II parte
[...] Dal 1992 ad oggi il mare è salito in media di 8 centimetri, ed entro la fine del secolo la crescita potrebbe sfiorare il metro. La Nasa avverte che la velocità con cui le acque salgono è aumentata rispetto ad appena 50 anni fa, e in futuro "probabilmente andra’ peggio". Studiando i dati satellitari degli ultimi 23 anni, gli esperti hanno registrato una crescita del mare non uniforme: in alcune aree della Terra l’aumento è stato di 25 centimetri, mentre in altre, tra cui la costa ovest degli Usa, si è verificato un abbassamento dovuto alle correnti oceaniche e a cicli naturali. Nel 2013 l’Ipcc delle Nazioni Unite ha stimato fra i 30 e i 90 centimetri l’innalzamento del livello del mare entro il 2100. Che il livello si alzerà di poco meno di un metro Steve Nerem, a capo del Sea Level Change Team della Nasa, è abbastanza certo; sul quando dice che può anche accadere oltre la fine di questo secolo.
Negli ultimi 10 anni, stando ai satelliti, l’Antartide ha perso in media 118 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno; la calotta della Groenlandia addirittura 303 miliardi.
Se poi bruciassimo tutte le riserve di combustibili fossili del Pianeta a cui possiamo attingere, immettendo in atmosfera 10mila miliardi di tonnellate di CO2, l’intera calotta antartica collasserebbe, e di conseguenza il livello del mare salirebbe di 50-60 metri sommergendo le case di oltre un miliardo di persone. Uno scenario non a breve termine, si parla di un arco temporale di centinaia di secoli, ma l’avvertimento lanciato dagli scienziati appare chiaro: occorre passare alle energie rinnovabili, scrivendo la parola fine su petrolio, carbone e gas naturale.
Un’arma puntata contro l’orso bianco
Senza più ghiaccio l’icona dei poli è destinata a scomparire. Ma oltre all’orso sono tante le specie a rischio, alcune anche nei nostri mari già invasi da specie aliene, provenienti dai Tropici, pericolose per alcuni pesci nostrani e tossiche per l’uomo. In Europa il 20% di piante e animali a rischio estinzione e’ minacciato dalle specie invasive.
Lo scenario disegnato dall’aumento delle temperature potrebbe consegnarci ’’un Pianeta invaso da specie adattabili e invasive’’ dice il Wwf nel report ’Biodiversità e cambiamenti climatici’. Diverse specie di animali e piante, l’84% di quelle che vivono in ambienti aridi, per fuggire al riscaldamento del Pianeta si stanno spostando. Ma per le specie d’alta quota non esistono vie di fuga. La riduzione dei ghiacciai e dei periodi di innevamento su tutto il Pianeta sta minacciando molte specie alpine. In queste aree di criosfera vivono 67 mammiferi terrestri, 35 marini e 21.000 di altre specie di animali, piante e funghi.
Il ghiaccio e’ vitale per la sopravvivenza degli orsi ma anche di balene, pinguini, trichechi, leopardo delle nevi, stambecchi, pernici bianche, ermellini, stelle alpine e abete bianco. Al contrario, con temperature più calde potrebbero proliferare zanzare, meduse e parassiti tipo il punteruolo rosso, il killer delle palme, e le zecche.
Impressiona sapere da un’indagine del Geological Survey, un’agenzia scientifica del governo Usa, che a causa dello scioglimento dei ghiacci gli orsi hanno perso la piattaforma da cui cacciare le foche e alcuni esemplari hanno preso a nutrirsi di bacche, uccelli e uova sulla terraferma. Con conseguenze sulla sopravvivenza di altre specie: stando a studio ornitologico internazionale, i pochi orsi che mangiano uova di uccelli marini riescono a ingurgitarne oltre 200 in un paio d’ore. L’anno scorso, in un sito di nidificazione delle isole norvegesi di Svalbard, tra le uova e i piccoli di ogni specie - dalle anatre marine al gabbiano glauco all’oca facciabianca - nessuno è sopravvissuto alla fame dell’orso bianco. E questa alimentazione non basta a saziare l’orso, che per sopravvivere ai rigidi inverni artici ha bisogno di una dieta ricca di grassi, assicuratagli solo dalle foche. Per questo nel giro dei prossimi 35-40 anni - è l’allarme degli esperti - un terzo dei 26mila esemplari che oggi resistono nell’Artico sparirà per effetto del surriscaldamento del Pianeta.
Foreste e oceani polmoni del pianeta
Assorbono anidride carbonica e rilasciano ossigeno. Foreste e oceani sono i polmoni del pianeta. Ma sono minacciati: le prime da deforestazione, incendi, conversione in pascoli e per far posto a dighe, agricoltura, urbanizzazione; i secondi da inquinamento che li avvelena, cambiamento climatico che li surriscalda e acidifica e pesca illegale che li svuota.
