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Storiografia

FASCISMO E LEGGI PER LA DIFESA DELLA RAZZA (1938). De Felice, Mussolini, e la "percentuale" del 1932. Un saggio di Giorgio Fabre, in "Quaderni di storia", riapre la questione. Una nota di Roberto Roscani - a cura di pfls

domenica 11 marzo 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Trattamento diverso De Felice riservò ad altri documenti sul razzismo come ad esempio le carte inviategli da Marcello Ricci, uno degli estensori del Manifesto della razza (le consegnò per la cura e la pubblicazione ad un suo allievo, Mario Toscano, essendo lui ormai gravemente malato). Ma Razza e percentuale no. Eppure (o forse per questo) era proprio il testo che lo avrebbe costretto ad una revisione radicale della tesi di fondo che lo storico ha costruito attorno al tema del (...)

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> FASCISMO E LEGGI PER LA DIFESA DELLA RAZZA (1938).---- Il patto segreto tra Chiesa e Duce (di Francesca Margiotta Broglio)

giovedì 26 luglio 2012

Il patto segreto tra Chiesa e Duce

di Francesca Margiotta Broglio (Corriere della Sera, 26 luglio 2012)

Il 1° luglio il Museo Yad Vashem di Gerusalemme ha annunciato che il pannello «Pio XII e l’Olocausto» non solo ha cambiato il titolo («Il Vaticano e l’Olocausto»), ma è stato modificato nei suoi contenuti negativi per tener conto delle più recenti acquisizioni della ricerca storica, anche se il controverso tema, in attesa della disponibilità di «tutto il materiale rilevante», resta «aperto a ulteriori indagini». «L’Osservatore Romano» ha parlato di «Pio XII restituito alla storia» e ha preso atto che «finalmente si parla di storia, di documenti, di nuove acquisizioni e si dà conto di un dibattito aperto», pur registrando i dissensi. L’«Avvenire» ha sottolineato che non si tratta di vero «ribaltamento di giudizio», ma di «contestualizzazione più problematica».

È necessario osservare che la ricca storiografia ha affrontato l’argomento, in genere, isolando il Pacelli pontefice dal Pacelli segretario di Stato di Pio XI per quasi tutti gli anni Trenta. Come se fosse possibile studiare l’operato del Papa senza tenere conto di quello, immediatamente precedente, del «capo» del governo vaticano (primo e autorevole, anche se non sempre ascoltato, consigliere di papa Ratti), oggi agevolmente analizzabile grazie all’apertura fino al 1939 degli archivi della Santa Sede.

Inizia, ora, a colmare questa lacuna un innovativo contributo monografico (circa 70 pagine) di Giorgio Fabre - di cui è imminente la pubblicazione nel fascicolo 76 dei «Quaderni di Storia» diretti da Luciano Canfora - il quale ha utilizzato non solo la documentazione di quegli archivi (soprattutto quella della sezione «Affari straordinari» della Segreteria di Stato), ma anche quella degli archivi romani della Compagnia di Gesù e, in particolare, le inedite «carte» del padre Tacchi Venturi, ufficioso, ma efficace e diretto tramite tra Pio XI e Mussolini.

L’argomento è l’accordo raggiunto tra il gesuita e Mussolini il 16 agosto 1938, «al fine di ristabilire la buona armonia», su due questioni che avevano messo in profonda crisi i rapporti tra la Santa Sede e il regime fin dall’autunno dell’anno precedente: l’incompatibilità tra iscrizione al Pnf e militanza nell’Azione cattolica - esclusa dagli «Accordi» in materia del 1931 negoziati anch’essi da Tacchi Venturi, sui quali getta nuova luce un recentissimo e rilevante scritto di Giovanni Coco apparso nello «Archivum historiae pontificiae» - e la dura reazione iniziale di papa Ratti alla nuova politica razzista del governo.

Un accordo parzialmente noto, ma fuori contesto, per cui, ora che Fabre lo ha ricostruito e collegato alla dispersa documentazione vaticana, appare chiaro che ne era risultato distorto il significato. Esso venne preparato da almeno due colloqui e da due documenti ispirati dal Papa e rappresentò un «punto intermedio, ma non certo definitivo di pacificazione» e consistette «in uno scambio preciso e formale tra Chiesa e fascismo in base al quale quest’ultimo avrebbe rispettato l’Azione cattolica e la Chiesa sarebbe stata zitta sul razzismo e gli ebrei. La Chiesa avrebbe accettato il silenzio, ricevendo in cambio la salvaguardia della sua organizzazione laica, la pupilla di Pio XI».

L’autore ricostruisce per la prima volta nel loro complesso le vicende, talvolta drammatiche, che portarono a quella intesa e quelle «tutt’altro che lineari che seguirono», mettendo in evidenza come al primo punto vi fosse il problema «razzismo ed ebraismo», sul quale il Duce assicurava, con qualche ironia, che gli «onesti criteri discriminatori» non sarebbero stati peggiori di quelli adottati «per secoli e secoli dai Papi» (senza però ghetti e contrassegni) e auspicava vivamente che la stampa e le autorità cattoliche si astenessero «dal trattare in pubblico» l’argomento sul quale Pio XI e Mussolini avrebbero potuto intendersi «direttamente in via privata» (in un appunto a lapis il gesuita annota: «Smettere di predicare contro il razzismo»).

Al secondo punto il Duce dichiarava di voler mantenere «intatto e nel suo pieno vigore» l’accordo del 2 settembre 1931 e assicurava che le tessere del Pnf sarebbero state restituite agli appartenenti all’Azione cattolica iscritti al partito, consentendo loro di non perdere gli impieghi civili. In sintesi «Mussolini legava le mani alla Chiesa... e liberava le sue; in cambio avrebbe lasciato tranquilla l’Azione cattolica. Questo l’accordo "felicemente conchiuso" da Tacchi Venturi».

Da un appunto dell’allora monsignor Montini appare, però, che «Sua Santità è rimasta urtata dal punto sugli ebrei sotto il governo pontificio» e che «padre Tacchi spera che il Santo Padre si calmerà». Certo in un intervento del 21 agosto il Pontefice si riferirà soltanto all’«esagerato nazionalismo» e comunque Mussolini continuerà a «tenere il Papa sulla corda», il quale, però, ricevendo nel settembre i dirigenti della radio belga, dichiarerà: «Nous sommes spirituellement des semites».

Lapidaria l’annotazione di Goebbels in proposito: «Il fascismo oppone resistenza alla Chiesa e difende con grande slancio il suo punto di vista sulla razza. Il Papa non ha proprio più niente da ridere».


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