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U-mah-nita’?!!!

DONNE, UOMINI, E PERSONE: OTTO MARZO?! TETTE E GORGONZOLA, FORMAGGIO CON LE PERE: PUBBLICITA’ DI "EDUCAZIONE ALLO STUPRO", AL FEMMINICIDIO E AL "PROGRESSO"!!! Una nota di Alessandro Robecchi e un appello dell’Associazione ORLANDO. Risultato. VIETATO ANCHE IN ITALIA LO SPOT DI DOLCE § GABBANA: OFFENDE LA DIGNITA’ DELLE DONNE - a cura di pfls

giovedì 8 marzo 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] ha detto la Ministra per i Diritti e le Pari Opportunita’, Barbara Pollastrini. "L’Istituto di controllo, con la sua decisione tempestiva divenuta operativa ieri, ha contribuito ad impedire che un messaggio pubblicitario continuasse ad offendere la dignita’ delle donne. La violenza e’ un dramma che si consuma in famiglia, nei luoghi di lavoro, per strada. Una vera e propria guerra -ha aggiunto la Ministra - tanto silenziosa quanto dolorosa che non puo’ essere trasformata in una (...)

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> TETTE E GORGONZOLA, PERE E FORMAGGI: FEMMINICIDIO, PUBBLICITA’, E "PROGRESSO"!!! Noi non siamo mica come Zapatero ...

martedì 6 marzo 2007

Stuprata dal branco, frustata dal giudice

di Marina Mastroluca *

Novanta frustate. Da quando è successo, G. aspetta che il telefono squilli e che qualcuno dall’altra parte del filo le ordini di presentarsi per ricevere la sua punizione. Novanta colpi di frusta, questo ha deciso la corte che ha processato i suoi stupratori. Per loro il carcere, pene che vanno dai 10 mesi ai cinque anni. Per lei, comunque colpevole per essersi incontrata con un uomo che non era suo parente, una punizione insultante, che non la riconosce come vittima. «I giudici mi hanno chiesto se ero soddisfatta della sentenza. Come posso dirlo? Non riesco nemmeno a credere che sia vera», dice la ragazza.

I giudici le hanno fatto capire che le è andata bene, avrebbero potuto condannarla al carcere, non è il caso di lamentarsi. G. ha 19 anni, vive in una piccola città non lontana da Qatif, Arabia Saudita. La sua storia, raccontata dal quotidiano saudita in lingua inglese Saudi Gazette, comincia un anno fa con le telefonate di un uomo, che le chiede continuamente di incontrarla. All’inizio la ragazza non gli dà peso, poi lui minaccia di raccontare alla famiglia di avere una relazione con lei, se si fosse ostinata a rifiutare un incontro. Per ingenuità, e perché comunque la parola di una ragazza è più leggera di quella di qualsiasi uomo in Arabia Saudita, G. accetta di far avere una sua foto all’ostinato ammiratore. Ma quando si fidanza con il marito scelto dalla sua famiglia, la ragazza insiste per riavere indietro la sua fotografia. Fissa un appuntamento con l’uomo che la perseguita, ma mentre è con lui avviene l’assalto.

Sette uomini armati di coltelli la sequestrano puntandole la lama alla gola. La portano in una capanna fuori città. E lì a turno, la violentano per 14 volte. Uno del branco scatta anche delle foto usando il cellulare della ragazza. «Mi hanno detto di non dire niente dello stupro. E che mi avrebbero chiamato e io avrei dovuto incontrare loro o chiunque altro volessero, altrimenti avrebbero spedito quelle foto a tutti i numeri del mio cellulare». Quando torna a casa, G. è una donna spezzata. Vorrebbe uccidersi, ma le pillole che ingoia la fanno solo stare male. Finisce in ospedale. Sempre muta, chiusa, l’ombra di quella che era. E forse sarebbe rimasta in silenzio, se il branco non avesse cominciato a vantarsi: la voce arriva al suo futuro sposo. Solo a quel punto G. racconta e sorprendentemente il fidanzato non la ripudia come gli consigliano di fare.

Lui resta al suo fianco, la rappresenta in tribunale e ora è con lei in attesa del processo d’appello. «È rimasto con me, a dispetto della sua famiglia e dei suoi amici», dice G, che nemmeno in casa ha trovato comprensione: il fratello più giovane l’ha picchiata perché con lo stupro ha gettato la famiglia nel disonore. Nell’aula del tribunale G. viene interrogata tre volte. Tre domande che non hanno nulla a che vedere con quello che ha subito. Per i giudici anche lei è colpevole, e da colpevole la trattano. Lei stessa riconosce di essere stata una stupida ad incontrarsi con quell’uomo che le dava il tormento. «Stavo solo cercando di salvare il mio onore - dice -. Quello che mi è accaduto quella notte è peggio di qualsiasi punizione». E invece no, ora le spetta anche la pena decisa dai giudici. Per Fouziyah Al Ouni, un’attivista che ha portato alla luce il caso di G., è una sentenza vergognosa. «Condannandola a 90 colpi di frusta, fanno passare il messaggio che è colpevole. Nessuna vittima di stupro lo è».

* l’Unità, Pubblicato il: 06.03.07, Modificato il: 06.03.07 alle ore 9.10


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