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Da una generazione all’altra ...

ANTONIO GRAMSCI (1891-1937). Per la ricorrenza dell’"anno gramsciano", iniziative e manifestazioni culturali in Italia e nel mondo - a cura di Federico La Sala

giovedì 1 marzo 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Ecco le date: il 27 aprile a Cagliari, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sarà presentato il primo volume della Edizione Nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Il 27 e 28 aprile a Roma si svolgerà il Convegno Internazionale "Gramsci, la cultura e il mondo "con la presenza di storici e politologi europei, statuntensi, latinoamericani, cinesi, indiani e del mondo arabo. Il 13 e 15 dicembre a Turi, in Puglia, si rifletterà sul tema "Gramsci nel suo (...)

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> ANTONIO GRAMSCI (1891-1937). --- Gramsci e l’enigma della «lettera criminale» --- Ricordi e testimonianze dei parenti del pensatore comunista.

giovedì 4 dicembre 2008

Dalla Russia

-  Archivi Nuove prove sull’opera falsificatrice dell’Ovra.
-  Ma resta aperta la questione del conflitto tra il leader prigioniero e Togliatti

Gramsci e l’enigma della «lettera criminale»

Luciano Canfora: manipolata dalla polizia fascista la missiva che lo indusse a sospettare del Pci

di Aurelio Lepre (Corriere della Sera, 4.12.2008)

Nel 1944-1945 il Pci fu ricostruito sul binomio Gramsci-Togliatti, il fondatore e il costruttore, modellato su quello sovietico Lenin-Stalin. Negli anni successivi Togliatti lo consolidò, grazie a un attento controllo esercitato sulla pubblicazione degli scritti di Gramsci. Le cose cominciarono a cambiare dopo il 1964, l’anno della morte di Togliatti. Furono allora i nuovi dirigenti e gli storici che militavano nel Partito comunista a gestire politicamente la revisione di quel rapporto, sulla base della nuova documentazione che lentamente veniva alla luce, mano a mano che il Pci respingeva la parte più compromettente dell’eredità di Togliatti, cercando però di conservare intera quella di Gramsci.

È da qui che bisogna partire per capire l’importanza assunta sul piano storiografico dalla questione di una lettera che un dirigente del partito, Ruggero Grieco, inviò a Gramsci nel febbraio 1928, oltre un anno dopo il suo arresto, e che il prigioniero definì in un primo momento «strana» e successivamente «criminale». Il giudice istruttore Enrico Macis, che gliela aveva mostrata, aveva ipotizzato che i suoi compagni volessero danneggiarlo, perché la lettera conteneva dettagliate, anche se confuse, informazioni sulla situazione politica, tali da mostrare che Gramsci anche dal carcere continuava ad avere un ruolo attivo nel partito. Lo stesso Gramsci scrisse che l’invio fu dovuto a «imperizia, negligenza o volontà perversa».

Come si vede, c’è materia sufficiente per un giallo politico, con molti indizi ma senza una prova definitiva, e se ne cerca da tempo la soluzione. Quali erano le vere intenzioni di Grieco? Era stata una sua iniziativa o c’era stato un misterioso suggeritore, che aveva voluto compromettere Gramsci per lasciarlo in galera? Era forse lo stesso Togliatti, che già due anni prima si era scontrato con lui per divergenze sull’atteggiamento da assumere verso Stalin? Questa ipotesi, formulata soprattutto sul piano politico e giornalistico, ha dato luogo a interminabili discussioni e ha rappresentato un aspetto importante della polemica contro Togliatti e il Pci.

Nel 1989 Luciano Canfora sostenne, con dei buoni argomenti, che la lettera era stata falsificata dalla polizia fascista. La discussione però è continuata e ora Canfora cerca di chiuderla svolgendo una nuova, più ampia e approfondita inchiesta, molto minuziosa ( La storia falsa, Rizzoli, pp. 322, e 17), condotta con i metodi sia dell’indagine poliziesca sia dell’analisi filologica, in cui, come sappiamo, è un maestro e che applica alla storia contemporanea con la stesso successo con cui esamina documenti della storia greco- romana. Canfora si muove con sicurezza e perizia in un aggrovigliato mondo di rivoluzionari, poliziotti, infiltrati e traditori e il risultato appare persuasivo: la lettera di Grieco a Gramsci nella stesura che gli fu consegnata sembra (come altre due che erano state indirizzate contemporaneamente a Terracini e a Scoccimarro) il frutto di una falsificazione nemmeno tanto abile.

Ma resta aperto un grosso problema. Gramsci ripensò spesso a quella lettera, ponendosi tormentose domande: come mai non sospettò, se non, forse, in un primo momento, quando si limitò a definirla «strana», che potesse trattarsi, almeno parzialmente, di un falso? Proprio a causa di quella lettera tutta la sua vita carceraria fu lacerata dal dubbio di essere stato tradito, di essere stato condannato da un tribunale più vasto di quello fascista, di cui facevano parte anche alcuni suoi compagni. E quel dubbio contribuì a mettere a dura prova la vita del prigioniero, provocando in lui una «trasformazione molecolare» di cui parla in una delle sue più belle e drammatiche pagine - concordo in pieno con l’opinione di Canfora che Gramsci la riferisca a se stesso. Di essa non sono ancora chiare tutte le implicazioni, ma rivela comunque che l’uomo e il politico erano cambiati al momento in cui uscì dal carcere rispetto a quello in cui vi era entrato.

