Chi ha paura dei gay? Anche la psicoanalisi che è rimasta indietro
di Delia Vaccarello (l’Unità, 16 gennaio 2013)
Gli psicoterapeuti possono essere utilizzati come maghi con la sfera di cristallo? E agli attivisti gay sfugge la portata antropologica dei cambiamenti messi in atto? In Francia i toni della discussione sulle nozze gay sono roventi e registrano un pronunciamento degli psicanalisti che compare anche come petizione già firmata da quasi duemila professionisti. «Sosteniamo che non spetta alla psicanalisi mostrarsi moralizzatrice o portatrice di predizioni. Al contrario, nulla nel nostro corpus teorico ci autorizza a prevedere il futuro dei bambini, qualsiasi sia il tipo di coppia che li cresce. La pratica psicanalitica ci insegna da tempo che è impossibile trarre relazioni di cause e effetti tra un tipo di organizzazione sociale o familiare e un destino psichico singolare».
E in Italia? Il dibattito vero sembra chiuso nei sottintesi. Ha visto da una parte gli interventi di alcuni professionisti che invocano modelli vecchi dall’altra le tesi di attivisti gay che fanno fatica ad analizzare la complessità delle situazioni. «Occorre fare appello a un metodo scientifico in quanto tale perfettibile e revocabile sulla base di ricerche e controargomentazioni fondate su una verifica acuta di dati di realtà e di ogni passo metodologico, di ogni oggetto, di ogni assunzione del fare scienza », premette Paolo Rigliano, psichiatra e psicoterapeuta, dirigente di un centro psicosociale a Milano autore di numerosi testi sulla questione gay tra cui l’ultimo Curare i gay? (ed. Cortina, scritto insieme a Jimmy Ciliberto e Federico Ferrari).
Oltre che sulla premessa metodologica, essenziale se pensiamo agli assunti delle terapie riparative non dimostrabili e simili ad articoli di fede, e sulla precisazione «meglio parlare di professionisti di psicologia e psichiatria», Rigliano si sofferma sulle ricadute di vasta portata messe in atto dall’omosessualità tanto più da quella «moderna», vissuta cioè come dimensione centrale della vita a partire dalla quale compiere scelte e mette in campo progetti. «Il punto importante è il seguente: l’omosessualità mette in discussione un assetto antropologico. Dietro la levata di scudi contro le famiglie gay c’è la paura che l’assetto antropologico in cui siamo stati allevati da millenni si esponga a una incertezza piena di pericoli e di possibili danni».
Un’analisi presente in Curare i gay? dove si legge: «tutta la struttura sociale è interrogata, tutto l’ordine “naturale” e chiamato in causa dalla omosessualità» quali siano forma, legittimità, scopo del desiderio, cosa significhino la forma femminile e maschile, quali il valore, il potere, l’identità, il riconoscimento sociale, i diritti e i doveri , che rapporti abbia tutto questo con la filialità.
Nel tono degli interventi di chi è contrario alle famiglie gay i timori, però, restano sottotraccia mentre affiorano gli anatemi. «Lo ripeto, ogni cosa va dimostrata negli atti facendo affermazioni precise e portando dati di realtà altrimenti facciamo sermoni che sembrano “ipse dixit”», continua Rigliano.
Gli attivisti gay, dal canto loro, sembrano concentrati soprattutto sulle conquiste da ottenere. «È un compito dei diversi farsi carico della vulnerabilità che c’è dietro i cosiddetti normali. La questione gay rimette in discussione il maschile e il femminile, cosa è il paterno e cosa il materno. Per affrontare i dibattiti occorre elaborare un pensiero altissimo capace di smontare gli assetti millenari e ricostruirne altri. Non si può eludere la dimensione antropologica annidata nel cuore del problema. Ai militanti gay dico di impegnarsi in uno strenuo lavoro culturale. Pretendere di saltare i passaggi della analisi e della costruzione sociale, simbolica, psichica e relazionale per arrivare alle leggi può essere un rischio che non permette una reale crescita collettiva».
Cosa suggerire ai professionisti della psicoterapia? «Di non chiudersi nelle proprie presunte certezze assumendo, invece, un atteggiamento attentissimo verso la realtà, creativo ed originale, confrontandosi con i dati che la scienza produce. Un atteggiamento aperto informato ed estremamente critico teso a capire con riflessioni a tutto tondo e privo di modelli vecchi che si sono mostrati obsoleti».