Il caso. L’arcivescovo Luigi De Magistris rivela: «Prima di morire chiese i conforti religiosi»
La storia. Ma i documenti attestano tutt’altro: il tentativo d’indurlo ad abbracciare la fede fallì
Antonio Gramsci si convertì?
No, ci provarono ma lui rifiutò
Una vicenda non nuova esplosa già nel 1977 e già chiarita a sufficienza da lettere, documenti e testimonianze
che allo stato attuale fanno escludere recisamente la presunta conversione e anzi la smentiscono.
di Bruno Gravagnuolo (l’Unità 26.11.2008)
Gramsci convertito in punto di morte? Addirittura con i sacramenti? Ad affermarlo è stato l’arcivescovo Luigi De Magistris, penitenziere emerito della Santa Sede, alla presentazione del primo catalogo internazionale dei «Santini». Che ha aggiunto alla «rivelazione» precisi dettagli. La presenza nella stanza alla Quisisana di Roma dell’immagine di Santa Teresa del Bambin Gesù. E le suore della clinica, che avrebbero portato da baciare a Gramsci l’immagine di Gesù Bambino, su esplicita richiesta: «Perché non me l’avete portato?». L’infermo avrebbe così baciato il Bambino, «tornando alla fede della sua infanzia».
Peccato però che la rivelazione non regga. Ma sia del tutto infondata e priva di riscontri al momento. Anzi, a leggere bene le carte di cui disponiamo, la verità fu un’altra e di tenore del tutto opposto. Cominciamo da una domanda: quando avvenne materialmente la conversione? Gramsci entrò in coma il 25 e spirò per un ictus il giorno 27 aprile 1937. Fu cremato con pratica non consacrata e con molte difficoltà, grazie al fratello Carlo (il regime temeva la concomitanza con il primo maggio), e poi le ceneri furono trasferite dal Verano al Cimitero degli Inglesi nel dopoguerra. Bene, non c’è traccia di conversione né nella lettera di Tatiana Schucht a Sraffa, né in quella alla sorella Giulia, entrambe scritte post-mortem e piene di particolari sugli ultimi istanti di Antonio. E ancora.
Il caso esplose nel 1977
Il caso della «conversione di Gramsci» esplose già nel 1977, quando il gesuita padre Della Vedova sbandierò la notizia sulla rivista Studi Sociali (n. 10). Ne nacque una polemica a seguito della quale il professor Arnaldo Nesti, sociologo a Firenze, raccontò di essersi recato 10 anni prima a Ingebohl in Svizzera, sede della casa generalizia a cui appartenevano le suore della Quisisana (cfr. Paese Sera del 21-4-77 e 8-6-77). Lì aveva incontrato i testimoni delle ultime ore di Gramsci. Il cappellano Don Giuseppe Furrer, Suor Linda, Suor Maria Ausilia e Suor Palmira. Furrer racconta delle sue «dispute» al capezzale di Gramsci, il quale polemizzava contro i sacerdoti, «incapaci di capire l’animo umano». Quanto alle suore, che esortavano l’infermo ad andare in cappella, riferirono che egli disse loro: «Non è che non voglio, non posso!».
Solo una volta Gramsci cedette alle pressioni, e consentì che dei bambini entrassero nella sua stanza con la statuina del bambin Gesù. Ma era il Natale 1936, e l’ammalato si limitò in quel caso ad accontentare i bambini, con il bacio di rito all’effigie. Dunque è qui la radice della leggenda oggi riciclata, trent’anni dopo la sua prima diffusione. Laddove i fatti appurati parlano di tutt’altra situazione. Nella quale con fermezza e coraggio - e in quelle condizioni! - Antonio Gramsci respingeva ogni pressione del capellano e delle suore per convertirlo. Alternando, gentilezza, ironia, fermezza e argomenti razionali. Il tutto nella preoccupazione della cognata Tatiana, timorosa di strumentalizzazioni politiche. E alla quale non sfuggiva il tramestio attorno al letto del malato, per indurlo ad accettare i conforti religiosi.
Come che sia il 25 aprile Gramsci entrò in coma, furono preparati il secchiello d’acqua santa e l’olivo e fu appoggiata sul letto la stola violacea, secondo il rito cattolico. Furrer narra di non ricordare di aver amministrato o meno l’assoluzione «sotto condizione». Fatto sta che Gramsci era ormai assente e immobile, e non rinvenne più, sino al decesso. Non solo. Secondo una testimonianza di Alfonso Leonetti (resagli proprio da Carlo Gramsci), Gramsci rivelò al fratello che un frate aveva cercato fino all’ultimo di indurlo «a compiere un atto di conversione». Tentativo fallito, perché il malato si voltò contro il muro, invitando il frate a lasciarlo in pace. E la testimonianza di Carlo è inoppugnabile, visto che assistette Antonio fino agli ultimi istanti. In conclusione, cercarono di convertire Gramsci, che tenne duro. Fino a prova contraria.