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Dopo la tragedia

CALCIO, E NON SOLO. RIPARTIRE DALL’ITALIA!!! Ristabilire le regole del "gioco"!!! Tifosi, club, politica, informazione. Sette punti per provare a superare l’emergenza. Le indicazioni di Gianni Mura.

Segnalazione del prof. Federico La Sala
domenica 4 febbraio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] La situazione era già grave, ma a molti tornava comodo far finta di niente, una strategia quasi sempre pagante in questo paese. E dunque la differenza, atroce ma casuale, tra un ferito e un morto a rendere urgente un risanamento non tanto degli stadi ma di chi li frequenta per giocare alla guerra. Questo blocco è giusto ma tardivo. Secondo me non è giusto, alla lunga, per tifosi dell’Empoli, dell’Udinese, del Chievo, per tutti quelli che dalla curva non hanno mai lanciato neanche una (...)

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> CALCIO, E NON SOLO. RIPARTIRE DALL’ITALIA!!! Ristabilire le regole del "gioco"!!! Tifosi, club, politica, informazione. Sette punti per provare a superare l’emergenza. Le indicazioni di Gianni Mura.

lunedì 5 febbraio 2007

Un altro calcio è possibile

di Oliviero Beha *

Sappiamo tutti che se l’ispettore capo Raciti, morto a Catania per l’esplosione di una bomba carta nei dintorni dello stadio, per avventura se la fosse cavata, io non starei a scrivere queste righe, voi non le leggereste, non si starebbe parlando essenzialmente di questo dappertutto, in tv come nelle strade, il campionato non sarebbe stato sospeso, insomma non avremmo a che fare con una questione di interesse nazionale. Eppure la situazione del calcio in Italia sarebbe la stessa. Lo stesso il frequente clima di violenza e intimidazione dentro od ormai soprattutto fuori (e allora?) degli stadi, la stessa la guerriglia preordinata che venerdì ha impantanato pezzi di città suggerendo paragoni libanesi, lo stesso il rapporto tra frange di tifosi troppo spesso travestiti da teppisti (o viceversa) e le forze dell’ordine, la stessa la gestione assai discutibile del Business-Calcio non intaccata come sarebbe stato necessario dalle pulizie del dopo-Calciopoli, la stessa l’atmosfera pesantissima che troppo spesso si respira nei campi di periferia, dove oltre un milione e mezzo di dilettanti e ragazzi, con un contorno facinoroso di parenti e pubblico, sgambetta sotto la soglia dell’etica e dell’allegria. E soprattutto la stessa sarebbe quella scadente consapevolezza politica e culturale di un intiera classe dirigente, nel calcio e nel Paese, da sempre dimostrata nei confronti di un fenomeno così delicato e coinvolgente.

Dico questo perché c’è una ricostruzione “storica” degli ultimi cinque, sei lustri di Italia nel pallone che assevera il facile riscontro di questa tesi, sotto gli occhi di tutti, e senza neppure bisogno di elencare i morti da calcio o la misura estrema di una domenica rotondolatrica sospesa già nel 1995, dopo l’accoltellato di Genova, alla faccia della decisione “inedita” presa a caldo - e giustamente - dal Commissario Straordinario della Federcalcio, Pancalli.

E una settimana fa erano davvero in pochi a piangere un dirigente di una squadra calabrese di dilettanti finito a calci e pugni. Mondi separati, compartimenti stagni? Io non credo, ma a molti fa comodo pensarlo. Così come secondo convenienza od opportunità in molti si limitano ad accusare i teppisti delinquenti, separati dai “veri tifosi”, oppure se la prendono contro il calcio come se fosse malato in sé e non quell’evidente detonatore di altre micce, collegate a cariche più complesse, in un Paese degenerato.

È indispensabile arrestare e detenere i delinquenti, e ci mancherebbe altro, come è indispensabile fare diagnosi e prognosi al capezzale del pallone: ma siamo sicuri che “sia tutto qui”? A chi pensa che il punto sia come salvare il calcio, inteso soprattutto come prodotto di “emozioni barbariche” da consumare un po’ più serenamente, io opporrei che in ballo c’è piuttosto il “sistema-paese”, che influenza il pallone venendone influenzato.

