Ashraf Fayadh, poesia di libertà
Arabia saudita. Cresce la mobilitazione internazionale a sostegno del poeta e artista palestinese condannato a morte da una corte saudita per "apostasia" e "abbandono dell’Islam"
di Michele Giorgio (il manifesto, 25.11.2015)
All’inizio del 2014 cento artisti, intellettuali, scrittori e poeti del mondo arabo firmarono un appello che chiedeva la sua immediata liberazione. E in seguito tanti altri hanno denunciato la sua detenzione.
Niente da fare. Ashraf Fayadh resta in carcere. E nei giorni scorsi l’artista e poeta palestinese, cresciuto in Arabia saudita, è stato condannato a morte per “apostasia” e per “aver abbandonato l’Islam”.
Il suo nome si aggiunge a quelli del blogger Raif Badawi (al quale il mese scorso è stato assegnato il Premio Sakharov), condannato al carcere e alle frustate, e del giovanissimo attivista Nimr Baqir al Nimr, arrestato nel 2012 e condannato anch’egli a morte.
Fayadh, Badawi e al Nimr sono soltanto i più noti dei numerosi detenuti per reati d’opinione e politici che languono nelle carceri dell’Arabia saudita alleata di ferro dell’Occidente e impegnata, con armi e soldi per i “ribelli” siriani, a «portare la democrazia e la libertà» a Damasco.
Ora molti, ovunque, si stanno mobilitando per salvare Fayadh dalla morte. Nessuno sa se questi sforzi avranno successo. Le proteste internazionali sino ad oggi non sono servite a ridare la libertà a Badawi e al Nimr.
Fayadh è stato arrestato la prima volta ad Abha, al termine di una accesa discussione con un altro artista, da agenti della muttawa, la polizia religiosa, per aver pronunciato, secondo l’accusa, frasi contrarie alla morale e alla fede. Rilasciato su cauzione è stato di nuovo arrestato e condannato con l’accusa di «aver promosso l’ateismo» nella sua raccolta di poesie “Instructions Within” del 2008.
Molti credono che Fayyadh in realtà sia stato arrestato per aver postato il video di un uomo fustigato in pubblico ad Abha. Comunque sia, un tribunale minore, ribaltando la sentenza del 2014 che aveva condannato Fayadh a quattro anni di prigione e a 800 frustate, lo ha ora condannato a morte.
A carico del poeta ci sono anche le accuse di uno studioso islamico che ha denunciato come «blasfeme» le sue poesie, a suo dire, pericolose perchè potrebbero «spingere altre persone ad allontanarsi dall’Islam».
Fayadh in primo grado aveva presentato le sue scuse ottenendo una sentenza più leggera rispetto a quella richiesta dalla pubblica accusa. In appello le cose sono andate diversamente. I giudici peraltro non hanno tenuto in considerazione i testimoni della difesa.
Ecco una delle poesie del condannato a morte, tradotta da Chiara De Luca di Irisnews.
«Asilo: Stare in piedi in coda alla fila. Ricevere un boccone di pane. Resistere! Qualcosa che tuo nonno era solito fare. Senza saperne la ragione. Il boccone? Tu. /La patria: Un documento da mettere nel portafoglio. /Denaro: Carta con sopra immagini dei leader. /La foto: Il tuo sostituto previo tuo ritorno. /E il ritorno: mitologica creatura... uscita dai racconti di tua nonna. Fine della prima lezione».
Versi dal significato pernicioso per gli inflessibili giudici delle corti saudita.
D’altronde nel regno dei Saud la letteratura è sempre stata guardata con diffidenza perchè potrebbe aprire le coscienze e portare i cittadini ad esprimere dissenso verso un sistema sociale sotto il controllo dalle gerarchie religiose wahabite. Nel 2014, alla Fiera del libro, furono sequestrati migliaia di volumi - specie sulla condizione delle donne - di centinaia di autori ritenuti poco rispettosi della fede.
Le pressioni internazionali, sollecitate da Human Rights Watch, potrebbero evitare a Fayadh di seguire la sorte delle 150 persone che sono state decapitate con la spada nel 2015 per decisione dei giudici sauditi.
Si teme in questi giorni anche per la sorte dell’avvocato Waleed Abulkhair, arrestato e condannato lo scorso anno per «incitamento dell’opinione pubblica».
Abulkhair inizialmente era stato condannato a cinque anni di reclusione, pena prima sospesa e poi, a sorpresa, inasprita da un altro tribunale, specializzato in «terrorismo», che a inizio 2015 ha sentenziato una pena di 15 anni.