Luciano Canfora naviga con accortezza tra Scilla e Cariddi, tra l’ipotesi di una semplice leggerezza commessa da Grieco e quella di un’iniziativa «criminale», che avrebbe portato alla rottura di Gramsci con Togliatti. In realtà, non ci fu rottura ma solo un rapporto difficile, come testimoniano anche le lettere che il prigioniero inviava alla cognata Tania e che alla fine, attraverso Piero Sraffa, pervenivano a Togliatti. Ed è solo decifrando il linguaggio non sempre chiaro di quelle lettere che può essere ricostruita la storia completa dei rapporti tra Gramsci e Togliatti.


Dalla Russia

Ricordi e testimonianze dei parenti del pensatore comunista

Dialogo con un padre mai visto

di Antonio Carioti (Corriere della Sera, 4.12.2008)

Grande leader politico e pensatore universalmente apprezzato, anche in ambienti molto lontani dalle sue idee (si pensi al cosiddetto «gramscismo di destra»). Ma uomo malato nel corpo e ferito nell’anima, forzatamente separato dalla moglie e dai figli, ossessionato dall’idea di essere stato abbandonato dai suoi compagni di lotta. Nella figura di Antonio Gramsci convivono questi due aspetti, che rendono doppiamente eccezionale, e per molti versi commovente, la sua vita.

Tragica fu la sua detenzione, segnata non solo dai disagi del carcere fascista, particolarmente pesanti per un individuo debilitato, ma anche da sospetti e conflitti sotterranei con il Pci, di cui era stato a capo, e con l’Urss di Stalin. Si aggiungevano i travagli familiari: la moglie russa Julia Schucht, a Mosca, colpita da una grave malattia nervosa e i due figli piccoli, Delio e Giuliano, affidati alle cure della cognata Eugenia, mentre l’altra cognata Tania, in Italia, era il principale appoggio del leader detenuto. E proprio sul versante familiare abbiamo oggi nuovi contributi, offerti da due diversi libri.

Nel volume Papà Gramsci. Il cuore nelle lettere (Gabrielli Editori, pp. 116, € 14), con prefazione di Walter Veltroni, Anna Maria Sgarbi ha raccolto le missive indirizzate idealmente ad Antonio Gramsci dal figlio Giuliano, scomparso lo scorso anno (l’altro fratello, Delio, era morto nel 1982). Non è solo «un documento storico di notevole importanza », come scrive lo studioso Marco Clementi nella postfazione, ma anche una confessione a cuore aperto, in cui i ricordi ingenui dell’infanzia si fondono felicemente con le riflessioni malinconiche della vecchiaia. Uno spaccato dell’Urss negli anni bui, quando nessuno era al sicuro dagli artigli del potere.

La prima moglie di Giuliano Gramsci, Margarita, e la loro figlia Olga hanno invece affidato i loro ricordi a Giancarlo Lehner, che li ha inclusi nel libro La famiglia Gramsci in Russia (Mondadori, pp. 366, € 20). In questo caso le testimonianze riguardano il periodo successivo al disgelo kruscioviano, perché Margarita e Giuliano si sposarono nel 1956, però riflettono ugualmente un’atmosfera plumbea: non più quella di una tirannide sanguinaria, bensì quella di un regime in lento disfacimento, ma ancora ottuso e oppressivo. Entrambi utili sotto il profilo documentario, i due libri si differenziano per impostazione. Anna Maria Sgarbi è attenta soprattutto all’aspetto umano, alla vicenda di un figlio su cui gravavano il peso di portare un cognome illustre, ma in odor di eresia, e il dolore di non aver mai potuto abbracciare il proprio padre. Lehner, saggista appassionato e polemico, allestisce un processo in piena regola al gruppo dirigente del Pci, in primo luogo a Palmiro Togliatti, per aver isolato ed emarginato Gramsci, per averne ostacolato la liberazione dal carcere, per essersi impadronito indebitamente della sua eredità letteraria. Sullo sfondo l’idea che al vertice del Cremlino Gramsci fosse considerato un personaggio infido, «sospetto di trotzkismo».

Sono accuse che l’atteggiamento delle sorelle Schucht accredita, ma solo in parte. Esse si mostrarono ostili a Togliatti, tanto che chiesero a Stalin d’impedire che gli scritti del loro congiunto fossero consegnati al Pci. Ma bisogna aggiungere che, se i vertici del potere sovietico avessero visto in Gramsci un «traditore», come ritiene Lehner, ben difficilmente le Schucht si sarebbero rivolte al supremo despota per tutelarne l’eredità intellettuale. Parliamo di una vicenda densa di ombre, davvero ardua da scandagliare fino in fondo.


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