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Cultura

VATTIMO-RORTY E IL DIO CRISTIANO. Il futuro della religione, due filosofi dialogano sul destino della fede - di Umberto Galimberti.

lunedì 30 maggio 2005 di Emiliano Morrone
[...] Vattimo dice che “La religione non è morta. Dio è ancora in circolazione”, ma quale religione, quale Dio? La religione cristiana e il Dio cristiano naturalmente, ma depurati l’una e l’altro da quello spessore metafisico che non il Cristianesimo, ma l’ontologia greca ha attribuito a Dio, conferendogli una sostanza e una realtà, al di là di tutte le possibili interpretazioni, da cui discende una verità assoluta che nessuna opinione umana può mettere in discussione. Questo (...)

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> Il futuro della religione*, due filosofi dialogano sul destino della fede

venerdì 11 novembre 2005

Sesso e sacerdozio. Parla Esilio Tonini ABBE’ PIERRE, PERCHE’ L’HAI FATTO? di Ignazio Ingrao (www.panorama.it, 04.11.2005)

«Sono stato male a leggere quelle parole». Così il cardinale di Ravenna commenta le rivelazioni del frate francese. E su di sé confessa: «Ho cercato di custodirmi».

Il cardinale Ersilio Tonini non si dà pace. Ha appena letto le rivelazioni intime dell’Abbé Pierre, il San Francesco dei nostri tempi, il frate cappuccino che ha lasciato tutto per stare dalla parte degli ultimi. A 93 anni l’Abbé Pierre confessa di essere caduto, più volte: ha avuto rapporti sessuali occasionali, ammette in un libro-intervista con Frédéric Lenoir, uscito in questi giorni in Francia (Mon Dieu... pourquoi?, edizioni Plon).

Per l’arcivescovo emerito di Ravenna (91 anni compiuti) è il crollo di un mito: «Sono stato male a leggere quelle parole. L’Abbé Pierre è uno dei simboli della Francia migliore: testimone di un impegno che non si è fermato alle rivendicazioni sociali ma si è tradotto in gesti concreti di solidarietà capaci di mobilitare migliaia di persone, in tutto il mondo. Ora questo simbolo è finito nella polvere e per molti di noi è un giorno di grande tristezza».

A ben vedere i colpi di scena non mancano nella biografia dell’Abbé Pierre, al secolo Henri-Antoine Groués. Di famiglia benestante, a 19 anni dona la sua eredità ai poveri per entrare nel convento di clausura dei cappuccini a Lione. Ne uscirà qualche anno più tardi per diventare sacerdote diocesano.

Aiuta le vittime del nazismo, combatte con i partigiani, viene eletto deputato. Per protesta si dimette dal parlamento e con un ex ergastolano fonda il «movimento degli stracciaioli-costruttori di Emmaus», comunità di poveri, ex tossicodipendenti ed ex prostitute che cercano di rifarsi una vita, presenti ormai in 50 paesi. Due anni fa hanno fatto scalpore alcune sue affermazioni antisemite.

Una «vita contro» quella del fondatore di Emmaus. Eminenza, cosa ha significato l’Abbé Pierre per la vostra generazione?

È stato un modello di altruismo e di generosità non solo per la mia generazione ma per tantissimi, credenti e non credenti. Penso ad Annalena Tonelli che, ancora adolescente, vede arrivare l’Abbé Pierre a Forlì e comincia a raccogliere oggetti e offerte per l’Africa fino a maturare la decisione di lasciare tutto per andare in Somalia. Mi chiedo cosa direbbe oggi a leggere queste rivelazioni.

Forse l’Abbé Pierre sentiva solo il bisogno di togliersi un peso dalla coscienza.

Ma perché lo ha fatto pubblicamente, addirittura in un libro, mi chiedo. Bastava dirlo al suo confessore. Mi sembra di essere tornato agli anni 70, quando c’erano sacerdoti che annunciavano ai fedeli dall’altare: domani mi sposo! Non è così che si fa del bene alla Chiesa.

A lei non è mai capitato di desiderare una donna?

Sono entrato in seminario a 11 anni. A 20 ho sognato di avere una famiglia con due o tre figli. Ma poi ho capito che mi sarei sentito ancora più realizzato con una famiglia più vasta, grande come la Chiesa.

Così non mi ha risposto.

Ho cercato di custodirmi. Non ho mai letto un libro che potesse farmi arrossire. Ho evitato di farmi trascinare dalla curiosità. Mi sono dedicato molto allo studio della filosofia, della storia, delle lingue straniere. Sono stato fedele alla preghiera. E anche ai giovani preti consiglio di fare altrettanto per difendere la castità.

Pesa di più la mancanza di una donna o della paternità?

Il celibato non è il prezzo da pagare per diventare prete. Al contrario è la straordinaria opportunità di avere una paternità ancora più grande. Ho avuto tanti figli e continuo ad averne ancora alla mia età: sono stati i giovani preti quando ero educatore in seminario; gli universitari quando ero assistente della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana, ndr); i fedeli della diocesi di Ravenna e tutti quelli che ancora oggi vengono a trovarmi cercando una parola di conforto o, più semplicemente, qualcuno che li sappia ascoltare.

Abolire il celibato sacerdotale, come suggerisce l’Abbé Pierre, risolverebbe il problema delle vocazioni?

Non credo. La crisi delle vocazioni investe infatti anche le Chiese protestanti e quelle orientali che ammettono i preti sposati. La ragione sta piuttosto nella difficoltà ad accettare una scelta definitiva come quella del sacerdozio.

L’Abbé Pierre propone anche il sacerdozio femminile e il matrimonio tra omosessuali.

Mi chiedo a quale titolo si mette a fare il maestro e a trattare temi per i quali non ha competenza. Su argomenti così delicati lasciamo parlare i teologi e gli esperti.

Dopo tanto clamore cosa suggerirebbe all’Abbé Pierre?

Gli consiglierei di rileggere la preghiera di Socrate: «O caro Pan, e voi tutti che di questo luogo siete Iddii, concedetemi che sia bello io di dentro, e che tutto quello che ho di fuori si concordi con quel di dentro».


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