Quanto fossero legati classe dirigente politico-economica e vertici del pallone lo si è visto con il famigerato scandalo dell’estate scorsa che ha portato sì a un po’ di repulisti, ma solo un pochino, la dose minima per non toccare nel profondo i meccanismi di produzione. Del giocattolo. Chiedere a Guido Rossi, prima che al benemerito (nell’occasione odierna) Pancalli, chiedere agli inquirenti della Guardia di Finanza di Borrelli (a proposito della dichiarata “inutilità delle indagini”, cfr. i giornali recenti). Oppure notare la perfetta omonimia del ministro degli Interni nella precedente legislatura, Pisanu, titolare di un disegno di legge a colpi di tornelli e di diffide sulla sicurezza negli stadi totalmente disapplicato (vedi venerdì sera per Catania-Palermo come ultimo tragico atto), con quell’altro Pisanu intercettato al telefono con Moggi per un “aiutino” alla squadra sarda del cuore. C’è quindi un gigantesco, corale concorso di colpa in questo precipizio del nostro pallone, che rotola giù da un pezzo anche da prima che ammazzassero un ispettore capo. E del resto non è da poco la cassa di risonanza che al precipizio ha fornito il circo mediatico con le performance televisive che sappiamo, non per evidenziarne i rischi ma per venderne il più becero indotto.

In questo contesto, con i buoi per lo più in fuga nella vallata, si pretende di metter mano alla stalla. E bisogna comunque farlo, perché i buoi siamo noi, e la stalla resta la nostra. Quindi da un lato è imprescindibile la pausa del campionato, ma se fosse solo un velleitario specchietto per allodole ferite, una specie di recita addolorata, sarebbe anche peggio. La prossima volta che faranno? Due giornate di pausa, come ci fosse un regolamento arbitrale anche per le vittime? Dall’altro è altrettanto urgente mettere mano a dei cambiamenti. Partendo da un paio di banali, realistiche osservazioni: il campionato potrebbe fermarsi a ragionare su se stesso solo se per esempio Sky decidesse da buon samaritano di sospendere i contratti in corso, come Elettra, elaborando un lutto mediatico. Ma questa sola ipotesi fa stare ancora più male quelli che dicono di stare già malissimo per la “tragedia di Catania”.

Voglio dire che anche Calciopoli ha dimostrato che il business trionfa sui principi e le necessità più o meno sincere di rigenerazione. Il denaro d’abord, prima di tutto il prodotto. Ma appunto se è il sistema-paese a essere così malridotto, limitarsi a far sopravvivere l’affare è di pessimo auspicio per il futuro. Insieme a misure urgenti e ragionevoli, concrete e non solo di facciata come è stato fin qui (ho già detto di Pisanu, ma per decenni siamo andati avanti con il Viminale a dichiarare “guerra agli striscioni”), che presumo siano all’ordine del giorno del Governo (annunciate da Prodi), sono necessari altri segnali mentre il campionato riprende comunque con il lutto al braccio.

Per esempio un’attenzione totalmente diversa da parte della politica competente nei confronti del calcio dilettantistico e giovanile, come pure un tavolo con il ministero della Pubblica Istruzione per la formazione degli adolescenti in un simile contesto. Poi la cessazione graduale della presenza delle forze dell’ordine negli stadi e attorno, dal momento che nel calcio professionistico i club spesso bancarottieri debbono imparare a fare da soli (Amato stavolta sui poliziotti da “risparmiare” l’ha detta giusta) supplendo alle divise dello Stato con le proprie livree. Mentre invece c’è, con una divisione di ruoli già in colpevolissimo ritardo, urgenza di una “intelligence” assai migliore circa i gruppi di delinquenti che bazzicano attorno al pallone, diversamente dalla sottovalutazione del fenomeno (“tanto è calcio”) da parte dei più.

Certo, per avere davvero una svolta, e non oggi, ma domani e dopodomani in una semina socioculturale di cui c’è tanto bisogno in ogni settore, bisogna volerlo, e investire in questa direzione. Competenza da “protezione civile” insomma, e magari un consulto nazionale e internazionale per far fruttare cervelli mirati e dedicati. E soldi. Dove li si possono andare a prendere, dopo le polemiche sulla Legge Finanziaria, il problema asfissiante delle pensioni, un contesto sempre zoppicante ecc.? Ma è chiaro, dal calcio stesso, anche se sotto mentite spoglie, con una rinuncia e un dirottamento di risorse. Invece che pensare agli ennesimi Europei del 2012, perché non prenderci una pausa organizzativa e provare a far crescere l’erba diversamente in altri stadi, quelli dell’educazione sportiva e del vivere civile? Non ci godremmo un calcio migliore in un Paese migliore? Chiedete alla vedova di Raciti come la pensa in proposito, quando le partite saranno ricominciate...

* l’Unità, Pubblicato il: 04.02.07, Modificato il: 04.02.07 alle ore 15.06


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