Priore per 12 anni, ora sono innamorato *
Gentile Dottor Augias, un suo lettore difendeva giorni fa il celibato sacerdotale sottolineandone "il valore profetico, dimostrativo della verità". Hoi 43 anni, per 12 sono stato sacerdote e priore di una comunità di un importante ordine monastico.
Ho vissuto con serenità il celibato fino al momento in cui mi sono innamorato di una donna. Un evento a causa del quale ho rinunciato con gioia ai non pochi privilegi della mia posizione. Nonostante concordi sul fatto che l’ astinenza possa essere per alcune persone o per un periodo, un valore, la realtà è purtroppo molto spesso diversa.
Negli anni trascorsi in monastero ho visto la quasi totalità delle persone patire moltissimo l’ impossibilità di manifestare apertamente la propria affettività.
Io stesso sono stato oggetto per l’ intero periodo di molestie e pressioni perché mi rifiutavo di "cedere" agli inviti di alcuni confratelli che esigevano da me, in nome di una presunta "amicizia spirituale", prestazioni in contrasto con i miei sentimenti e il mio orientamento affettivo nonché con le regole del Diritto Canonico.
Sono stato più volte invitato, in quanto priore, a manifestare un "intima vicinanza" anche ai novizi per porre rimedio alla carenza di vocazioni con uana risposta "naturale" al loro bisogno di affetto, essendo la profonda solitudine la principale causa di abbandono da parte dei postulanti.
Come si può ancora una volta vedere (e questo è ancora più triste in un’ Istituzione che continua a condannare le unioni omosessuali), tra il dire e il fare c’ è di mezzo molto più che il mare.
Ma se anche cosi non fosse, se tutti fossero in grado di negare la parte costitutiva del proprio essere umano per dedicare a Dio un amore indiviso, il problema rimane comunque quello di una Chiesa che a tavolino decide il bene e il male per tutti e non si lascia cambiare dalla vita e dalle persone, a differenza di Gesù che invece non metteva nemmeno Dio e la sua legge al di sopra dell’ uomo.
Se lo spazio lo consentisse, vorrei raccontarle quanta verità ho trovato in certe pagine della letteratura. Sono propenso a pensare che la realtà della vita sia di gran lunga più debitrice all’ arte che non alla teologia.
Alberto Stucchi.
* la Repubblica, 28.02.2007, p. 18.