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EVANGELO E COSTITUZIONE. "Per amore del mio popolo non tacerò" (Profeta ISAIA).

PER L’ITALIA E PER LA CHIESA: LA MEMORIA DA RITROVARE. L’"URLO" DI DON PEPPINO DIANA. «La camorra ha assassinato il nostro paese, noi lo si deve far risorgere, bisogna risalire sui tetti e riannunciare la "Parola di Vita"». Riflessioni di don Ciotti e una nota di Raffaele Sardo - a cura di Federico La Sala

sabato 25 ottobre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Un prete di quella Chiesa campana che nel giugno 1982 aveva avuto il coraggio di dire forte «basta!», con un documento dal titolo eloquentemente ispirato al profeta Isaia: Per amore del mio popolo non tacerò. Un grido di dolore, oltre che di amore. Elevato senza animosità, ma con molta nettezza. Un implicito punto di non ritorno rispetto a pezzi di Chiesa tradizionalmente attenti a non addentrarsi nei temi relativi a mafia e criminalità organizzata.
In quel fondamentale testo c’era (...)

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> PER L’ITALIA E PER LA CHIESA: LA MEMORIA DA RITROVARE. ---- CAIVANO - NAPOLI. “Signora a chi?”.E il prefetto umilia il prete anti-roghi, don Maurizio Patriciello (di Stefano Caselli)

domenica 21 ottobre 2012

“Signora a chi?”.E il prefetto umilia il prete anti-roghi

di Stefano Caselli (il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2012)

Non sembra aver capito nulla il prefetto di Napoli Andrea Di Martino, che venerdì ha pubblicamente umiliato il parroco di Caivano, don Maurizio Patriciello, “reo” di essersi rivolto al prefetto di Caserta Carmela Pagano chiamandola “signora”: “Ho dovuto evidenziare - insiste De Martino - che per il rispetto istituzionale quell’appellativo non era giusto”. Tralasciando il passaggio in cui il prefetto tuona contro don Maurizio chiedendogli “se io la chiamerei signore lei cosa penserebbe”, vien da chiedersi a cosa pensi De Martino quando parla di istituzioni. Per rendersene conto, forse, potrebbe passare un intero pomeriggio in compagnia di don Maurizio nella sua parrocchia del quartiere “città verde” (sembra una presa in giro, ma si chiama davvero così) di Caivano, grande periferia nord di Napoli.

Vedrebbe meglio le ceneri dei roghi di rifiuti tossici smaltiti illegalmente dovunque, scoprirebbe i cumuli di copertoni - chiaro avvertimento della criminalità organizzata - pronti a bruciare anche di fronte alla chiesa. Respirerebbe meglio l’odore acre della diossina che la gente di Caivano e di decine di altri comuni è costretta a respirare ogni giorno.

Vedrebbe don Maurizio passarsi un fazzoletto bianco sulla fronte sudata per ritrovarselo annerito tra le mani. Vedrebbe la gente della sua parrocchia in fila per un pacco di pasta e qualche altro genere alimentare, ascolterebbe le loro storie raccontate con discrezione dal sacerdote (“A volte - raccontava quest’estate don Patriciello al Fatto Quotidiano - non ho nemmeno il coraggio di guardarli in faccia. Nel Vangelo c’è scritto di dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati. Questo forse lo facciamo ancora, ma l’aria? Senza cibo si può resistere anche per giorni, ma senza aria si muore ogni minuto”). Ma soprattutto il prefetto, così ligio al decoro istituzionale, capirebbe che quel parroco di periferia, per quella gente, è la sola istituzione esistente. Il resto è solo fumo nero di roghi e di assenza; di bellezza, di responsabilità, di Stato.

Don Maurizio Patriciello è la voce pulita della città verde di Caivano, una zona in cui uno studio commissionato nel 2008 dalla Marina militare degli Stati Uniti proibisce (proibisce) ai cittadini americani di risiedere perché gravemente insalubre. Una voce che don Patriciello porta continuamente in giro dovunque, perché non è possibile rassegnarsi a vivere in una discarica a cielo aperto. Lo ha fatto anche in Prefettura ed è stato umiliato. Una scena da film di Totò. Ci sarebbe poco da sorridere, ma non è detto.

L’avvilente performance prefettizia è ora un video cliccato da migliaia di persone. Da oggi sarà più difficile ignorare la voce della “terra dei fuochi”, quelli che a ogni tramonto accendono il cielo di Caivano e uccidono lentamente i polmoni. A nord di Napoli è la norma. E meno male che le istituzioni tengono al decoro, altrimenti chissà che disastro.


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