Penisola tropicale
di MARIO TOZZI (La Stampa, 26.07.2007)
Al di là di ogni ragionevole dubbio, il caldo micidiale di questi giorni ci pone di fronte scenari a tinte forti che rischiano di trasformare perfino la nostra indole mediterranea. Altre volte le estati sono state afose e spesso il tempo è stato bizzarro, ma oggi sono i dati a darci l’esatto conto del cambiamento climatico in atto, al di là delle nostre singole percezioni del caldo. L’Italia è già praticamente spaccata in due: le regioni meridionali stanno subendo una perdita irreversibile di terreni utili alle colture, progressivamente distrutti dagli sprechi agricoli e dalla siccità. Siccome per formare un solo centimetro di suolo ci vogliono 200 anni - e ne occorrono almeno 15 per coltivare - l’unica soluzione sarà quella di abbandonare le campagne del Sud alla desertificazione. Al Nord (se si eccettua l’isola per ora felice di Torino) almeno piove, ma l’acqua che in passato cadeva in una settimana, si rovescia adesso in un paio d’ore.
Si rovescia su città di asfalto e cemento e finisce direttamente nei fiumi senza riuscire ad alimentare le falde profonde. Acquazzoni tropicali li avremmo chiamati, se non ci trovassimo ben lontani dai tropici.
Ai litorali, lungo i quali un tempo si cercava riparo dal solleone, bisogna accedere ormai con attenzione: la temperatura dell’acqua superficiale del Mediterraneo centrale è infatti salita in modo anomalo rispetto alle consolidate medie ventennali che pure riportavano un incremento di 0,6°C ogni dieci anni (contro gli 0,3°C degli altri oceani). Nella scorsa primavera un picco di 3°C in più rispetto agli anni precedenti ha conferito al Mare Nostrum temperature da Golfo del Messico. Vista la massa d’acqua più limitata non si scatenano cicloni tropicali, ma le trombe d’aria e quelle marine raggiungono una frequenza settimanale e i danni rischiano di essere molto più gravi di quelli descritti da Machiavelli nel 1456 (un «turbine spaventoso» che spazzò l’intera catena appenninica da Ancona fino in Toscana).
L’accoppiata piogge tropicali e trombe d’aria spinge a ritirarsi nelle proprie abitazioni, magari per un recupero della siesta, al riparo dell’aria condizionata sparata a temperature bassissime, con il non trascurabile effetto di surriscaldare l’aria già rovente delle metropoli e costringere, dunque, tutti a installare climatizzatori più potenti in un circolo vizioso di cui non si vede la fine. Se per caso, invece, osiamo sfidare gli oltre 40°C delle ore meridiane e mettiamo il naso sott’acqua, non è infrequente la vista di barracuda di oltre un metro - una volta esclusivamente tunisini - che si aggirano per le coste tirreniche attratti dai bagliori degli oggetti metallici dei bagnanti; e poi pesci serra, pesci balestra, pesci pappagallo, per non dimenticare alghe come la Caulerpa, che tende a erodere il regno della benefica Posidonia. «Ospiti caldi» si sono sempre susseguiti nel Mare Nostrum, ma oggi tutto questo avviene molto più rapidamente, grazie all’apertura di canali artificiali come quello di Suez (migrazioni lessepsiane). Siccome le specie del Golfo Persico sono molto più abituate alla competizione rispetto a quelle che risiedono nel Mediterraneo (1500 specie contro 550), non c’è da meravigliarsi che prevalgano, quando la temperatura sale a sufficienza.
Anche la dieta subirà contraccolpi, così come lo sci e il golf destinati a scomparire e a essere sostituiti dal trekking d’altura e da sport che possano essere praticati di notte. Quello che era il regno candido della neve diventerà il regno delle frane e dei torrenti, come già fanno presagire i numerosi crolli di cime anche famose nelle Alpi meridionali. Sarà vietato (come già avviene in molte città degli Stati Uniti) lavare la macchina e annaffiare il giardino (se non con acqua riciclata) e si consiglierà di non esporsi alle radiazioni ultraviolette, ormai malamente filtrate, nelle ore centrali della giornata.
Il riscaldamento anomalo dell’acqua del mare fa già gonfiare gli oceani e la fusione dei ghiacciai (quelli dolomitici spariranno nei prossimi quarant’anni, tutti quelli alpini in poco più), indotta dalle temperature roventi, contribuisce a un cospicuo innalzamento del livello dei mari. Di conseguenza circa 4.500 kmq di coste italiane saranno invasi dalle acque e si riformeranno paludi dove oggi ci sono terreni agricoli. Le alluvioni saranno più frequenti e avranno carattere improvviso (come il recente caso di Torino), ma i fiumi resteranno comunque secchi per mesi, salvo trasformarsi in micidiali muri d’acqua per qualche ora. Forse avremmo dovuto diminuire le emissioni di gas-serra e cambiare qualcosa del nostro stile di vita, ma non è meglio una bella vacanza ai tropici senza spostarsi da casa?