effetto serra (nonché del fallimento di Copenaghen): Usa e Cina.

Ecco, dunque, la Casa Bianca che annuncia come, nel 2020, l’America riuscirà a rispettare l’impegno di portare le emissioni di anidride carbonica del 17 per cento sotto il livello del 2005. Nel risultato previsto, c’è una buona dose di iniziative di Obama, in particolare i tetti all’inquinamento delle centrali elettriche e delle auto. Ma, anche l’effetto della recessione e, soprattutto, del boom del gas che sta sostituendo, nelle centrali, il più inquinante carbone. Ma perché lamentarsi? Sono i risultati che contano. Idem per la Cina. La nuova leadership sembra intenzionata a mettere limiti severi alle emissioni di Co2. Non lo fa perché la inquietano le sue responsabilità globali, ma perché le crescenti classi medie cinesi non sono più disposte a soffocare per settimane, come un anno fa, in una coltre di smog. Ma il risultato è buono lo stesso.

Il problema è se queste iniziative cominceranno ad essere efficaci, prima del 2040, quando, come avverte il rapporto Onu, potrebbe essere troppo tardi per fermare il rialzo delle temperature. Anche qui, qualche speranza viene proprio dalla politica. Al segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon, non viene di solito accreditato un grande fiuto politico. Però, in questi giorni, è stato lui a proporre, per l’anno prossimo, un vertice dei Grandi per affrontare il tema del clima e dell’effetto serra. Auguri. Il capolinea del 2040 è vicino.


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