Il pugno di ferro delle autorità saudite si è inasprito durante e dopo la «primavera araba». Il timore che il malcontento crescente tra i sudditi più giovani sfoci in manifestazioni di protesta ha spinto la monarchia a usare la repressione con i dissidenti politici e gli attivisti delle riforme.
L’Arabia mette a morte il poeta dei versetti “blasfemi”
Fayadh, artista palestinese di 32 anni, è stato accusato di “apostasia” da una corte saudita.
Appelli di grazia dagli Usa alla Cisgiordania
di Maurizio Molinari (La Stampa, 02/12/2015
corrispondente da Gerusalemme
«Ha scritto poesie blasfeme»: con questa motivazione il tribunale saudita di Abha ha condannato a morte lo scrittore palestinese Ashraf Fayadh innescando proteste e appelli di grazia, da Ramallah a New York, destinati al sovrano wahabita Salman.
CHI È
Fayadh ha 32 anni, è nato in Arabia da una famiglia palestinese originaria della Striscia di Gaza, ed è una figura di spicco dell’arte saudita non solo per le sue poesie ma anche per essere stato protagonista del gruppo «Edge of Arabia» che ha curato una propria esposizione alla Biennale di Venezia del 2013. Proprio in quell’anno è stato arrestato a seguito di un vivace alterco, in un caffè di Abha, con uno degli avventori che affermava di non gradire le sue strofe considerate in contrasto con i dettami dell’Islam.
FOTO DI DONNE SUL TELEFONO
Nel processo che seguì, il procuratore lo accusò di «relazioni sessuali improprie con persone del sesso opposto» - sulla base della scoperta di foto di donne sul suo cellulare - con una conseguente sentenza a quattro anni di detenzione e 800 frustate. Le foto divennero un capo di accusa sebbene, per il poeta, fossero di «donne vestite». L’accusa voleva la condanna a morte ma il giudice la negò, affermando che il poeta palestinese si era «pentito» riconoscendo gli errori commessi. Più organizzazioni per i diritti umani, come «Human Rights Watch», chiesero in quel caso la liberazione del poeta ma l’effetto è stato opposto: a metà novembre è stato assegnato al caso un nuovo giudice che ha ritenuto «non sufficiente» il pentimento di Fayadh in quanto i «versetti apostati» avrebbero richiesto «un comportamento e un linguaggio assai più convinto».
Fra i versetti di Ashraf Fayadh tradotti in Occidente vi sono quelli in cui definisce il petrolio «incapace di fare del male a eccezione delle tracce di povertà che si lascia alle spalle», descrive l’anziano nonno «come una persona a cui piaceva stare in piedi, completamente nudo» e parla di «danzatrici seducenti» per affermare anche che «i profeti si sono ritirati e aspettarli è oramai inutile». Per il giudice del tribunale saudita si tratta di strofe «malefiche» e ha così dato luce verde alla pena di morte, senza tuttavia indicare la data dell’esecuzione.
Alla genesi dell’intera vicenda, secondo la sorella Raeda Fayadh che vive a Gaza, vi sarebbe una «colossale incomprensione» perché l’alterco originale «avvenne in un bar mentre stavano guardando una partita di calcio in tv e sono volate parole grosse» fino a quando uno dei presenti ha chiamato la polizia religiosa del regno accusando il poeta di aver «insultato Maometto e l’Islam nel suo libro di poesie» determinandone l’arresto.
ONG IN CAMPO
A Ramallah sono molti i poster di Ashraf Fayadh esposti in pubblico, i media palestinesi lo descrivono come un «caso di libertà di coscienza» e sul web è iniziata la campagna #freeAshraf a cui hanno aderito anche il poeta siriano Adonis e quella britannica Carol Ann Duffy, co-firmatari di una lettera aperta al re Salman nella quale affermano di essere «sotto choc» a causa di una «sentenza da rivedere» perché «avere delle idee non significa commettere crimini» in quanto «ognuno ha il diritto a esprimere le proprie opinioni». Amnesty International ha raccolto oltre 22 mila firme per una campagna tesa a obbligare Riad a rivedere la condanna. «La sentenza di morte dopo un processo farsa ai danni di Ashraf Fayadh - afferma Sevag Kechichian, ricercatore sull’Arabia di Amnesty - è un’ulteriore dimostrazione di come le autorità del regno intendono piegare i diritti umani ai loro bisogni privati».
Da qui l’appello di «Human Rights Watch», con Sarah Leah Whitson direttrice per il Medio Oriente, a re Salman affinché conceda la grazia perché «non è accettabile che l’Arabia Saudita decida di mettere in prigione una persona solo in quanto afferma ciò che pensa». A far crescere l’ondata di proteste verso la casa reale wahabita c’è la prospettiva che «un poeta di trent’anni venga decapitato in pubblico», aggiunge Whitson.