La Nasa vuole studiare come il riscaldamento globale sta alterando il ’respiro’ del Pianeta, per capire se in futuro gli oceani, i ghiacci e le foreste saranno ancora in grado di assorbire l’anidride carbonica emessa dall’uomo: senza il loro prezioso contributo, oggi avremmo in atmosfera il doppio di questo gas serra. Gli esperti dell’agenzia spaziale statunitense in questi mesi stanno avviando nuove missioni sul campo e dallo spazio per monitorare la situazione.
Circa il 30 per cento delle terre emerse del nostro pianeta, per 4 miliardi di ettari, è ancora ricoperto dalle foreste. Ogni anno, in tutto il mondo, 13 milioni di ettari (dati Fao 2010) vengono distrutti per soddisfare il crescente fabbisogno di carta, carne, soia, olio di palma e legno. Negli ultimi 25 anni, il mondo ha perso circa 129 milioni di ettari di foresta, un’area grande quasi quanto il Sud Africa - eppure, rispetto al 1990, il ritmo a cui oggi gli alberi vengono abbattuti si è dimezzato - e lo stoccaggio di CO2 nella biomassa forestale è diminuito di 17,4 miliardi di tonnellate, dice la Fao. La deforestazione e la degradazione degli ambienti forestali sono responsabili globalmente di circa il 20% delle emissioni di gas serra quindi non riusciremo a ridurre l’impatto del cambiamento climatico e a promuovere lo sviluppo sostenibile se non salvaguardiamo le nostre foreste, è il monito che arriva da più parti. L’Amazzonia in meno di un anno, da agosto del 2014 a febbraio 2015 ha visto aumentare la distruzione della sua foresta del 215%.
Piantare alberi dove ora non ci sono, e’ un’arma per contenere i livelli di anidride carbonica. Le foreste sono vere e proprie ’spugne’ per la CO2, per come la assorbono e la trattengono, tanto che dentro quelle ’buone’, quelle in grado di autorigenerarsi, sono custodite 860 miliardi di tonnellate di carbonio. Abbatterle amplifica le catastrofi naturali, è come "strappare la cintura di sicurezza" ai territori e alle popolazioni. E l’Asia, vittima di una "incalzante deforestazione" è il continente in assoluto più flagellato da eventi come inondazioni, tsunami, alluvioni e siccità. Secondo il Global Forest Watch l’uomo ha spogliato il pianeta del 30% della sua copertura forestali e di quel che rimane solo il 15% è ancora intatto. Tra il 2010 e il 2030 potranno andare persi 170 milioni di ettari di foreste nel globo. E se il trend in atto non viene fermato, entro il 2050 gli ettari persi arriveranno a 230 milioni.
Riscaldamento e acidificazione stanno riducendo la diversità delle specie marine, con preoccupanti prospettive per gli ecosistemi e le risorse ittiche. Il 90% degli stock di pesce e’ sovrasfruttato e le specie marine hanno registrato un declino del 39% solo tra il 1970 e il 2010, mentre la meta’ dei coralli e’ ormai scomparsa. A causa dell’aumento della temperatura degli oceani entro la fine dell’anno la Terra rischia di perdere il 5% dei suoi coralli, pari a una superficie di 12mila chilometri quadrati, è l’allarme del Noaa (l’Amministrazione oceanica e atmosferica statunitense), secondo cui siamo in presenza di un enorme e globale evento di ’sbiancamento’ dei coralli, il terzo dopo quelli registrati nel 1998 e nel 2010.
Le aree marine protette tutelano, sulla carta, meno del 4% degli oceani del Pianeta, con i target internazionali che variano tra il 10% entro il 2020 e il 30% entro il 2030. A mancare sono però i soldi, anche se ogni dollaro investito ne renderebbe almeno tre fra posti di lavoro, risorse e servizi. Stando a una ricerca commissionata dal Wwf all’università di Amsterdam, ampliare le aree protette garantirebbe un ritorno economico tra i 490 e i 920 miliardi di dollari nel periodo 2015-2050.
Ricercatori dell’Università dell’università di Adelaide, in Australia, spiegano che la vita marina è stata già colpita negli anni recenti da acque inquinate, scarichi fognari e pesca eccessiva, e il cambiamento climatico peggiorerà le cose negli anni a venire. E’ molto più probabile che gli animali più in alto nella catena alimentare, compresi i grandi predatori, saranno colpiti più duramente dal cambiamento climatico rispetto alle specie più in basso, affermano avvertendo che si teme un collasso progressivo delle specie, dalla cima della catena alimentare a scendere.
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ANSA Magazine, 26.11.2015 (ripresa parziale).