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Da una generazione all’altra ...

ANTONIO GRAMSCI (1891-1937). Per la ricorrenza dell’"anno gramsciano", iniziative e manifestazioni culturali in Italia e nel mondo - a cura di Federico La Sala

giovedì 1 marzo 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Ecco le date: il 27 aprile a Cagliari, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sarà presentato il primo volume della Edizione Nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Il 27 e 28 aprile a Roma si svolgerà il Convegno Internazionale "Gramsci, la cultura e il mondo "con la presenza di storici e politologi europei, statuntensi, latinoamericani, cinesi, indiani e del mondo arabo. Il 13 e 15 dicembre a Turi, in Puglia, si rifletterà sul tema "Gramsci nel suo (...)

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> ANTONIO GRAMSCI (1891-1937). ---- Gramsci non è un santino, ma un pensatore di domani.... Gramsci non appartiene affatto solo ai padri. Ma esattamente ai figli che sogniamo liberi. Teniamolo sul «desk», non nel cassetto (di Bruno Gravagnuolo)..

venerdì 5 settembre 2008

A proposito del fondatore de «l’Unità», oggetto di un dibattito a Firenze tra il ministro Bondi e Vincenzo Cerami. Perché ci serve

Gramsci non è un santino, ma un pensatore di domani.

Teniamolo sul desk, non nel cassetto

di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, 05.09.2008)

Come era prevedibile, e anche ragionevole aspettarsi, Vincenzo Cerami, scrittore, sceneggiatore e responsabile culturale Pd, ha precisato il senso delle sue parole su Gramsci, quelle pronunciate a Firenze alla Festa, in un dibattito con Sandro Bondi, Ministro della cultura del centrodestra. Ieri su l’Unità infatti, Cerami ha chiarito che non era sua intenzione «scaricare» il pensatore sardo, o chiuderlo semplicemente in un cassetto. Bensì quella di ribadirne il carattere di «punto di partenza etico fondamentale per una concezione alta della politica». Pur nell’invito a guardare oltre, ai problemi di una società che è ben altra rispetto al fascismo. E anche rispetto al nostro dopoguerra e agli anni di Pasolini (figura che Cerami collega in qualche modo a Gramsci).

Dunque guardare oltre Gramsci. Magari con l’esempio etico di Gramsci, ma «oltre». Al presente e al futuro in atto, segnati per Cerami da «una profonda e inedita trasformazione». In particolare, spiega, «dalla nuova classe degli impoveriti, una classe che i linguisti chiamerebbero sincretica». Insomma, sembra dire Cerami, Gramsci è senz’altro «vitale» come padre e antenato. Ma è un po’ inadeguato a parlare ai figli.

Prendiamo atto della puntualizzazione, che tra l’altro ha il merito di sottrarre Gramsci ai cosmetici tentativi della destra di annetterselo (prima An a Fiuggi, poi Bondi e Cicchitto, e la velleità disperata vorrà pur dire qualcosa!). E tuttavia il ragionamento non ci persuade. Troppo generico. Troppo «onore delle armi»...per intendersi. Troppa storicizzazione affrettata. E poco scavo nel merito. Nessuna distinzione «di ciò che è vivo e ciò che morto», per fare davvero i conti con Gramsci, senza farne un santino, o un nobile progenitore e basta.

E allora perché Gramsci? E che significa ancora - se qualcosa significa - per la sinistra, per l’Italia, per l’oggi? Proviamo a rispondere in breve, in guisa di appunti e augurandoci che la discussione prosegua. Ebbene, Gramsci non fu puramente uno scrittore o un testimone d’eccezione del tempo (come Pasolini). Fu un grande scienziato politico, oltre che uomo eroico e dirigente di partito. Comprese nei Quaderni alcune cose modernissime, di domani! Ad esempio, «l’interdipendenza mondiale» alla base delle tre «modernizazioni del suo tempo»: quelle totalitarie,comunista e fascista, e quella rooseveltiana. Comprese il ruolo egemone dell’«americanismo», all’insegna del fordismo e destinato a prevalere a livello planetario. E intuì che dentro le mutazioni «mondiali» dell’«economico-sociale», i «blocchi sociali» si trasformavano. Le gerarchie cambiavano. E si formavano «gruppi dirigenti» nuovi, che «egemonizzavano» e scomponevano i vecchi ceti sociali, dall’alto in basso e viceversa. Rinsaldando o rinnovando i precedenti assetti, e cooptando i ceti deboli e subalterni all’interno delle innovazioni produttive.

Anche Gramsci, come Marx, vedeva «gli impoveriti», l’«esercito di riserva», i «flessibili» si direbbe oggi. Ma li vedeva destinati a fungere da combustibile passivo di massa, nel motore delle rivoluzioni produttive del 900. Attorno a questo processo Gramsci scopriva poi le mentalità, le «forme simboliche», le ideologie, il folklore, gli stili di vita. Tutto quello che dà senso alla «soggettività» in una società di massa. Il progetto di Gramsci? La critica della subalternità al potere, la liberazione dell’individualità nella politica, intesa come linguaggio di un partito «intellettuale collettivo» sempre in fieri (democratico e non dispotico). Il suo (dal carcere!) era il lavoro della «contro-egemonia». Per liberare gli impoveriti, il lavoro e i subalterni. Dalla corazza ideologica dell’avversario.

Dunque ecco perché Gramsci non appartiene affatto solo ai padri. Ma esattamente ai figli che sogniamo liberi. Teniamolo sul «desk», non nel cassetto.


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