“Quel prefetto mi ha tolto il diritto alla parola è su queste prepotenze che prosperano i clan”
intervista a don Maurizio Patriciello,
a cura di Stella Cervasio (la Repubblica, 22 ottobre 2012)
Don Maurizio, non sappiamo come chiamarla ...
«Basta anche solo il nome proprio ». È circondato da una folla plaudente, il parroco di Caivano Maurizio Patriciello, nella chiesa dove ha finito ora di dire la messa delle 20. Una conclusione tra gli applausi, dopo che ha commentato ancora il rimprovero del prefetto di Napoli, Andrea De Martino, nel corso di una riunione sui rifiuti tossici: «La mia collega lei deve chiamarla “prefetto”, non “signora”, perché così offende anche me».
IL sacerdote in serata ha voluto inviare una lettera al prefetto, ribadendogli di non aver voluto offendere Carmela Pagano, prefetto di Caserta, e di essere stato «in quella sede senza spirito polemico, solo per rappresentare una situazione di disagio». Il prefetto si è detto pronto ad incontrarlo.
E don Patriciello, dopo: «Mi dispiace per tanto clamore. Ora bisognerà continuare a lavorare insieme, come fatto finora». Perché sullo sfondo resta la protesta del prete-ecologista contro i roghi di rifiuti e la difesa della salute dei cittadini: «Meno male che una volontaria dell’associazione “La terra dei fuochi” ha fatto le riprese: una grazia di Dio».
Perché? «Sono anni che cerchiamo di far conoscere il problema del territorio a nord di Napoli, un posto avvelenato dove vengono bruciate e seppellite tonnellate di rifiuti industriali e tossici. Il prefetto ha cercato di non farmi parlare davanti a 70 persone, ma io lo devo ringraziare, perché questa storia ora la sanno dieci milioni di persone».
Perché un fenomeno così grave è poco conosciuto?
«Non interessa a nessuno. In quella riunione volevo raccontare di aver accompagnato un giornalista a fare foto a Succivo, nel casertano, dove da anni c’è amianto ormai sbriciolato e ora si sono aggiunte lastre di eternit. Il giorno dopo sono andato dal prefetto di Caserta, Carmela Pagano, senza appuntamento e non mi hanno fatto entrare. Ma io ho insistito, sono rimasto lì mezza giornata, e alla fine mi ha ricevuto. Ha tentato di tranquillizzarmi: “È tutto sotto controllo”».
Non ha pensato di offenderla omettendo il titolo?
«Ero convinto che fosse più elegante chiamarla “signora”. Ma non era quello il problema. Fino ad allora la riunione si era incentrata sui meriti delle forze dell’ordine. Mi sono adirato quando il prefetto ha detto che lo scempio avviene per l’inciviltà. Dietro i rifiuti tossici ci sono reati gravi, come l’evasione fiscale. Le donne malate di cancro sono aumentate del 47%. Quando ho visto che tutto veniva ridimensionato, ho chiesto la parola, e il prefetto non ha voluto darmela. Evidentemente voleva sminuire i fatti».
Ha parlato poi con il prefetto di Caserta?
«Le ho chiesto se si era sentita offesa, e lei ha risposto: “Reverendo, ma che dice...”. Però prima nessuno aveva aperto bocca. Ho scritto subito una lettera al prefetto di Napoli, in cui ho detto che su questo tipo di prepotenze, che possono verificarsi a tutti i livelli, si rischia di far nascere la malapianta della camorra che esagera e va oltre. Non si tolgono i diritti e la parola alle persone. Lui sapeva bene di che cosa ci occupiamo qui ogni giorno. E pensate che quando sono andati via, i nostri volontari hanno trovato anche la multa sul parabrezza dell’auto».